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Ferrovie? Per me sono uno schianto

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Ferrovie? Per me sono uno schianto

Un uomo si nasconde dietro il successo del l'ultimo film di Martin Scorsese, Hugo Cabret, in uscita a febbraio in Italia. Un uomo che a modo suo ripercorre le sorti del piccolo protagonista, invisibile orologiaio tra i labirinti di uno dei luoghi più straordinari di Parigi. Ma per scoprire l'identità di questo misterioso personaggio bisogna arrivare alla fine dei titoli di coda. Una piccola ingiustizia, perché Clive Lamming, 73 anni, massimo storico delle ferrovie francesi, collezionista appassionato di fotografia, autore di un'imponente bibliografia che si è appena arricchita dello splendido volume Paris au temps de gares. Grandes et petites histories d'une capitale ferroviaire (Parigramme, pagine 160, € 25,00) è la "chiave segreta" – chi vedrà il film capirà – che ha permesso al regista di immaginare il personaggio più originale e seducente dell'intero cast: una stazione parigina del 1929. Una creatura fantastica, nella complessità scenografica, storica e umana del suo meccanismo.
«Eppure per sognare e far sognare bisogna conoscere la realtà in ogni dettaglio – ricorda Clive Lamming in un'intervista al nostro giornale –. Per essere surrealisti, insomma, bisogna essere esatti». E chi meglio di Lamming, madre francese, interprete del generale De Gaulle a Londra durante la Seconda guerra mondiale, e padre inglese, «assolutamente pacifista», poteva riunire precisione e fantasia? Chi se non lui, affascinato fin da piccolo dalle locomotive, bambino che guardava passare i treni, poteva raccogliere oltre 20mila fotografie e documenti dedicati al mondo delle rotaie? E chi se non questo studioso, che ha la voce del grande narratore, poteva offrire a Dante Ferretti, scenografo di Hugo Cabret, una consulenza rigorosissima perché questo film entrasse a pieno titolo nella storia avventurosa dello chemin de fer d'Oltralpe?
Un'avventura, che segue in parallelo quella della fotografia. Quasi identiche le date di nascita: 1837, apertura della prima linea ferroviaria francese, la Paris-Saint Germain, che in solo due anni di servizio trasporterà un milione di passeggeri; 1838, prima veduta della Capitale su boulevard du Temple, firmata da Louis Daguerre.
«Due modi diversi – spiega Lamming – per affrontare il grande tema dell'età moderna: la comunicazione. La rivoluzione industriale ha bisogno di una comunicazione veloce. La ferrovia sposta merci e passeggeri rapidamente, e con la stessa rapidità la fotografa ritrae merci e "passeggeri" nel senso più ampio ed esistenziale del termine». Il viaggio ferroviario e quello fotografico hanno la stessa origine, Parigi. «La caratteristica delle stazioni parigine è quella di essere gares de tête. Tutto parte dal centro, dall'occhio di un immenso obiettivo che dispiega i suoi raggi verso il Paese. In breve le stazioni, "cattedrali della nuova umanità" come le definisce Theophile Gautier, crescono e diventano il luogo nel quale la città si rimodella e si reinventa».
Un caso se la grande verriere, la grande vetrata a triangolo che segna l'ingresso alla stazione sia identica a quella sulla facciata dell'imponente studio di Nadar in boulevard des Capucines? Solo una questione di luce o una coincidenza di destini? Ed è un caso, ancora, se sotto questo modernissimo timpano che segna addii e incontri, e che tra nuvole di vapore e sagome di ferro crea una nuova estetica, abbia trovato rifugio proprio Georges Méliès, il primo regista a portare i sogni sul grande schermo? «È pura cronaca – racconta Lamming – negli anni 20 Méliès, ormai dimenticato dal pubblico, aveva aperto un piccolo negozio di giocattoli alla Gare Montparnasse. Da qui il libro di Brian Selznick, quindi il film. Scorsese avrebbe voluto girare il film negli stessi ambienti, ma appena ha visto com'era stata ridotta la stazione negli anni 70, un aeroporto praticamente, si è diretto alla Gare du Nord, classe 1870, opera monumentale di Jacques Hittorff, architetto anche del Cirque d'Hiver e della sistemazione dell'obelisco di Place de la Concorde. Una gare sontuosa e costosissima, cinquemila euro al giorno per il diritto di ripresa. Quando Scorsese ha spiegato che aveva bisogno di almeno tre mesi di ciak – ovvero la più importante stazione di Parigi chiusa per una stagione – la direzione ha declinato l'offerta e ha fatto il mio nome». Cambio di binari.
«Scorsese ha deciso di ricostruire la sua stazione negli studios Shepperton di Londra, 4mila metri quadri su cinque piani. E a questo punto sono arrivato io e la mia collezione». Nessuna foto d'autore, «per carità, troppo care», quindi niente Henri Cartier Bresson, con la celebre Dietro la Gare Saint Lazare, e niente Willy Ronis, che pure ha scritto tra le pagine più toccanti del romanzo ferroviario francese. «Da quarant'anni raccolgo solo immagini documentarie anonime, le più ricche d'informazioni, e tra queste ho scelto esattamente 737 scatti per creare la fantasia di una stazione che assomigliasse all'80% alla Gare du Nord e per il resto alla Gare Montparnasse. Ho lavorato sei mesi, da aprile a settembre 2010, ho spedito 344 mail e ho dato consigli di ogni tipo, dall'orologio centrale, che ha una parte così importante nel film e che viene dalla Gare d'Orsay, alla facciata della stazione, ed è quella di Montparnasse, dove un tempo partiva il train des cocus, il treno dei cornuti, destinato a riportare a casa la domenica sera i mariti che avevano accompagnato moglie e figli in vacanza. E poi l'interno del set, monumentale, ispirato all'impressionante bellezza della Gare du Nord. Ma ho dato indicazioni anche sulla grafica dei biglietti e delle insegne, sulle divise, sul tipo di bagagli – sempre alla Gare Montparnasse i ladri usavano il trucco di appoggiare una grande valigia con il fondo aperto su una più piccola e quindi sparire con entrambe – e addirittura ho calcolato la percentuale del personale ferroviario in servizio su una stima di cinquecento passeggeri. Risposta? Il 14 per cento. Quindi, e nel film è una scena spettacolare, abbiamo ricostruito il famoso incidente del 22 ottobre 1895 quando un treno, a causa del mancato accoppiamento dei freni, aveva proseguito tranquillamente la sua corsa oltre i binari fino a sfondare la facciata della Gare Montparnasse, precipitando così in strada. Nella foto si vedono già le assi e i cavi che serviranno a costruire l'impalcatura per far risalire la locomotiva e riportarla a marcia indietro all'interno della stazione. Eppure di queste operazioni non esiste traccia fotografica. La Compagnia, infatti, aveva voluto nascondere ogni fase, scomposta, antiestetica del recupero».
Per nascondere gli immensi profitti dell'età dell'oro, dalla fine dell'Ottocento all'inizio del '900, le compagnie ferroviarie avevano studiato un'altra soluzione. «Invece di versare ingenti somme allo Stato, le direzioni preferirono investire nell'abbellimento delle stazioni, da allora di uno sfarzo faraonico». Esiste un modo più spettacolare, viaggio al futuro e ritorno all'infanzia, per evadere il Fisco?
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