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Renzo fa crescere Isabella

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In Primo Piano

Renzo fa crescere Isabella

Saranno i versi di Edoardo Sanguineti e le note aspre di Luciano Berio ad accogliere gli invitati alla serata d'inaugurazione della nuova ala dell'Isabella Gardner Museum a Boston il 19 gennaio. Sospesi però in una bolla di legno invece che seduti nel cortile coperto del palazzetto in stile veneziano che nel 1903 aprì per la prima volta i suoi saloni alla "high society", inaugurando una tradizione ormai lunga più di un secolo. La Calfderwood Hall è la nuova sala di concerti che Renzo Piano considera orgoglioso come la performance più riuscita dell'intero progetto di ampliamento del museo, il punto d'arrivo di quell'«architettura acustica» che dall'allestimento veneziano per il Prometeo di Luigi Nono si è ramificata sino all'auditorium del Parco della Musica di Roma. Sale da musica Piano ne ha costruite tante e dovunque: a Torino (Lingotto), a Parma (Niccolò Paganini), a Lodi (Banca Popolare), a Berlino (Postdamerplatz). Questa di Boston, ci dice però, «la sognavo da un pezzo. È la concretizzazione dello spazio dinamico che avevo tentato di realizzare la prima volta con Berio e Boulez a Parigi, nel caveau dell'Ircam, sotto al Centre Pompidou. Uno spazio dove la prossimità tra ascoltatore e musicista è incoraggiata dalla presenza degli strumenti al centro e i posti a sedere tutt'attorno nelle logge lungo le pareti. Solo così si raggiunge quel rapporto intenso tra musica e spazio che quasi trasforma l'architettura stessa in uno stradivario. La linea d'ispirazione mi è stata dettata implicitamente da Boulez, da una sua particolare composizione scritta proprio per l'Ircam negli anni 80: Répons, 42 minuti di musica grandissima con al centro un ensemble strumentale circondato dal pubblico, alla maniera del canto liturgico del responsorio. Un solista intona un versetto e il coro gli risponde. Si genera così un dialogo a più voci e con materiali musicali diversi, dal suono tradizionale a quello digitale, che trasforma il suono in tempo. A pensarci bene, tutto il processo d'ampliamento dell'Isabella Gardner Museum può essere considerato una specie di responsorio, ispirato alla pratica dell'ascolto e alla tecnica della reazione appropriata».
Girando attorno alle nuove strutture che combinano il verde intenso del rame con la purezza trasparente delle grandi lastre di vetro si capisce a fondo in che cosa consista questa composizione per coro e solisti. Da una parte l'assolo della casa-museo, ancora oggi impregnata dalla carismatica personalità di una donna che sino alla sua morte, nel 1924, rappresentò nell'ambiente puritano dei "bostonians" descritti da Henry James la forza scatenante – e oltraggiosa – di una vita all'insegna dell'arte perseguita con oltraggiosa passione. Dall'altra il coro sottotono di cinque nuovi volumi – una serra, una sala per mostre, una sala da concerti, alcuni alloggi per artisti e aule per la didattica – tenuti a rispettosa distanza (circa 20 metri) dall'edificio storico e distribuiti in modo da costruire nel vuoto dell'isolato una piccola città della cultura: un luogo informale dove muoversi tra ambienti luminosi e sale con libri a disposizione per i visitatori, ben diversi dall'aristocratica grandeur delle stanze in stile della casa di Isabella. Che forse però non si sarebbe dispiaciuta di questa nuova sistemazione per quelle attività di intrattenimento colto cui, per testamento, aveva perennemente destinato gli ambienti di una casa divenuta ormai troppo delicata per resistere alla crescente richiesta delle comunità locali.
Rossa di capelli, diafana di pelle, minuta di corporatura ma aggraziata; non bella a dispetto del nickname «Belle» riservatole dalla sospettosa invidia dell'aristocrazia cittadina, Isabella aveva fatto parlare di sé sin dall'arrivo a Boston da New York dopo le nozze con Jack Lowell Gardner. Troppo eccentrica per la sua passione per la moda parigina, i frequenti viaggi all'estero – Mosca e l'Oriente, non solo l'Europa –, le sue amicizie con artisti (James Whistler) e letterati (Edith Warton, ad esempio), Isabella sembrava uscita dalle pagine del suo grande amico Henry James, che, non solo le scrisse lettere intrise del migliore del suo stile ricercato e pungente, ma la fece anche protagonista (col nome di Millie Theale) di un suo famoso romanzo The Wings of the dove. Nella finzione letteraria come nella vita, la ricca ereditiera fu una emblematica rappresentante di quell'«Aesthetic Movement» che dall'Europa si diffuse sul Nuovo Continente come una febbre d'arte, sapientemente spalmata in ogni atto della vita. Per arredarla si rivolse a Bernard Berenson, sotto la cui consulenza acquistò senza batter ciglio Botticelli e Tiziano, Vermeers, Rembrandt, Bellini: ma con l'idea di costruire un patrimonio inalienabile destinato a migliorare la vita dei suoi concittadini oltre che dei sempre più numerosi visitatori. «Sfacciatamente ricca, ma con una visione – ricorda Piano – che mirava a creare una complessità attorno al cortile luminoso della sua nuova casa. Quella luce che mi ha suggerito l'approccio nel dislocare i vari corpi aggiunti e il loro rivestimento di vetro e di rame corrugato in modo da catturare le variabili vibrazioni del cielo di Boston, senza entrare in competizione con la presenza della storia».
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Isabella Stewart Gardner Museum New Wing, Boston; apertura dal 19 gennaio

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