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Tecnica mista, che fatica!

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Tecnica mista, che fatica!

Quanto conta la tecnica in un'opera d'arte contemporanea? Moltissimo. La maniera in cui è stato risolto il rapporto tra i materiali e il problema che l'opera affronta è parte dell'opera stessa e comunque ne denuncia la posizione.
Lo sanno bene i conservatori e i restauratori, che stanno cercando nei migliori laboratori del mondo di darsi delle regole e delle pratiche per restaurare (o per decidere di lasciare deperire) opere nate in maniera non ortodossa. Ci sono casi limite che divertono: le fascine di un igloo di Mario Merz vanno sostituite ogni volta che si spelacchiano? Il latte o il polline con cui Wolfgang Laib compone i suoi monocromi bianchi e gialli possono essere reintegrati senza problemi? Se un quadro di lana fatto da Rosemarie Trockel si smaglia, si può riprendere il punto come facevano le nonne?
Spesso si scansa il tema delle nuove tecniche asserendo che ormai non servono più competenze e che la maggior parte delle opere sono dei ready made, degli oggetti qualsiasi a cui viene semplicemente cambiato il senso e il valore. I fatti dicono che è esattamente l'opposto: l'opera d'arte contemporanea è un manufatto complesso, spesso eseguito con materiali sintetici di cui non si conosce la reazione al tempo, altrettanto spesso eseguito da giovani che non hanno voluto o potuto impegnare troppo denaro per comprare un telaio che non si storce nel tempo.
Al di sotto di tutto questo sta il senso della scelta: è evidente che chi crea un'opera in plexiglas ci vuol parlare di modernità, di rapporto con l'artificiale, dell'alta dose di tecnologia che ci circonda anche quando non ce ne rendiamo conto. Chi sceglie di fare un collage di carta o un assemblage polimaterico sta sottolineando il valore frammentario della nostra visione, della nostra conoscenza, della nostra concezione della vita. Chi manipola le immagini della comunicazione di massa, dalla fotografia al libro stampato, sta mettendo in rilievo il loro ruolo nel nostro mondo ma lo sta anche facendo scendere dal piedistallo dell'assoluto per porlo sulla mensola del relativo.
Capire come un artista ha scelto una certa tecnica e se l'ha rinnovata rispetto alla (lunga o breve) tradizione che questo ha dietro di sé, significa essere a metà del guado nella comprensione generale dell'opera.
Ecco perché è importante anche una piccola mostra come quella ora allestita all'Arengario di Milano, curata da Marina Pugliese e figlia del suo stesso libro Tecnica Mista (Bruno Mondadori, 1986) ripubblicato per l'occasione e facente funzione di catalogo.
La filosofia del museo, che non ha spazi per grandi esposizioni e che ha però una collezione d'arte italiana del Novecento (e oltre) tutt'altro che modesta, è cercare di esemplificare alcuni temi scegliendo dalle opere in suo possesso invece che chiedendo dei prestiti costosi; in alcuni casi, artisti giovani vengono sollecitati a creare e possibilmente donare opere ad hoc. È questo uno dei molti modi per reagire a una difficoltà di budget, ma anche per seguire una vocazione didattica che il museo si è dato in modo esplicito.
L'opera che non manca mai alle mostre dell'Arengario è quella che si vede anche da fuori, la spirale di neon di Lucio Fontana che illumina con un segno metafisico tutta piazza del Duomo. Non è una boutade: chi visita l'esposizione al piano terreno è incitato dalle guide anche a salire ai piani superiori per vedere altre opere del museo, trasformando in una visita anche lunga il breve itinerario iniziale.
Tra le opere più rappresentative il visitatore trova una rarità come Rossogiallonero (1968) di Carla Accardi, un quadro ottenuto con molteplici strati di sicofoil (una plastica trasparente che non esiste più); un bosco di alberi disegnati su plexiglas di Gino Marotta; la Scultura da prendere a calci di Gabriele De Vecchi (1960), dei mattoni in schiuma di poliestere grigia, cercando di sottolineare l'ingresso nell'arte dell'idea di guardare toccare interagire; oppure la grande installazione di Alexander Brodsky Coma (2000), comperata ai tempi in cui si pensava di fare un Museo del Novecento ai Gasometri della Bovisa e lungamente rimasta nei depositi. Ripulita e sistemata, consiste in una impressionante installazione che riproduce la città di Mosca dentro a una vasca in cui il giallo della creta si bagna di petrolio nero, fatto scendere da enormi fleboclisi che avvelenano strade e case riprodotte come in un inquietante presepe.
L'assemblaggio è rappresentato da una lastra di ferro di Chen Zhen del 1991, in cui l'artista ha accumulato segni che rimandano alla censura e alla mancanza di libertà espressiva, acquistato dopo la sua personale al Pac. Luisa Rabbia rappresenta la tecnica del video mettendo in scena un viaggio in metropolitana in cui oggetti volano fuori dal finestrino e si disperdono nel percorso. Come lei, la mostra propone giovani italiani quali Andrea Mastrovito, che ha disposto per terra una serie di libri identici sui fiori, ritagliati a pagine diverse e sollevati con la tecnica del pop up, che ha trasformato una parte del pavimento in un glorioso prato primaverile, e Marzia Migliora, che ha elaborato l'aspetto sonoro attraverso delle audioguide ad hoc.
Ed è importante anche che questa esposizione sia stata fatta con una prevalenza di opere italiane, nonostante l'incipit sia con una fotografia dello svizzero Ugo Rondinone e numerosi siano, nel corso della visita, gli esempi di artisti stranieri. Ma in questo fatidico 2012 si festeggia non solo il centenario del collage cubista, inventato nel 1912 da Picasso e Braque, ma anche il centenario dei manifesti di Umberto Boccioni e in generale futuristi, quindi appunto di matrice italiana e mai abbastanza difesi dalla storiografia, sulla necessità di utilizzare qualsiasi tecnica e qualsiasi materiale per un'arte che rispecchi un presente in cui il modo di essere delle cose con cui viviamo cambia vorticosamente. L'arte non può che rispecchiare l'ingresso nel nostro vivere quotidiano del movimento, della velocità, del tecnologico, del prosaico elevato a poesia.
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Tecnica Mista, Milano, Museo
del Novecento; fino al 9 settembre. Catalogo Bruno Mondadori

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