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Com'è la vita di un'opera senza contratto? Difficile

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Com'è la vita di un'opera senza contratto? Difficile

L'artista americano Mark Grotjahn, classe 1968, ha citato in giudizio a Los Angeles il collezionista Dean Valentine (trustee dell'Hammer Museum) per non aver pagato i diritti di seguito (pari al 5% del prezzo di vendita) su tre sue opere. La California è l'unico stato americano dove si applica il droit de suite e gli Stati Uniti uno dei pochi paesi che monitora il reddito degli artisti (in media 43mila $ l'anno secondo il recentissimo rapporto de The National Endowment for the Arts). Quanti artisti italiani avrebbero citato in giudizio il loro gallerista (dato che in Italia il diritto di seguito lo deve versare l'operatore professionale)? Quanti artisti italiani conoscono i loro diritti?
«La maggior parte si affida ai galleristi che fanno loro da agenti» spiega Franco Dante, commercialista esperto d'arte. Ma quanto i loro interessi coincidono? Di contratti nessuno vuol sentirne parlare, né a monte (l'artista) né a valle (il collezionista) della catena del valore dell'arte. Eppure gli artisti, liberi professionisti, dovrebbero conoscere i loro diritti/doveri e i diritti sulle loro opere a partire dai contratti di vendita. «La prassi degli scambi fra artisti e fruitori dell'opera è, almeno in Italia, altamente informale, in pratica orale», spiega Alessandra Donati, docente della facoltà di giurisprudenza di Milano-Bicocca. E, crepi l'avarizia, si concede se richiesta dal collezionista la fattura, soprattutto nelle consuetudini dei galleristi internazionali.
«In realtà, la mancanza di un rapporto scritto non lascia più “libere” le parti, ma attiva automaticamente, in caso di conflitto, un sistema di regole – presenti in larga misura nel codice civile nel diritto privato –, scritte senza particolare attenzione al mondo dell'arte e all'unicità dell'opera», prosegue Donati. «Soprattutto l'arte contemporanea invece di trovare nel diritto un mezzo, ne misura il limite e poiché il diritto è in ritardo rispetto alle novità espressive artistiche è necessario che tra le parti subentrino accordi privati» è convinta Donati.
Di solito il rapporto fra artista, gallerista, collezionista, si fonda sulla fiducia e sulla conoscenza personale. «Tuttavia questa relazione si articola in continui scambi, che interessano non solo la produzione dell'opera, ma altri aspetti che precedono la creazione o la accompagnano: dalla produzione che coinvolge il gallerista, al mandato a vendere, dal diritto alla riproduzione e all'utilizzazione economica dell'opera e della sua immagine, al restauro o alla sua distruzione, dal trasferimento a terzi e al prestito su richiesta dell'autore. Tutte azioni che richiedono continui scambi di consenso» prosegue Donati che parlerà a Torino de «I contratti degli artisti» ad Artissima 18 nei meeting point domenica 6 novembre (17.30) e poi il 10 a Brera dalle 9.
Dal contratto standard definito nel 1971 da Bob Projansky e Seth Siegelaub non si sono fatti molti passi avanti: l'artista tedesco Hans Haacke ha sempre fatto circolare le sue opere seguendo questo standard, addirittura i contratti stilati da Daniel Buren definiscono nei dettagli l'uso economico dell'immagine dell'opera (diritti di riproduzione ed esposizione) e se non rispettati Buren disconosce l'opera. Insomma negli equilibri contrattuali vi deve essere una divisione di rischi, costi e vantaggi economici, compreso l'impegno dell'artista a rilasciare un documento attestante l'autenticità dell'opera.
Una trasparenza che farebbe bene al mercato. Lo studio di Alessandra Donati e Gianmaria Ajani, preside della Facoltà di giurisprudenza di Torino, insieme ad Anna Detheridge e al gruppo artistico Vladivostok (composto da Luca Bertolo, Chiara Camoni, Ettore Favini, Maddalena Fragnito, Linda Fregni, Alessandro Nassiri, e Antonio Rovaldi) ha portato a definire 15 tipologie di contratti (per mostre, con galleria, ecc.) fornendo maggiore chiarezza sul ruolo professionale di ciascuno dei contraenti. Ora i contratti ci sono, basta usarli!
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