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Doni degli Zar firmati Fabergé

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Doni degli Zar firmati Fabergé

Era il 1782 quando il figlio di Caterina la Grande, il futuro zar Paolo I, e la moglie Maria, nel loro viaggio in incognito attraverso l'Europa sotto il trasparente pseudonimo di Conti del Nord, furono ricevuti con ogni onore alla Reggia di Venaria da Vittorio Amedeo III, che rinsaldava così i recenti rapporti diplomatici fra la potentissima Russia e il suo piccolo ma ambizioso regno.
Da allora ci sarebbero state altre visite e incontri tra le due casate, culminati nell'incoronazione a Mosca dell'ultimo zar, Nicola II, a cui partecipò uno stupefatto principe ereditario Vittorio Emanuele III («tutte le feste erano immense, grandiose oltre ogni dire. Un vero regno delle fate»), che lì conobbe la futura moglie, la splendente Elena del Montenegro.
La mostra su Carl Fabergé da poco inaugurata alla Reggia di Venaria, riallaccia questi fili con un'evidenza lampante: espone infatti, proprio nella residenza in cui i Savoia ricevettero più d'uno zarevic, oltre 350 pezzi di altissima oreficeria, in gran parte creati per Alessandro III e Nicola II – gli ultimi zar – dal più famoso e influente gioielliere di Russia. O forse d'Europa, visto che arrivò ad avere alle dipendenze 500 artigiani-artisti, ebbe filiali a Mosca, Odessa, Kiev e Londra, e fu gioielliere di corte di molte case reali europee oltreché di quella dell'esotico Siam.
La storia raccontata dalla mostra è una storia di sfarzo e di amori coniugali (le due coppie imperiali erano solidissime, evento piuttosto raro in tempi di matrimoni combinati) ma anche di atroci fatti di sangue (come è noto, Nicola II fu trucidato dai bolscevichi nel 1918, con l'intera famiglia), che tuttavia non spengono lo splendore, la qualità artistica e la perfezione tecnica di questi oggetti che tra l'800 e il '900 conquistarono teste coronate e tycoon del mondo intero: una delle celebri Uova pasquali in mostra fu creata infatti per l'americana Consuelo Vanderbildt (per breve tempo duchessa di Marlborough); due per dei magnati minerari russi. Ma la grande maggioranza fu realizzata per i Romanov e la loro cerchia, i massimi committenti di Fabergé.
Riuniti nel '900 da Malcolm Forbes, i preziosi furono acquistati nel 2004 da Viktor Vekselberg per la sua The Link of Times Cultural and Historical Foundation, votata a riportare in patria i capolavori russi dispersi. Di qui, insieme ad altri pezzi acquisiti in seguito, ora giungono in questa mostra che può esibire ben 13 Uova pasquali di Carl Fabergé (i suoi capolavori: per ognuna, un anno di lavoro), nove delle quali imperiali: un vero coup-de-théâtre, con cui si chiude un percorso che rievoca tanto lo splendore della corte dei Romanov quanto il magistero della Fabbrica Fabergé.
Questa, aperta nel 1842 a San Pietroburgo da Gustav, discendente da ugonotti francesi rifugiatisi sul Baltico nel '600, fu portata alla fama internazionale dal figlio Carl, che da accorto uomo d'affari produceva inestimabili gioie e oggettini da pochi rubli, anche questi eseguiti però con la massima cura, per tenere alto il nome dell'azienda. In mostra sfilano ovviamente solo i pezzi più preziosi e gli occhi non sanno dove posarsi: se sui portasigarette imperiali, come quello – mozzafiato – in smalto guilloché color oro rubino con la corona di diamanti, o sulle tabacchiere (sublime quella verde, in nefrite e diamanti, di Nicola II); se sui vasetti di cristallo di rocca che paiono pieni d'acqua, con mughetti di perle e violette di smalto, o sul binocolo da teatro di Aleksandra Fjodorovna, in smalto guilloché color salmone con tralci di diamanti.
Proprio lo smalto guilloché fu una delle ragioni del successo planetario di Fabergé: inventato in Francia nel '700, fu perfezionato dai suoi smaltatori e portato a livelli ineguagliabili. Consisteva in una base d'oro o d'argento fittamente incisa a raggi, onde o moiré, su cui si stendeva lo smalto trasparente: 144 i colori in catalogo, dal pallido e raffinatissimo bianco ostrica ai citati oro rubino e rosa salmone; dal blu reale al rigato giallo-blu creato per Leopold de Rothschild: i colori della sua scuderia.
Di fronte alle Uova pasquali, poi, lo stupore cresce ancora. Che dire infatti dell'Uovo dell'incoronazione, 1897, la cui superficie cita il decoro dei manti imperiali della cerimonia e che all'interno cela la perfetta (e funzionante) miniatura d'oro della carrozza con cui Aleksandra fu condotta alla Cattedrale di Mosca? O dell'Uovo dei Mughetti (questo Art Nouveau, mentre gli altri sono di gusto storicista), donato nel 1898 da Nicola II alla moglie, con minuscoli brillanti che simulano gocce di rugiada sui fiori prediletti della zarina? O dello squisito Uovo albero di alloro da lui donato alla madre nel 1911, con le foglie in nefrite trapunte di piccole gemme?
La Fondazione moscovita conserva anche il primo Uovo pasquale ordinato per la moglie nel 1885 dal padre di Nicola, Alessandro III: esternamente in smalto bianco poroso – come un guscio d'uovo – ha il "tuorlo" d'oro opaco che racchiude una gallinella preziosa, scrigno a sua volta di una corona imperiale e di un ciondolo-uovo in rubino (questo perduto). La zarina ne fu sedotta e da allora ogni anno ricevette dal marito un Uovo Fabergé. Dopo la sua morte, sarebbe stato il figlio Nicola II a donarne, ogni Pasqua, uno a lei e uno alla moglie. Fino al fatale 1917, quando tutto cambiò e quello sfarzo, così stridente con le condizioni di vita del popolo, fu spazzato via per sempre.
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Fabergé. Il gioielliere degli ultimi zar, Torino, Reggia di Venaria, fino al 9 novembre

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