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La Lisson nell'orto di Leonardo

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La Lisson nell'orto di Leonardo

Milano batte New York, Hong Kong, Pechino e Dubai come destinazione per la prima sede internazionale di una galleria come la londinese Lisson. Sarà perché tutti vogliono aprire in Italia? No, è per il motivo opposto: «Nessuno si posiziona a Milano, tutti vanno gli uni dietro gli altri come pecore. Per questo la nostra è una mossa vincente. I posti troppo affollati non ci interessano». E poi, certo, «Milano è la capitale finanziaria d'Italia, i collezionisti sono qui, siamo nel cuore d'Europa», eccetera. Nel presentare la prima costola non inglese della sua galleria (che incidentalmente è anche la prima galleria non italiana ad aprire a Milano), il fondatore Nicholas Logsdail settimana scorsa si è destreggiato fra la lusinga e la gaffe. Ma resta il fatto che l'arrivo della Lisson Gallery in uno spazio deliziosamente segreto della Milano rinascimentale, in via Zenale 3, è un'occasione per riflettere.
La mostra inaugurale, affidata per la curatela all'artista superconcettuale Ryan Gander, si intitola «I know about creative block and I know not to call it by name» (fino al 5 novembre, www.lissongallery.com). Raccoglie lavori di Allora e Calzadilla, Haroon Mirza, Jonathan Monk, Giulio Paolini, Spencer Finch e altri, che hanno in comune il fatto di essere concettuali sì, ma con un'allusione forte alla creatività umana, contrapposta alla pochezza emotiva di ciò che è automatico, impersonale. Lo spazio espositivo è ridotto, una sala più un piccolo ufficio seminterrato. Il contesto però è straordinario: il piano terra del palazzo del 1901, di proprietà della famiglia Castellini, che divide il parco interno con Palazzo degli Atellani (qui si trovavano gli ortio di Leonardo da Vinci). La Lisson si è aggiudicata il diritto di usare anche i giardini per l'installazione di opere monumentali. Si spera dunque che nei prossimi mesi si avvicendino mostre personali dei pezzi da novanta della scuderia: Ai Weiwei e Daniel Buren, Tony Cragg e Sol LeWitt, Julian Opie e Santiago Sierra, Marina Abramovic e Lee Ufan, Anish Kapoor. Ma può anche darsi che la "Lisson Milan" resti soprattutto un lussuoso avamposto di contatto con i collezionisti (ruolo affidato alla nuova direttrice Annette Hoffmann).
Rimane da vedere se la galleria fondata a Londra nel 1967, considerata una tra le più potenti del mondo, poi sosterrà anche le nostre fiere, i nostri artisti. La speranza di tutti è che la sua presenza invogli altri grossi nomi a guardare verso l'Italia. Nel frattempo, sono a confronto le due versioni della realtà date dall'assessore Boeri («Milano città d'arte di prestigio internazionale») e dal proprietario della Lisson («Milano è interessante perché è una stanza ancora vuota»). Chi avrà ragione?
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