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La Gnam del nostro tempo

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La Gnam del nostro tempo

Dopo i nuovi MaxxI e Macro, a Roma arriva anche la nuova Gnam con il proposito di mettere in luce quanto l'arte italiana degli ultimi duecento anni sia aperta, fertile e ricca di tangenze internazionali. Pochi soldi e molto spirito d'iniziativa. La Galleria è stata chiusa per quasi due mesi e dal 21 dicembre riapre con un nuovo allestimento pensato sui consigli dei visitatori, monitorati da una ricerca durata oltre due anni.
L'idea è di non organizzare i percorsi per soggetti o cronologie, ma secondo grandi temi che coinvolgano il pubblico, favorendo un'esperienza estetica oltre che conoscitiva. Apre l'esposizione il pavimento specchiante di Alfredo Pirri, l'ultima acquisizione del museo, che oltre a noi riflette una delle opere più antiche presenti in collezione, il Bozzetto per il monumento funerario a Vittorio Alfieri di Canova (1806). Il grande salone al centro, parafrasando il titolo della famosa guida all'arte contemporanea di Giorgio de Marchis, chiede «Scusi ma è arte questa?», con alcuni dei pezzi più provocatori e importanti del museo fra cui uno dei primi sacchi di Burri dove la juta lacerata si sostituisce alla pittura, un cretto nero e varie combustioni, come la famosa plastica rossa. Seguono una pittura gestuale di Vedova, e Fontana con i suoi teatrini, tagli e buchi, ovviamente Manzoni con le sue bianche tele fatte di lana di vetro e batuffoli di ovatta. Da questa sala centrale possiamo muoverci in tutte le direzioni costruendo un nostro percorso.
Immancabile il grande Ercole canoviano (1795-1815) che apre la sezione ottocentesca; le due enormi tele di Sartorio, raffiguranti la Gorgone (1890-1899) e Diana di Efeso dalle cento mammelle (1890-1899) ci ricordano la resistenza del mito nell'epoca della piena ricerca del vero, quando i macchiaioli come Giovanni Fattori (La battaglia di Custoza, 1880) e Gioacchino Toma (Luisa Sanfelice in carcere, 1874-1875) riportano l'attenzione su temi di stretta attualità, e altri autori di stampo realista, come Michetti e Luigi Nono, ritraggono questioni sociali quali il fanatismo religioso (Il Voto, 1883 e Refugium peccatorum, 1882).
Nel secondo settore è andato via l'incombente Giordano Bruno (spostato all'Andersen) e al suo posto si marcia verso la modernità con i maestri nazionali e internazionali che hanno introdotto le novità dell'arte d'Oltralpe. Si parte con gli italiani a Parigi e il fascino dell'Impressionismo: il grande trittico di De Nittis (1881) che raffigura la modernità borghese parigina, e le opere del periodo francese di Medardo Rosso, fra le quali molte presenti alla «Mostra sull'Impressionismo» organizzata da Ardengo Soffici a Firenze nel 1910. Vincent Van Gogh con l'Arlesiana (1890) e la preziosissima opera di Klimt che raffigura il tema simbolico de Le tre età della donna (1905). C'è una sala dedicata al simbolismo con gli enormi trittici giallo oro di Previati e poi il più moderno Adolfo Wildt, con il lucente busto di Arturo Toscanini (1924). De Chirico con numerosi pezzi, Modigliani con il ritratto della moglie del suo mecenate polacco e un nudo sensuale. Le grandi avanguardie sono rappresentate in blocco, in due sale contigue che mettono in luce tutta la portata dell'astrattismo con le novità di Archipenko, Balla futurista dalla pittura che deborda sulla cornice, un grande bronzo aereo dello svizzero Max Bill, e una rara tela suprematista di Moholy Nagy (Yellow Cross Q VII, 1922) vicino a un collage (Merzbilder) di Schwitters (1921).
Nel terzo settore, che riguarda la modernità più recente, Cy Twombly, con una delle sue tele che omaggiano l'Italia, trova posto accanto a due scarni Giacometti; subito prima, nella sala dedicata a Novecento, c'è la provocatoria Crocifissione di Guttuso (1941) che cita Guernica di Picasso e nasconde il volto di Cristo. Ci allontaniamo dalla figurazione passando per una grande scultura di Henry Moore, il fregio essenziale di Nicola De Maria e quattro enormi tele di Capogrossi. Gli effetti del Pop in Italia sono esemplificati da Franco Angeli, Rotella, Tano Festa e Ceroli, mentre il Nouveau Réalisme è rappresentato da Christo, con il progetto per l'impacchettamento del Ponte Sant'Angelo (1967), e da una teca di plastica contenente i residui di un pasto di Daniel Spoerri. Purtroppo nessuno degli ambienti cinetici del Gruppo T è stato ricostruito, ci sono solo alcune opere a parete di Grazia Varisco, Gianni Colombo e Davide Boriani, ma in compenso la sala dedicata a Pino Pascali in occasione della "Mostra Arte Povera" ha dell'eccezionale: una ricostruzione fedele all'allestimento che Palma Bucarelli gli dedicò nel 1969, ispirata allo studio abbandonato dopo la sua tragica morte. Quasi tutte le opere del fondo sono presenti. Le grandi Labbra rosse (1964), Torso di negra (1964-65), la Ricostruzione del dinosauro (1966), i grandi funghi di pelo acrilico, i Bachi da setola (1968), Cornice di fieno (1967), gli Attrezzi agricoli (1968) e persino la grande scultura Campi arati con fiume con foce tripla (1967) che non si esponeva completa dal 1967 perché fatta di eternit e ora bonificata.
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