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Il '68 ritorna al Mambo

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Il '68 ritorna al Mambo

È probabilmente la più "filologica" delle esposizioni dedicate all'Arte Povera quella che ha aperto per prima in ordine di tempo, al Mambo di Bologna. "Arte Povera 1968" prende spunto infatti dalla una delle primissime mostre del movimento, che si tenne alla Galleria de' Foscherari di Bologna tra il febbraio e il marzo di quell'anno, e ne riprende opere, intenti e atmosfere grazie a una ventina di installazioni decisamente di culto, a una sezione documentaria di grande potere evocativo, e a un lungo video che ripesca frammenti di storia "in progress".
L'ingresso nella Sala delle Ciminiere avviene attraverso una sorta di portale in cui scorrono i ritratti in bianco e nero che il fotografo Paolo Mussat-Sartor ha fatto ai protagonisti dell'Arte Povera tra il 1968 e il 1987. Un'introduzione che ne materializza le presenze, facendo sì che poi davanti a pezzi notissimi come la "Venere degli Stracci" di Pistoletto, il "Panettone" di Boetti, l'"Averroè" di Paolini o l'"Igloo con Albero" di Merz, il pensiero non si fermi sull'opera come oggetto pubblico, già storicizzato, bensì vada alla persona che lo creò, alle sue istanze e alla spinta intellettuale ed emotiva che presiedette il gesto: il segno delle dita di Penone rimaste conficcate per sempre nel grande tronco di frassino (accompagnato dalle foto dell'azione, con l'artista ventunenne abbracciato all'albero sulle Alpi Marittime), lo scavo progressivo del corpo nella vasca "Bagno-barca" di Pistoletto, l'anelito alla materia di Calzolari ne "Il mio letto così come dev'essere".
La ricostruzione di quel periodo del movimento passa infatti attraverso pezzi forti: c'è l'autoscatto di Giovanni Anselmo del 1971 intitolato "Entrare nell'opera", dentro cui l'artista si affretta da quarant'anni per raggiungere il punto focale dell'autoscatto, c'è l'"1 metro cubo di terra" di Pascali del 1967, con i suoi rimandi alla riflessione sul minimalismo americano, ci sono le "Patate" di Penone e il "Pavimento" di Fabro del 1967, due opere che il museo deve ogni mattina "aggiornare", oltre che custodire.
Ci sono, nella sala laterale del Mambo, centinaia di documenti che mostrano la vitalità impressa dall'Arte Povera alla scena artistica: accanto ai «Libri secondo l'arte Povera, dal 1966 al 1980» sono esposti i manifesti delle mostre storiche, i cataloghi, pezzi unici come il poster con cui Pistoletto invita alla collaborazione per la XXXIV Biennale veneziana, gli inviti scritti a mano della mostra tenuta da Sperone nel 1969, quelli della galleria parigina di Ileana Sonnabend. Il dibattito critico innescato dalla mostra bolognese compare nel quaderno che conserva gli interventi di Apollonio, Calvesi, Barilli, Guttuso. Il percorso si conclude con un film-documentario di ventotto minuti, curato da Beatrice Merz e Sergio Ariotti, che monta sequenze d'epoca raccontando con le voci dei protagonisti la sensazione che l'Arte Povera fece in Italia e in America. A parlare e a muoversi nelle immagini un po' sgranate sono Ruggero Orlando, che spiega l'ossessione di Mario Merz per Fibonacci e la sua allusione all'eternità, Leo Castelli che ragiona a voce alta sui primi Igloo di Merz, intervistato durante il vernissage del Guggenheim nel 1970.
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Arte Povera 1968, Bologna, MAMbo,
fino al 26 dicembre, tel. 051 6496611, www.mambo-bologna.org

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