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Il «Cristo portacroce» del Romanino torna sul mercato, grazie a un principio del diritto internazionale

  • –di Marilena Pirrelli

Il Cristo portacroce di Girolamo di Romano, detto il Romanino, ora arriva in asta sulla piazza di New York, la più interessante per il successo della vendita della famosa opera, fino allo scorso anno esposta alla Pinacoteca di Brera. La vicenda ha assunto proporzioni internazionali del tutto particolari. Il dipinto, che risale al 1538 e rappresenta uno degli esempi più interessanti di pittura barocca, è stato, infatti, sequestrato dalle autorità doganali degli Stati Uniti su ordine di Pamela C. Marsh, pubblico ministero di Tallahassee, in Florida, luogo nel quale l'opera si trovava per un'esibizione internazionale, prestata lo scorso anno dalla Pinacoteca di Brera, insieme ad altre 49 opere, per una mostra al Mary Brogan Museum di Tallahassee. Ratificato il sequestro lo scorso febbraio dalla Corte federale, il 18 aprile le autorità statunitensi hanno restituito il dipinto ai proprietari originari, gli eredi famiglia Gentili di Giuseppe.

I due musei sono protagonisti del caso, come capita molto spesso in fattispecie di questo tipo: "Tuttavia sotto il profilo giuridico, come sostengono le autorità americane, l'opera non apparteneva alla Pinacoteca, sebbene quest'ultima abbia sempre affermato di esserne la legittima proprietaria. Infatti, dalla data del suo acquisto nel 1914 il Cristo portacroce faceva parte della collezione del commerciante d'arte ebreo Federico Gentili di Giuseppe. Quando le truppe tedesche occuparono Parigi nel 1940, i Nazisti fecero mambassa delle opere d'arte presenti, inclusa la collezione del Gentili, morto da poco. Il dipinto finì quindi nella collezione privata di Hermann Goering e successivamente, dopo la fine della guerra, scomparve dalla scena. Per poi riapparire nel 1997, quando fu acquistato dalla Pinacoteca di Brera ed esposto nelle sue sale, mentre le contestazioni sollevate dalla famiglia Gentili erano destinate a rimanere vane" ricostruisce la storia l'avvocato Matteo M. Winkler, docente di diritto internazionale nell'Università Bocconi.

Il caso rivela un principio di diritto internazionale di estremo interesse. "Questo principio stabilisce che le opere d'arte sottratte dai Nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, nel corso di quello che più tardi è stato definito «lo stupro dell'Europa» da parte del Terzo Reich, devono essere restituite alle persone che ne erano proprietarie al momento dell'apprensione. Si tratta di una norma di indiscussa natura consuetudinaria: mentre già nel 1943, in una Dichiarazione congiunta firmata dagli Alleati a Londra, i futuri vincitori del conflitto avevano sancito la nullità assoluta di tutti i trasferimenti di beni inter vivos, numerose dichiarazioni di Stati e di musei anche recenti, tra le quali la Conferenza di Washington del 1998 e la risoluzione 1205 del 1999 del Consiglio d'Europa, hanno con costanza raccomandato agli Stati di favorire la restituzione dei beni sottratti agli Ebrei durante l'Olocausto. Quando le autorità di uno Stato vengono a conoscenza del fatto che uno di detti beni si trova nel loro territorio, esse sono obbligate dal diritto internazionale a restituirlo ai legittimi proprietari" prosegue l'esperto di diritto internazionale.

Trattandosi di una consuetudine, essa si applica ovviamente anche all'Italia. Al riguardo, la Pinacoteca di Brera ha sempre risposto che il Cristo portacroce sarebbe stato regolarmente acquistato da un terzo. "Ma questa posizione appare insostenibile: l'obbligo di restituzione prevale sui diritti dell'acquirente in buona fede eventualmente garantiti dalla legge in virtù della quale è avvenuto l'acquisto. Si è dovuto quindi attendere che il dipinto lasciasse l'Italia perché la consuetudine in esame trovasse piena applicazione. Il che appare, oltretutto, francamente inspiegabile" prosegue Winkler.

Gli eredi della famiglia Gentili hanno messo all'asta il bene conteso per una stima tra 2,5 e 3,5 milioni di dollari. L'incanto molto atteso è previsto il 6 giugno da Christie's nell'Old Master Paintings di New York. Si tratta di un'altra vittoria giudiziaria per la famiglia. "Già nel 1999, infatti, il tribunale di Parigi aveva sentenziato che la collezione di Federico Gentili di Giuseppe, che il governo collaborazionista di Vichy aveva venduto all'asta nel 1941, doveva essere restituita" conclude l'avvocato.

La ragione? "Il contesto razziale nel quale l'asta aveva avuto luogo, che ne ha viziato in definitiva la validità. L'ennesima conferma dell'esistenza dell'obbligo cui sopra si è accennato, che avrebbe dovuto imporre, anche in Italia, la restituzione del Cristo portacroce ai suoi legittimi proprietari".

Chissà se ora sarà ancora un museo, certamente molto ricco, ad alzare la paletta per conquistare questo capolavoro indiscusso. E a questo punto appare remota l'ipotesi che l'opera possa tornare ancora in Italia.

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