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Arriva Bice e fa troppa luce

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In Primo Piano

Arriva Bice e fa troppa luce

Un plotone di piccioni guarda dall'alto l'Ultima Cena di Tintoretto (1594), tolta dal suo contesto a San Giorgio Maggiore e fiondata all'ingresso della 54ª Biennale di Venezia. I volatili, un'autocitazione di Maurizio Cattelan che li portò in questo luogo nel 1997, sembrano incerti se scendere a terra o volare via. Non siamo in una voliera ma in un posto dove tutto è ordinato e fisso, i colombi sono impagliati, la curatrice Bice Curiger ha chiesto a Cattelan di fare ancora il cattivo e lui ha promesso che questa è l'ultima volta: come Duchamp, dichiara di essere a fine corsa come artista, salvo poi – come fece il maestro – immaginare di restare attivissimo come editore e forse come curatore, gallerista, consigliere. Intanto la Biennale lo usa per darsi un po' di colore.
Vista con occhio buono, la mostra sembra volerci fare contemplare la volatilità del contemporaneo e la permanenza dell'antico, nonché la loro capacità di convivere e anzi il loro provenire da un'unica sensibilità occidentale, centrata, anche nel tormentato Tintoretto, sul senso del precario e del disturbante, sul dubbio rispetto all'idea di salvezza, sulla speranza di essere cari al cielo pur sapendo che la gravità spinge a terra: le prospettive e le luci vertiginose del grande manierista sono insieme voli e cadute.
Osservata con minore indulgenza, la rassegna è un contenitore assai simile nell'impianto alle precedenti prove di Maria Corral e Rosa Martinez (2005), Robert Storr (2007) e Daniel Birnbaum (2009). Si parte da un tema vago, da un metodo centrato sulle scelte soggettive del curatore e da due luoghi precisi quali il Palazzo delle Esposizioni ai Giardini e il primo pezzo dell'Arsenale. Ne nascono mostre obbedienti e istituzionali che servono a giustificare tutto quello che le accompagna, la gigantesca offerta di cose medie, mediocri o straordinarie sparse tra i padiglioni nazionali, le mostre a latere e quelle felicemente parassitarie. Così di solito, costretti in limiti economici e metodologici piuttosto angusti, i curatori realizzano l'esposizione meno originale della loro carriera e può capitare che anche artisti bravissimi portino qui il loro peggio. Quest'anno, per esempio, è cocente la delusione di fronte ai quadretti di Pipilotti Rist, che di solito è un vulcano d'invenzioni, o nella stanza di Cindy Sherman che cerca invano di rinnovarsi. Troppa attesa? Troppa paura? Pochi mezzi? Certo assai poca audacia.
La Biennale di Venezia si dimostra ancora un simbolo potentissimo, un festival che unisce poesia, pubbliche relazioni e affari, come dimostra l'occupazione della città in una settimana di notti bianche. La crisi è andata in vacanza e sul Canal Grande non ce n'è stata traccia, o forse incominciamo a capire come se ne uscirà: con differenze di classe assai maggiori e un nuovo spazio alla mondanità, dove l'arte è considerata un buon modo per diversificare gli investimenti ma anche, per fortuna, come un modo per rendere omaggio a una spiritualità di cui non si sa fare a meno. I padiglioni e le mostre collaterali, più danarosi e spesso più meditati di quello centrale, hanno maggiore libertà d'azione. Per tutto questo il curatore rischia di uscirne malconcio, con buona pace di ogni suo presupposto ideologico: a lui va il compito di dare un nocciolo all'oliva ed è l'oliva, la sarabanda collettiva, ciò che conta davvero.
Molte opere peraltro si salvano: lo Spazio Elastico di Gianni Colombo è un antro buio, intelligente e sensibile, che continua il riconoscimento post mortem di uno dei nostri migliori artisti e che trova un corrispettivo compatibile nella luce rosata di James Turrell. Christopher Wool propone un allestimento di quadri gestuali, marroni e neri, omaggio e critica al modernismo di Greenberg. Nicholas Hlobo ci porta dal Sudafrica uno spazio irrisolto ma vitale. Monica Bonvicini costruisce una scalinata riflettente che traduce la tensione di Tintoretto.
Ma, in generale la mostra affronta il tema prescelto, quello delle «Illuminazioni», in modo spesso letterale e con qualche lampadina di troppo.
Tutto funziona assai meglio laddove la curatrice ha dato spazio all'intuizione dei cosiddetti "parapadiglioni" affidati a Franz West, Monika Sosnowska, Oscar Tuazon e Son Dong. Si tratta di quattro opere di dimensione ambientale, firmate da un solo regista ma nate per accogliere interventi complessi: per esempio, nel labirinto aguzzo e decorativo di Sosnowska c'è spazio per le fotografie impegnate di David Goldblatt e in quello di Son Dong, che ha ricostruito la facciata della sua casa di famiglia in Cina, troviamo anche interventi di Yto Barrada. Franz West mette in un guscio dipinto di bianco e verde artisti come Otto Muehl, Rudolf Polanzsky e altri compagni di una Vienna affannata e ossessionata dalla corporeità. A West è andato il Leone d'oro alla carriera, insieme a un'altra grande vecchia dell'arte che solo recentemente è stata ritrovata tra i lost and found: Elaine Sturtevant, che da sempre plagia i suoi contemporanei mettendo in dubbio l'identità dell'autore, il suo ego di singolo alla Kierkegaard e il mito dell'irripetibilità.
I parapadiglioni, così come il modo di operare di Sturtevant, recuperano la relazione tra artisti che è sempre stata alla base dei movimenti e dei momenti migliori, ma parlano anche di un aspetto tipico del nostro tempo: sentiamo ancora la necessità di personalizzare con nomi di singoli individui i fenomeni che cambiano il mondo, dalla rivoluzione informatica rappresentata da Steve Jobs al male politico identificato in Bin Laden, ma oggi tutto viene fatto in equipe. Sarebbe stato bello che, lasciate a casa le boutade dell'ingresso, tutta la mostra fosse stata impostata seguendo questa intuizione.
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tutti i numeri della biennale 1
prima donna al comando
Bice Curiger La critica d'arte Bice Curiger rappresenta di per se stessa un piccolo primato. Infatti, risulta essere la prima donna che abbia diretto da sola una edizione della Biennale d'arte di Venezia
3
riconoscimenti ufficiali
Leoni d'oro e d'argento Tre i premi ufficiali: Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale, Leone d'oro per il miglior artista di «ILLUMInazioni», Leone d'argento per un giovane artista di «ILLUMInazioni»
4
nazioni: la prima volta
Da Haiti al BangladeshQuattro le nazioni presenti in Laguna che espongono per la prima volta in una Biennale di Venezia: sono Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh e Haiti 5
giurati
I magnifici cinqueI componenti della giuria sono: Hassan Khan (Egitto), Carol Yinghua Lu (Cina), Letizia Ragaglia (Italia), Christine Macel (Francia) e John Waters (Usa)

37
eventi collaterali
Molta arte in cittàPalazzi, musei e istituzioni in città ospitano ben 37 eventi, ampliando la ricca offerta di mostre della Biennale ai Giardini e all'Arsenale

54
l'edizione di quest'anno

In oltre cent'anni d'attività

83
artisti in mostra

Presenti nella rassegna internazionale

89
le nazioni presenti

Un numero da record


600
pagine di catalogo
Edito da Marsilio Il catalogo ufficiale della 54esima Biennale Internazionale d'arte di Venezia è edito da Marsilio. Si tratta di un volume unico di 600 pagine
5mila
giornalisti accreditati
Tra italiani e stranieri Nei tre giorni giorni di vernice riservata alla stampa si sono accreditati oltre 5mila giornalisti (di cui 3.500 stranieri e 1.500 italiani)
10mila
spazi enormi
I metri quadri dell'Esposizione La Biennale si estende su una superficie di 10mila metri quadri che comprendono gli spazi del Padiglione Centrale, i Giardini e l'Arsenale

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