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Giotto, che testa tra le nuvole!

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Giotto, che testa tra le nuvole!

Ammettiamolo, è un gioco che abbiamo fatto tutti, in riva al mare o in alta montagna, sopra la distesa dei laghi oppure in volo, sbirciando dall'oblò dell'aereo. Alzi la mano chi non ha mai ceduto alla tentazione di giocare con le nuvole, osservando in esse «sculture mutevoli», ritratti, profili, draghi, cavalli, mostri, delfini e balene, emersi all'improvviso nella candida materia e subito dopo spariti nel nulla.
Stupisce apprendere che questo gioco innocente era, in passato, preso molto sul serio. Immagini «fatte dalla natura» come le figure plasmate dalle nuvole avevano attirato l'attenzione di Aristotele, Plinio, Lucrezio e Filostrato. L'intellettuale bizantino Michele Psello, in un trattatello di demonologia, paragonò le cangianti figure delle nuvole ai corpi dei demoni, che potevano assumere forme diverse con la medesima facilità. Il domenicano Alberto Magno (patrono degli scienziati) era invece certo che le figure viste tra le nubi non fossero frutto dell'immaginazione di chi le contemplava ma soggetti perfettamente reali. Il dotto teologo affrontò anche le varianti dell'argomento: ad esempio, visitando i cantieri di San Marco a Venezia, constatò che le venature delle pietre e dei marmi spesso si presentavano come "pitture" involontarie, e attirò la nostra attenzione su un ritratto a natura pictum (dipinto dalla natura) di un re pulcherrimum con tanto di corona et longa barba. Dopo di lui ci fu chi – come il pittore Piero di Cosimo – si spinse addirittura a contemplare le semplici macchie di sporco sui muri, per vedere di intercettare «immagini figurate» prodotte dalla disposizione casuale di linee e colori. Tornando al cielo, dobbiamo rimarcare che Alberto Magno, ispirato da Avicenna, sosteneva pure che i meteoriti si formassero tra le nubi e che cadessero sulla terra in forma di animali, e di vitelli in particolare.
Le convinzioni che i vitelli piovano dal cielo e che le figure osservate tra le nubi siano figure reali oggi ci fanno sorridere. Però bisogna considerarle seriamente se si vogliono comprendere alcuni dettagli della pittura medievale e rinascimentale. Certo, Leonardo da Vinci osservava le nuvole da scienziato e le descrisse - ad esempio nel Codice Leicester - con parole incantate. Ma se solo si vanno a osservare le tavole di Andrea Mantegna – che era più anziano di una sola generazione rispetto a Leonardo – ci si accorge che le sue nuvole possono assumere le forme di cavalieri rampanti (così nel San Sebastiano del Kunsthistorisches Museum di Vienna), così come la Madonna di Foligno e la Madonna Sistina di Raffaello Sanzio presentano nel cielo banchi di nubi fatti esclusivamente di teste d'angeli. Nel caso di Mantegna gli studiosi hanno dibattuto se si possa trattare di un omaggio alle teorie "nebulose" del teologo domenicano oppure se il dettaglio vada interpretato come una precisa citazione antiquaria legata alla nascita dei centauri, figli di Nephele, partoriti dalle nuvole. Nel caso di Raffaello dovremmo essere semplicemente di fronte a cherubini e serafini schierati in perfetto ordine.
La questione delle "nuvole figurate" torna adesso alla ribalta perché la storica del l'arte e della civiltà francescana Chiara Frugoni ha fatto nella Basilica Superiore di Assisi una piccola ma intrigante scoperta. Nel riquadro che narra la Morte di Francesco, posto sulla parete sinistra della Basilica Superiore a circa tre metri d'altezza, la studiosa ha osservato un dettaglio sinora sfuggito alle indagini: la presenza di un ritratto di profilo interamente modellato in una nuvola. È sorprendente sapere che tale dettaglio - si qui sfuggito, a quanto pare, a tutti gli osservatori - si è rivelato all'occhio della studiosa esclusivamente grazie alle moderne tecnologie di riproduzione e di lettura degli affreschi, tecnologie che permettono non solo di salire idealmente sui ponteggi ma di effettuare eccezionali ingrandimenti dei dettagli.
La scena in questione illustra il compianto dei confratelli sul corpo stigmatizzato di Francesco e - in alto - la gloria celeste del Santo. Degli undici compagni di Francesco, uno ha interrotto la contemplazione del corpo perché attratto dalla visione celeste. Nella Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio – fonte principale delle storie – si dice infatti che «uno dei suoi frati e discepoli vide quell'anima beata, sotto l'aspetto di una stella brillantissima, sollevarsi su una candida nuvoletta... e penetrare diritta in cielo».
Di solito nei dipinti medievali lo sfondo è occupato dal tempo eterno di Dio, è cioè da una lastra d'oro che rimanda al cielo del Paradiso dove nulla avviene. Nelle storie francescane di Assisi il cielo è quasi ovunque di un azzurro immobile, senza accadimenti atmosferici. Nell'episodio della Morte di Francesco, invece, sono presenti nuvole reali, vaporose e sfumate, che paiono ritratte dal vero e con tanto d'accenno al vento che le fa muovere. Nella «candida nuvoletta» più vicina all'angelo di destra ci appare un vigoroso ritratto maschile, forse completato da due corna.
Secondo Chiara Frugoni – che alla piccola scoperta dedicherà il saggio «Playing with clouds» in uscita a fine agosto sul «The Burlington Magazine» – questa è la prima testimonianza per ora nota nella pittura italiana di un maestro che si mette a giocare con le nuvole manipolandole come fossero materia scultorea. Ovvia è la domanda: perché Giotto (o chi per esso) inserì questo singolare dettaglio proprio nell'affresco teso a glorificare il santo avviato verso il cielo con l'aiuto degli angeli? È semplicemente una burla di un burlone (sappiamo che il pittore era incline alle beffe) o è qualcosa di teologicamente più consistente: si allude forse alle riflessioni "nuvolose" di Alberto Magno? O a quelle demonologiche di Michele Psello? O c'è un riferimento alla «nuvoletta» fisica di cui parla Bonaventura da Bagnoregio?
Per ora non è possibile rispondere con certezza – dice Chiara Frugoni –. Tuttavia – diciamo noi – chi ha delle idee in merito può farsi avanti mettendo, come Giotto, la testa tra le nuvole.
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