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Friedrich, quante opere!

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Friedrich, quante opere!

Prima di entrare nel grandioso Neues Palais di Potsdam dove si festeggiano i tre secoli della nascita di Federico il Grande (1712-1786) la mente va al Barry Lindon di Kubrick e alle scene di quel film che si svolgono nei palazzi tedeschi all'epoca del celebre re prussiano, spazi grandiosi, mobili superlativamente ricchi, un che di vuoto nell'atmosfera. Ma appena si varca l'ingresso della presente rassegna la magia è persa. Si è fatta una mostra in un palazzo già colmo, illuminato con poco garbo, e il risultato è un senso di pletora e di confusione, come accade ogni volta che si fa una esposizione in un luogo che è già museo di sé stesso. Ci si domanda a chi servano queste manifestazioni, quest'accumulo di oggetti accatastati che tolgono ogni verosimiglianza a sale che non sono più né pubbliche né private. Se si pensa di avere un'idea migliore di chi fosse Federico di Prussia è meglio lasciare ogni speranza.
Ma chi era Federico di Prussia? Un tiranno o un saggio? Un prodigo o un tirchio? Un uomo illuminato dalla cultura o un soldato assetato di potere e nemico della libertà? Voltaire si lamenta a lungo nella sua ambigua Vita di Federico dell'avarizia del sovrano che lo faceva mangiar male e gli lesinava le candele per illuminare la stanza. Lafayette lo ricordava come un vecchio e fragile caporale, sudicio ma coi più begli occhi del mondo. E forse aveva ragione perché gli occhi sono davvero belli nel ritratto in cera a grandezza naturale conservato a Braunschweig (una volta in italiano si diceva Brunswick) e ora esposto non a Potsdam ma in una mostra ancor più confusa nel Museo Storico di Berlino a Unter den Linden. Probabilmente il re incarnava tutte le qualità e tutti i difetti che abbiamo prima elencato. Era abituato alla brutalità sin da giovane, da quando il padre, Federico Guglielmo I, aveva fatto decapitare davanti ai suoi occhi il suo giovane amante Hans Hermann von Katte nel 1730. Se in seguito Federico non si fece molti scrupoli del destino dei propri soldati è anche vero che fece abolire la tortura nei processi. Era anche, se vogliamo credere a Voltaire, antisemita ma arrivò a dichiarare che tutte le religioni sono assurde. Fu comunque il regnante più colto della sua epoca, autore di non poche composizioni letterarie e teatrali nonché di un inverosimile Dialogo tra Madame de Pompadour e la Vergine Maria. Purtroppo non l'ho letto e credo l'abbiano letto poche persone: fa parte delle opere postume di Federico II in cinque volumi, pubblicate a Londra nel 1789. Quel pamphlet è probabilmente espressione della sua scarsa simpatia per le donne in genere e per Madame de Pompadour in particolare.
Federico amava la cultura francese e il francese era l'idioma in cui amava esprimersi. Aveva una predilezione per l'arte di quel paese e possedeva alcuni capolavori di Watteau e di altri grandi pittori dell'epoca (ancora conservati nel Castello di Charlottenburg e non inclusi nella mostra a Potsdam). Il Neues Palais fu costruito come coronamento trionfale della Guerra dei Sette Anni, in uno stile rococò esasperato e fastoso. Trionfavano tessuti costosissimi, infinite dorature, mobili laccati e argentati, specchi e porcellane a iosa. V'è comunque qua e là un senso del risparmio. Il re acquistò dei mobili francesi di grande lusso (alcuni dei quali erano appartenuti alla detestata Pompadour), ma li fece spesso copiare da stipettai tedeschi meno cari di quelli parigini, arrivando in alcuni casi a riprodurre le rifiniture bronzee in legno dorato, molto meno costoso (perché utilizzare sei candele quando si può leggere con una? Voltaire docet) . Comunque molti di questi arredi federiciani sono di gusto francese ma gli artigiani del re hanno un carattere diverso che può essere straordinario. Il più bravo di tutti è Mechior Kambli che favorì il bronzo dorato con putti, ghirlande, cartigli, treillis e ghirigori di ogni genere in un folle movimento di curve e controcurve accostandole a materiali, come la tartaruga, che a quel punto, nel pieno Settecento, sarebbero apparsi demodé in Francia. Kambli lavora ogni tanto con i fratelli Spindler, noti intarsiatori di Bayreuth, dove regnava la sorella favorita di Federico. Gli Spindler, che cominciano a lavorare per il re nel 1764, sono bravi quanto il Maggiolini di Milano, o forse di più. Ma chissà perché i mobili di tutti questi ebanisti non brillano tanto per la grazia dei modelli quanto per la perizia artigianale. Amante, come abbiamo ripetuto, della ricchezza, il mobiliere favorito da Federico fra quelli francesi è Jean-Pierre Latz che piacque molto anche alla figlia di Luigi XV, la Duchessa di Parma, motivo per il quale alcuni mobili di Latz sono oggi al Quirinale, a Palazzo Pitti e al Palazzo Reale di Torino (da Parma i Savoia portarono via quanto era possibile portare).
Federico II si interessò molto della sua biblioteca, i cui volumi fece rilegare con attenzione. E si occupò anche dei piani marmorei dei suoi mobili, comprandone alcuni dalla manifattura di Doccia fondata dal Marchese Ginori nei pressi di Firenze (ma per ora non sono riuscito a identificare alcuno di quei pezzi) o a farne fare altri con materiali di scavo verosimilmente a Roma: il sanguigno fascino del porfido non gli fu estraneo ma fra le pietre il suo materiale preferito è il crisoprasio con cui si fece approntare pomi di bastone e tabacchiere. Mi riesce difficile partecipare a quest'ultimo entusiasmo e quella materia mi ricorda troppo certi artefatti in plastica color chewing-gum. Da buon tedesco amava follemente le porcellane e quando occupò Dresda si impossessò di molti finimenti di Meissen e altri ne ordinò. I servizi esposti ora includono diverse tipologie, alcune delle quali create appositamente nella sua manifattura di Berlino (per gli appassionati la famosa Kpm). Straordinari sono invece alcuni lavori di Meissen, i cosidetti Schneeball vasen, alla lettera "palle di neve", un ordito di fiori di ortensia visitato da uccelli variopinti: il risultato non è davvero sobrio ma quando si vedono gli originali si cambia idea. La qualità è irraggiungibile. Il problema sono le infinite ripetizioni ottocentesche che abbassano il tono a quello di una buona pensione.
In quello spirito contraddittorio nulla era amato se non si amava anche l'opposto. Federico il grande venerava i classici, buona parte del suo mondo era popolato da deità e imperatori romani (a Silla dedicò un libretto d'opera) e la sua statua favorita era il bellissimo Adorante, un bronzo di Rodi del IV secolo a.C. raffigurante un adolescente nudo che volge le braccia al cielo. Di altri Ganimedi c'è traccia nelle pitture del Palazzo fomentando quelle dicerie che sono sempre esistite attorno al re. Il suo cuore batteva per pochi amici, ai quali non sempre fu fedele, e soprattutto per gli animali. Le sue cagne avevano nomi classici: Alcmena, Tisbe, ad esempio. Esistono le loro lastre tombali e si conserva anche lo scheletro dell'ultimo cavallo da lui montato, Condé, che gli sopravvisse di una ventina d'anni.
Seguendo la moda d'oggi questa mostra non ha catalogo ma solo un Booklet (in tedesco e in inglese) con la lista delle 506 opere esposte, di cui non si danno né dimensioni né bibliografia, e un pesante volume di 420 pagine contenenti saggi di vario genere. È questo il paese della Kunstgeshichte? Ho tracciato qui una caricatura, me ne rendo conto, ma quello che è stato inscenato a Potsdam è una pochade resa patetica dai molti manichini infiocchettati che invadono le stanze come in un'opera comica.
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Friederisiko-Friedrich der Grosse, Potsdam, Neues Palais, fino al 28 ottobre

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