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Bauhaus, festa e rigore

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Bauhaus, festa e rigore

Le gambe tornite non lasciano dubbi sul sesso. Inequivocabili anche quelle della sedia, in tubo d'acciaio cromato, disegnata da Marcel Breuer e divenuta subito una delle più popolari icone dello "stile Bauhaus". Solo il volto è inquietante: una lucente maschera metallica: un cranio nudo quasi da automa. Inespressivo e algido, gli occhi intagliati col segno elementare di una marionetta, naso a rilievo e labbra rinchiuse in un broncio foriero di mistero. Pare che sotto le spoglie di questa creatura androgina si celasse Ise Gropius (seconda moglie del l'"inventore" del Bauhaus), da poco tornato alla tranquillità dopo la separazione dalla più inquietante femme terrible del primo Novecento, Alma Mahler, che nel 1915 aveva lasciato per l'architetto il celebre compositore di cui tenne per sempre il nome, a dispetto dei suoi chiacchierati "interludi" con le maggiori celebrità dell'epoca, inclusi Franz Werfel e Oskar Kokoschka.
Insieme all'"autoritratto" di Marianne Brandt con in gioielli progettati per la Festa metallica nel 1929 (quasi più attrezzi di tortura che seducenti monili), la foto di Erich Consemuller è una delle spie più significative di un'anima del Bauhaus che emerge con chiarezza dalla mostra allestita alla Barbican Gallery di Londra intitolata: «Art as life», la vita come arte o, se si vuole, la vita con e degli artisti (Paul Klee, Wassily Kandisky, Theo van Doesburg, Moholy-Nagy, Oskar Schlemmer, Gerhard Marcks, eccetera) che nelle varie fasi della mitica scuola fondata a Weimar nel 1919, costruirono con il pensiero, l'insegnamento e il lavoro il primo grande laboratorio della Modernità del XX secolo. Per Weimar prima, poi per Dessau passarono infatti tutti i rappresentanti delle avanguardie che avrebbero dato volto al secolo, attratti come mosche dal clima di insolita liberalità e programmatica contaminazione che Walter Gropius – l'imperturbabile "principe argenteo" come lo definì Klee – aveva posto alla base del suo rinnovamento della preesistente scuola di arti applicate.
«Instaurazione di rapporti amichevoli tra maestri e allievi fuori del lavoro: teatro, conferenze, poesia, musica, feste in costume», stava scritto nel manifesto fondatore del 1919: «Creazione, in questi convegni, di un festoso cerimoniale». E le feste furono una componente essenziale della vita al Bauhaus, sia a Weimar che nella sede successiva a Dessau, intrecciando, sotto la regia di Schlemmer, fantasia e rigore matematico. Prima che questo prevalesse in maniera significativa nella fase più tarda del Bauhaus, l'equilibrio tra queste due componenti del pensiero visivo fu miracolosamente preservato da Gropius in una scuola che si presentava come un Giano bifronte, sospeso tra il furioso incalzare di una concezione dell'arte come ricerca dell'assoluto e un altrettanto rigoroso tentativo di conversione della forma artistica in forma "oggettiva", cioè industriale.
Cerchi, triangoli, sfere. Metallo, fili sospesi e cemento. Nulla fu estraneo a questa incessante contaminazione con cui si tentò l'esperimento più radicale di riflessione sulla metamorfosi del corpo umano, che Schlemmer (ma anche Klee con le sue "marionette" e i suoi disegni "infantili"), pilotò con religiosa spregiudicatezza verso il culto del "manichino" e dell'automa semovente. Sotto l'incalzare senza respiro del mondo della Tecnica, con le sue leggi di produzione e il suo repertorio di forme, si espresse senza riserve l'idea (l'ossessione?) di un corpo dotato di protesi meccaniche, di prolungamenti mobili, di rigide maschere quasi a creare il prototipo di un uomo ibrido, risultato inevitabile di quella "vita nervosa" che Simmel aveva diagnosticato come il possente stimolatore dell'abitante della metropoli.
Il tema dell'"uomo totale" fu a lungo al centro dell'interesse artistico e intellettuale del Bauhaus e Schlemmer lo pose al centro della sua attività di artista e di insegnante, oscillando tra metafisica e razionalità. Le sue figurine-marionette, i suoi clown-musicali, lasciano trasparire sia il surrealismo romantico delle bambole meccaniche di Hoffmann, sia l'ardita equiparazione del sincronismo della macchina alla gestualità dell'uomo-massa della civiltà industriale. Una sottile distanza in fondo li separa dai manichini di De Chirico, quegli statici collage di memorie, di geometrie, di mute carcasse che concretizzarono l'incubo metafisico dell'uomo del futuro.
Allestita dal gruppo Carmody Groarke, la mostra al Barbican ha momenti di grande efficacia comunicativa che supera l'eterno disagio di un luogo espositivo sopravvissuto malamente al suo tempo: se le sale in bianco e nero trasmettono inconsciamente la schizofrenia tra le varie anime del Bauhaus, quelle dove dominano le grandi campiture in rosso o verde delle pareti e di parti del soffitto lasciano intuire la febbrile joie de vivre degli studenti, il culto dell'atletismo, l'ambiguità dei ruoli sessuali, l'ipnotica suggestione dei balletti meccanici e delle feste in costume che scandirono i riti d'iniziazione dell'uomo nuovo dell'era moderna.
Bauhaus: Art as Life, Londra, Barbican Gallery, fino al 12 agosto

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