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Eliodoro, che cromatismi!

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Eliodoro, che cromatismi!

La fortuna di un capolavoro si misura anche sulla attenzione che suscitano i suoi restauri. I meno giovani hanno bene in mente il clamore planetario prodotto dalla pulitura degli affreschi della Sistina. Fra gli anni Ottanta e i primi Novanta del secolo scorso non si è parlato d'altro. Come non ricordare le polemiche feroci condotte dai vari Beck, Conti, Scialoia, le giornalate sui principali organi di stampa di mezzo mondo dal Giappone agli Stati Uniti, le invenzioni mitografiche sul cosiddetto atramentum, invenzioni talvolta così ben argomentate da riuscire a convincere anche qualche studioso serio?
Di queste cose oggi non si parla più. Oggi tutti riconoscono che l'intervento sul Michelangelo sistino realizzato da Gianluigi Colalucci per la direzione di Fabrizio Mancinelli, è stato uno dei più felici e corretti del Ventesimo secolo.
Se ho ricordato il discusso, contrastato e solo oggi ammirato cantiere della Sistina è per metterlo a confronto con quello delle «Stanze» di Raffaello. Un cantiere di restauro che ha conosciuto una durata temporale persino più lunga avendo avuto inizio negli ultimi anni Cinquanta sui murali della «Stanza della Segnatura» quando era direttore dei Musei del Papa Redig de Campos.
Nei giorni scorsi si è "sponteggiata", come si dice in gergo, la parete della «Stanza di Eliodoro» con l'Incontro fra Papa Leone Magno e Attila. A far data dal 2002 e senza soluzione di continuità da allora, i restauratori dei laboratori vaticani guidati da Paolo Violini sotto la direzione scientifica di Arnold Nesselrath sono intervenuti sulle pareti di quella Stanza, che è come dire sulle pagine fondamentali di qualsiasi manuale anche il più sommario di storia dell'arte: sulla Cacciata di Eliodoro dal Tempio, sulla Liberazione di San Pietro dal carcere, sul Miracolo di Bolsena e da ultimo, oggetto della pulitura conclusa da poche settimane, sull'Incontro fra Papa Leone Magno ed Attila.
Perché di questi restauri si è poco o pochissimo parlato? Perché non li ha quasi sfiorati l'attenzione dei media? Forse perché gli interventi di pulitura sono stati così delicati che nessuno ha avuto l'impressione che l'immagine conosciuta di quei murali fosse uscita anche minimamente modificata dal restauro. Questa è la risposta a me più gradita perché è l'oggettivo riconoscimento della indiscussa qualità dei laboratori vaticani. Temo però che questa risposta non sia sufficiente e che vada almeno integrata da un'altra considerazione attinente al declino, nell'immaginario popolare, della stella di Raffaello rispetto a quella di Michelangelo.
Oggi il Michelangelo della Sistina, visitato ogni anno da più di cinque milioni di persone, è come una luce troppo forte che "acceca" tutto quello che gli sta intorno, anche il "divino" Raffaello. Eppure per chi ama la pittura Raffaello resta il vertice assoluto, l'ineguagliato zenith dell'arte di tutti i tempi. La «Stanza di Eliodoro» è la dimostrazione più alta della sua grandezza.
Il mio consiglio è di tornare a visitare la «Stanza di Eliodoro» ora che, dopo un decennio di attente revisioni e di leggerissima pulitura, può essere ammirata in ogni sua parte. Collocandovi al centro di quel piccolo spazio e guardandovi intorno, capirete in cosa consiste il genio di Raffaello qui dispiegato negli anni cruciali che stanno fra il 1512 e il 1514. Egli prende a piene mani dall'immenso repertorio della natura e delle figure (dai capolavori dell'antichità classica, da Michelangelo, da Sebastiano del Piombo, da Lorenzo Lotto documentato nei Palazzi Apostolici in quegli stessi anni, da Piero della Francesca il cui celebre murale venne abbattuto per far posto al nuovo programma di Giulio II) respira e fa sua l'aria eroica di Roma e, partendo da tutto questo, inventa idee, soluzioni e stili totalmente nuovi. Noi possiamo riconoscere negli affreschi della «Stanza di Eliodoro» i debiti verso Michelangelo, l'incontro con il cromatismo veneto, l'attenzione alla verità di pelle, alla intensità fisionomica e psicologica del ritratto rinascimentale così come poteva insegnarla ed esemplificarla in quegli anni Lorenzo Lotto. Tutte queste cose e altre ancora hanno contribuito a "fare" il Raffaello della «Stanza di Eliodoro». Il risultato tuttavia è qualcosa che consuma, rigenera e trasfigura ogni suggestione. In questo senso il Raffaello di Eliodoro è un prodigio totalmente nuovo.
Prendiamo la Liberazione di San Pietro dal carcere. Potremmo dire che Raffaello è già Tiziano prima di Tiziano e senza averlo mai direttamente conosciuto. Fermiamoci di fronte al celebre notturno che ha per protagonista la luna, una luna parzialmente velata di nubi, alta nel cielo pigro, sciroccoso di una notte d'estate che sta scivolando verso l'alba, alle porte di Roma. Prima di Caravaggio, prima della Ronda di Rembrandt, prima del Trés de Mayo di Goya, nella storia della pittura universale c'è la notte di luna che nell'anno 1512 (o 1513) Raffaello dipinse nella «Stanza di Eliodoro» dei Palazzi Vaticani.
Nell'episodio della Messa di Bolsena più dei cardinali che stanno dietro al Papa partecipi della rievocazione storica del miracolo della Transustanziazione, sono impressionanti i sediari inginocchiati a destra, in primo piano. Sono soldati, ufficiali di lingua tedesca, pelle chiara e capelli biondi, orgogliosi delle loro splendide armi e dei vestiti di rasi e velluti policromi. Nessuno in Italia in quegli anni avrebbe saputo esprimere in un ritratto virile, una perspicuità fisionomica e insieme una fermezza di rappresentazione anche lontanamente paragonabili a quelli che qui Raffaello ci offre con divina sicurezza e semplicità. Se mai un confronto è possibile occorre farlo con i contemporanei ritratti di Albrecht Dürer.
Nell'Incontro di Leone Magno con Attila la diretta autografia del Maestro si limita alla parte sinistra dove il Papa ha il volto di Leone X Medici sul soglio di Pietro dal 1513, mentre il vorticoso assembramento dei barbari sulla destra vede all'opera la scuola con un ruolo prevalente riconosciuto a Giovan Francesco Penni. Ma come dimenticare il paesaggio ora svelato dalla pulitura in tutta la sua poetica intensità? Con le nubi colorate alte sul cielo di Roma, il profilo spettrale del Colosseo e Monte Mario che brucia di incendi, sullo sfondo.
Le «ceneri violette» del funerale di Giorgione, le stesse che toccano negli stessi anni il paesaggio della Madonna di Foligno, sono presenti nella «Stanza di Eliodoro».
Non è tanto importante sapere chi in questi anni è stato vicino a Raffaello nella scoperta del veneziano mondo del colore (Sebastiano del Piombo, Lorenzo Lotto ma certo non solo loro), è importante accorgersi della prodigiosa accelerazione del genio che arriva subito, bruciando tutte le tappe, sostenuto da poche suggestioni, guidato da intuizioni fulminee, all'essenza della rappresentazione pittorica.
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gli autori
Gli autori degli articoli in questa pagina, Antonio Paolucci e Antonio Natali, oltre a essere i direttori di due importantissime realtà museali (Paolucci dirige i Musei Vaticani, Natali gli Uffizi) sono anche due apprezzatissimi collaboratori di queste pagine (Paolucci da moltissimi anni). È naturale che in ogni momento importante della loro vita professionale, il loro giornale ospiti degli articoli che sono pagine di «diario», scritte alla fine di lunghi e complessi progetti. Natali racconta della sistemazione delle sale di Michelangelo, Paolucci delle Stanze di Raffaello. Di queste Stanze, Paolucci parlerà anche a Palazzo Ducale di Genova il 6 marzo (ore 21, ingresso libero).

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