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L'acquisto dell'Urlo di Munch: vera gloria o vittoria del…

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L'acquisto dell'Urlo di Munch: vera gloria o vittoria del marketing?

  • –di Giovanni Gasparini

NEW YORK - Finalmente il giorno tanto atteso sin da febbraio, quando ne venne fatto il primo annuncio, è arrivato: la terza delle quattro versioni de L'Urlo di Edvard Munch, forse una delle più note (ed abusate) immagini dell'arte moderna ha trovato una nuova casa al prezzo di 119.922.500 dollari, di cui 12.922.500 di commissioni, per un prezzo battuto di 107 milioni di dollari divenendo cosi l'opera d'arte più cara mai venduta in asta e la prima opera a superare la soglia dei 100 milioni di dollari senza le commissioni.

Terminato l'entusiasmo della serata, è possibile ora fare qualche ragionamento circa l'effettiva portata dell'evento; in realtà molti esperti del settore sin dalle prime battute prospettavano risultati più elevati, avendo in mente i prezzi ottenuti da altre opere vendute a trattativa privata e di cui si è venuti a conoscenza di frequente, fra cui i famosi 250 milioni di $ sborsati lo scorso anno per una delle cinque versioni dei "Giocatori di Carte" di Cezanne, o i 135 milioni di $ spesi da Lauder nel 2006 per dotare il suo museo del "Ritratto di Adele Bloch-Bauer I" di Klimt.
Martin Summers, uno dei più esperti intermediari di Londra e a livello mondiale, prima dell'asta ha sostenuto che probabilmente a trattativa privata non sarebbe stato difficile superare i 130 milioni di $.

Osservando in sala l'andamento dell'asta la sua analisi trova conferma: di fronte a un compratore molto determinato anche a prezzi più alti è venuto a mancare l'"underbidder", ovvero il competitore che fa lievitare il prezzo; una strategia di vendita a trattativa privata, in cui essenzialmente è il venditore stesso a "creare" i rilanci di prezzo, avrebbe ottenuto risultati migliori, sebbene sia difficile provarlo ovviamente!

Ma il racconto degli oltre 12 minuti di rilanci a colpi di 1 milioni di $ l'uno sostiene a mio avviso l'analisi: fino a poco oltre 70 milioni si sono presentati almeno quattro contendenti, poi quando l'aria in alta quota si è rarefatta, è rimasto un gioco di rilanci fra due anonimi al telefono, uno rappresentato da Stephane Cosman Connery e l'altro da Charles Moffet, personale chiave della casa d'aste a New York.

Mentre il compratore rappresentato da Moffet, risultato poi vincitore, non necessitava che di pochi istanti per confermare i rilanci, l'"underbidder" una volta superata la soglia dei 90 milioni si è fatto sempre più cauto e Connery ha dovuto più volte discutere lungamente per persuaderlo a continuare nella scalata, segno di un compratore con limiti di risorse definiti o comunque autoimposti, a differenza dell'acquirente finale.

Se però dal puro risultato di questa aggiudicazione si allarga lo sguardo e si cerca di capire perché il venditore e la casa d'aste abbiano scelto la via dell'incanto pubblico si comprende che entrambi gli attori hanno conseguito risultati immateriali non immediati e di difficile valutazione che rientrano nella categoria del marketing e della pubblicizzazione, strategia nel mercato dell'arte fortemente rafforzata dall'asta del 2 maggio. La casa d'aste ha ricavato un beneficio d'immagine enorme, può vantarsi di aver condotto l'asta del secolo e di aver infranto ogni record, la sua reputazione fra i potenziali venditori ne esce rafforzata; ha ricevuto una copertura mediatica mondiale del valore di milioni di dollari di pubblicità, facendo dimenticare anche le proteste per il suo comportamento antisindacale, pur reiterate all'ingresso dell'asta.

L'incanto grazie all'Urlo ha beneficiato della consegna di ben altre cinque opere di Munch, lavori che forse altrimenti non sarebbero stati conquistati dalla casa d'asta. Le opere dell'artista infatti sono raramente presenti in asta (se ne vede uno all'anno se va bene), e la scorsa sera solo una è rimasta invenduta, le altre sono state aggiudicate entro le stime.

Il venditore del dipinto di Munch, il norvegese Petter Olsen, era intenzionato ad usare la ribalta pubblica offerta dell'evento per promuovere da un lato il suo nuovo museo privato dedicato a Munch, sempre in Norvegia (dove già ne esiste uno, oltre alla Galleria Nazionale di Oslo, in cui sono le altre tre versioni dello stesso quadro), dall'altro per rilasciare un breve discorso ambientalista quantomeno estemporaneo.

Tutti contenti dunque? Forse no, ci ha rimesso l'Arte, tirata per la giacca e ridotta a oggetto di stupore e veicolo di marketing. Speriamo solo che chi ha acquistato l'Urlo lo esponga al pubblico.

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