ArtEconomy24

La Città Eterna al tempo del Merisi

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

La Città Eterna al tempo del Merisi

Quaranta pale d'altare e un centinaio di quadri di destinazione privata: tale è il consuntivo delle opere esposte in una mostra che vuole illustrare Roma al tempo di Caravaggio. Ma qual è il tempo di Caravaggio? Forse gli anni del suo periodo romano che non si sa quando inizi e che si conclude nel 1606, oppure quelli della sua vita che termina nel 1610? No, sono i decenni della pittura a Roma nei quali si protrae l'influenza caravaggesca attraverso almeno due generazioni di pittori, sino all'incirca al 1630, quando la tendenza del gusto dominante nella città eterna volgerà verso il classicismo e il barocco avrà già dato smaglianti prove di sé.
Certamente Roma tra il 1600 e il 1630 fu un crocevia affollatissimo di esperienze artistiche, che potremmo sintetizzare così: la resistenza del Manierismo, che ancora sopravvive in personaggi un po' avvizziti come il grande Barocci giunto al capolinea, o Federico Zuccari; le novità introdotte dal Caravaggio dopo il 1595, che convivono con il rinnovamento di Annibale Carracci, sceso da Bologna negli stessi anni e poi seguito da un corteggio di pittori ispirati dall'ideale classico, come Guido Reni, Domenichino, Albani e Lanfranco; la "solitudine" di un gigante come Rubens, che anticipa il barocco pubblicando le superbe ardesie nel presbiterio di Santa Maria in Vallicella; la piccola invasione dei fiorentini riformati, con il Passignano e il Cigoli in testa. Poi non possiamo dimenticare Adam Elsheimer, anche se in mostra non è presente alcuna sua opera. Dal primo decennio del secolo inizia la lunga sfilata dei caravaggeschi di più o meno stretta osservanza, smistati tra coloro che si aggiornano subito alla luce del maestro, vedi Orazio Gentileschi, Borgianni e Saraceni, e gli ultimi, attivi sino al 1630, quando la memoria del Merisi inizia a svanire. La sua lezione era stata appresa con difforme intelligenza da pittori convenuti dall'Europa intera: dalle Fiandre, dall'Olanda, dalla Spagna e dalla Francia. Dei pittori ancora sensibili al Caravaggio dopo il 1620 Giovanni Serodine sbaraglia ogni possibile contendente, essendo il solo a essere riuscito a penetrare in fondo al cuore del maestro.
Ai caravaggeschi è dedicato ampio spazio in questa esposizione curata da Rossella Vodret e basata su repertori pubblicati recentemente e anche sul modello del Genius of Rome (London, 2001). Ma i caravaggeschi non occupano che uno degli scaglioni romani del primo Seicento, e il confronto tra la Madonna di Loreto di Caravaggio e la tela dello stesso soggetto della chiesa di Sant'Onofrio attribuita ad Annibale Carracci ( su tale confronto si veda C. Puglisi, Caravaggio, Phaidon, 2003), viene addotto come prova della diversificazione degli intendimenti e delle correnti, nonché della contrapposizione tra il naturalismo del Merisi e il classicismo di Annibale, contrapposizione che però non va presa troppo alla lettera, se si pensa che alla formazione di Annibale contribuì decisamente il naturalismo emiliano e che la figura femminile della Madonna di Loreto di Caravaggio deriva da una statua greco-romana, la così detta Tusnelda.
Il lato più interessante di questa mostra consiste nella presenza di quadri raramente visibili: dal Lanfranco di Leonessa, al Bilivert di San Callisto, all'Honthorst del convento dei Cappuccini, allo stupendo Baburen dell'Ambasciata di Spagna, al San Pietro Nolasco di ignoto, già in Sant'Adriano al Foro e oggi nella Casa dei Padri Mercedari.
Quando Velázquez nel 1629 venne a Roma credo abbia fatto il giro delle chiese dei Mercedari, ordine spagnolo, e forse vi trovò anche la Vergine con San Pietro Nolasco di Serodine, dipinto che dovette incuriosire il grande pittore sivigliano al punto che questi si mise a cercarne altri di Serodine, tutti di recente fattura, infatti è innegabile che qualcosa della pennellata di Serodine rimase nei ricordi di Velázquez, un indiretto attestato di stima che mi pare sia stato poco sottolineato dalla critica.
I quadri esposti ruotano attorno al fulcro di un Sant'Agostino assegnato da Silvia Danesi Squarzina al Caravaggio specialmente per la provenienza da un ramo dei Giustiniani, per la prima volta esposto in Italia. Nel cartellino sottostante il dipinto si avverte che l'attribuzione al Merisi non è unanime. Personalmente anch'io dissento da tale assegnazione, certo è che questo Sant'Agostino spensierato, intento a scrivere un diario più che le proprie confessioni, è un bel quadro che va a infittire il folto elenco dei casi irrisolti. Il suo abbisognerebbe di un lungo commento atto a stabilire, innanzitutto, a quale momento del "tempo di Caravaggio" appartenga, una volta accettato che questo tempo di Caravaggio si inoltra ben oltre quello della sua vita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
«Roma al tempo di Caravaggio 1600-1630», Roma, Palazzo Venezia, fino al 5 febbraio 2012. Catalogo Skira

© Riproduzione riservata