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Il doppio cuore di Chastel

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Il doppio cuore di Chastel

Figura chiave nella storia dell'arte europea nel Novecento, André Chastel aveva dedicato il dottorato e la tesi (sostenuta sotto la direzione di Augustin Renaudet) a Arte e umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico, edita nel 1959 (in Italia nel 1964 da Einaudi). Tre lettere di Federico Zeri a Giulio Bollati ripercorrono le prime reazioni degli storici dell'arte italiani allo studio di Chastel. Nella prima (datata 16 febbraio 1960), Zeri ne proponeva la traduzione all'editore Einaudi «anche in rapporto al volume di Antal sulla pittura fiorentina e il suo ambiente sociale» (Lettere alla casa editrice, Einaudi). Qualche mese dopo, Zeri esprimeva qualche perplessità sul libro, «un vero mattone erudito, pieno di cose che interessano soltanto gli iconografi». Nella terza lettera, poi, Zeri ringraziava «per il bel libro dello Chastel, che rileggerò nell'edizione italiana» all'epoca appena uscita (1964). Nel contesto italiano l'opera di Chastel provocava dunque un certo sconcerto: poteva essere considerata tanto una variante dell'approccio sociologico di Frederick Antal quanto una derivazione della scuola iconologica di Warburg e di Panofsky con la quale era entrato in contatto a Londra. Ma Chastel non era né l'una né l'altra: il suo tomo rappresentava piuttosto un'indagine tanto più ambiziosa per la minuzia con cui era condotta, sul pensiero filosofico e le pratiche culturali nella Firenze del XV secolo.
Robert Klein, amico di Chastel, è il riferimento per cogliere meglio la novità e l'intensità di un approccio in cui, proprio come i testi di Marsilio Ficino o i dipinti di Botticelli, gli strumenti dell'analisi sociologica e dell'iconologia ermeneutica vengono sottoposti a una ricerca improntata su una nuova misura di humanitas; l'humanitas come natura degli uomini e come sistema di pratiche culturali focalizzate sull'antichità classica e sull'integrazione della storia dell'arte alla storia delle idee. Il documento più significativo di tale affinità elettiva è la presentazione che Chastel fece della raccolta di scritti di Robert Klein dopo il suo suicidio (La forma e l'intelligibile. Scritti sul Rinascimento e l'arte moderna, Einaudi, 1975).
È al sodalizio Chastel-Klein che dobbiamo la pubblicazione degli scritti di Leonardo sulla pittura (1960) o L'Europa e il Rinascimento (1963). Ed è nell'ottica di un ritorno alle fonti primarie che s'iscrivono i suoi studi su Marsilio Ficino e l'arte (uscito in Francia nel 1954, edito in Italia da Aragno nel 2002) o la pubblicazione di diversi testi fra i quali l'Ambra di Lorenzo il Magnifico o il De Sculptura di Pomponio Gaurico (1969, anche questo con Robert Klein).
L'Italia che ha sempre attirato André Chastel era tanto l'Italia del Rinascimento quanto l'Italia di oggi: come scriveva nella prefazione di Favole Forme Figure (uscito in Francia nel 1978, in Italia nel 1988) a proposito della sua giovinezza: «Scoprii l'Inghilterra con delizia, l'Italia con passione, l'Austria e la Germania, i Paesi Bassi con una curiosità un po' sconcertata». Furono la ricchezza speculativa e la dimensione etica del neoplatonismo fiorentino, con la sua atmosfera molto sottile di arte e poesia, a eleggere l'Italia a Patria spirituale di André Chastel; ma fu la profonda empatia con i problemi e i temi dell'Italia contemporanea a farne il suo Paese d'elezione, un'empatia che nessuno ha definito meglio di Giuliano Briganti che era suo (e mio) amico: «André Chastel ha amato molto l'Italia perché la sua visione antropologica, la sua esperienza di diverse situazioni culturali europee lo portavano ad apprezzare i vantaggi di una cultura vissuta e non meramente libresca, a riconoscere le convergenze fra il milieu e la vita. Nell'Italia e nel suo passato lui vedeva un'espressione di quel rapporto più direttamente marcato che altrove».
La sua assidua esplorazione dell'arte e della cultura italiana si rivolgeva, secondo l'insegnamento di Focillon, a un orizzonte di forme; ma le forme artistiche nelle opere di Chastel fungevano soprattutto da specchio privilegiato al mondo delle idee e delle pratiche culturali fra cui lo stile che, se per la tradizione italiana rappresentata da Roberto Longhi era la preoccupazione suprema, per Chastel non era certo la sola. Ecco perché mutava così sovente il suo punto di vista: i suoi testi potevano concentrarsi su un artista (per esempio Botticelli), sulla "vita delle opere" come La Gioconda: illustre incompresa (uscito in Francia nel 1988, in Italia nel 2011, per Abscondita) o su eventi storici molto significativi come Il Sacco di Roma 1527 (uscito in Francia nel 1983, in Italia nel 1984, per i tipi di Einaudi), o ancora su tipologie artistiche come La pala d'altare nel Rinascimento (pubblicato postumo nel 1993, in Italia per Garzanti): un'importante studio ispirato all'idea di Burckhardt secondo il quale «la pala era all'epoca il grande terreno di manovra della pittura».
André Chastel non è stato un pensatore sistematico («nemico feroce delle generalizzazioni astrattive» come lo ha definito Briganti); il suo metodo era molto concreto nella misura in cui si fondava sulla convinzione che classificazioni e pratiche disciplinari non possono esaurire la complessità di un'opera d'arte, e che per penetrarne il senso occorre procedere a uno studio approfondito di ogni singolo caso e del relativo contesto. Quando Chastel scrive che gli scritti di Marsilio Ficino sono «un commento musicale» all'arte del suo tempo, non parla solo di un'atmosfera, ma di una risonanza fra pratiche culturali e pensieri filosofici il cui reciproco intreccio ci aiuta a meglio comprenderne la ricchezza.
Il se rendit en Italie è il titolo emblematico degli Études offertes à André Chastel (Edizioni dell'Elefante/Flammarion, 1987): nel corso dei suoi molteplici viaggi in Italia, Chastel era guidato «dalla sensazione, che reputava tipicamente italiana, della presenza immediata, concreta dell'arte» (Briganti). Le opere d'arte in Italia, come Chastel scrive nell'introduzione a Favole Forme Figure, «non sono fantasmi, talenti inerti, figure sfocate in fondo a una galleria storica. Una lunga e affettuosa consuetudine con le città, le opere, le persone, mi ha assicurato un grande beneficio intellettuale, suggerendomi appunto di rovesciare i termini dell'habitus culturale francese». L'arte (del passato) come ispirazione della vita (del presente) più che la vita (del presente) come chiave per capire l'arte (del passato). Arte e vita: la vita delle forme del Rinascimento che, ai suoi occhi, palpitava ancora per le strade delle città italiane.
A volte la sua stessa immagine di «uomo d'azione» – non meno importante per Chastel – s'ispirava a un «modello italiano». Come per esempio le sue posizioni sull'insegnamento della storia dell'arte agli studenti della scuola secondaria. Chastel sapeva bene che in Italia la storia dell'arte veniva insegnata nei licei e in diversi articoli su «Le Monde» aveva argomentato a favore dell'adozione di quel modello in Francia: un obiettivo che è stato da poco raggiunto.
Gli italiani hanno risposto a Chastel con un'attenzione e un rispetto senza precedenti: era stato nominato membro dell'Accademia nazionale dei Lincei e di altre accademie di Firenze, Bologna, Padova e Venezia, e veniva invitato molto spesso dalle università, a convegni e a mostre.
André Chastel ha esercitato una profonda influenza sugli storici dell'arte in Italia; Giuliano Briganti per esempio, ha evocato l'importanza degli studi di Chastel definendoli «un correttivo molto utile per quell'attaccamento esclusivo al carattere specifico dell'opera d'arte a cui ci portavano le lezioni di Longhi». In Italia Chastel era, come si diceva, "un gran personaggio", rappresentativo della cultura francese, oltre che sguardo influente sulle pratiche della disciplina. Come ha scritto Michel Terrasse, «Chastel aveva mutuato il suo personaggio a quel Rinascimento italiano che meglio di chiunque altro egli aveva esplorato e fatto conoscere». Il suo ammirevole equilibrio fra passione ed eleganza, ironia e gravità, disinvoltura ed entusiasmo, molto doveva ai suoi "due cuori", il cuore francese e il cuore italiano, ma forse ancora di più alla sua formidabile erudizione che gli permetteva di percepire nell'orizzonte del presente la viva presenza del passato, dei valori dell'umanesimo che lui amava credere fossero più vivi e vigorosi in Italia che altrove.
(Traduzione di Francesca Novajra)
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al louvre
Testimonianze in ricordo di André

Il 1° febbraio le luci dell'Auditorium del Louvre sono rimaste accese per ospitare l'«Hommage à André Chastel (1912-1990)», una serata dedicata al grande storico dell'arte francese in occasione dei cent'anni dalla nascita. È stata una grande commemorazione, avvenuta alla presenza di ministro della Cultura francese Frédéric Mitterand e aperta dal direttore del Louvre Henri Loyrette.
Al podio si sono succeduti intellettuali e storici dell'arte internazionali, da Pierre Rosenberg a Michel Laclotte, da Marc Fumaroli a Xavier Darcos, Claude Mignot, Alain Mérot, Michel Hochmann fino a Willibald Sauerländer (il cui intervento è stato letto da Andreas Beyer). Unico studioso italiano presente è stato Salvatore Settis, che ha parlato del tema «Chastel e l'Italia». Un ampio stralcio del suo intervento è ora pubblicato in questa pagina.

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