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Italia-Germania unite dall'arte

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Italia-Germania unite dall'arte

Cento anni fa, mentre edifici e libri venivano donati alla Bibliotheca Hertziana di Roma (parte della Società Max Palnck, che allora si chiamava Kaiser Wilhelm Gesellschaft) per essere «accessibili agli studiosi di tutte le nazioni», Henrietta Hertz lasciava all'Italia anche una collezione di 43 dipinti, «segno del mio amore verso il Paese che io tengo in sì alta stima». Le due donazioni vennero intese dalla Signora Hertz come le due valve complementari di uno stesso dittico: e infatti la Bibliotheca doveva servire, secondo le sue stesse parole, «da collante fra l'Italia e la Germania, le quali già coltivano un intenso scambio intellettuale». In questo 2013 ricorre un'altra doppia ricorrenza: i 60 anni dall'apertura della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini, ma anche i 60 anni dal nuovo nome della Max-Planck Gesellschaft, l'insigne costellazione di istituti di ricerca di cui questo fa parte, e a cui da qualche anno si è aggiunto anche il Kunsthistorisches Institut di Firenze: conferma, questa, della specialissima attenzione che la cultura e la scienza tedesca coltivano non solo per la storia dell'arte, ma per gli orizzonti italiani della storia dell'arte.
La doppia donazione di Henrietta Hertz rispondeva a personali gusti e inclinazioni, e con singolare generosità prolungava oltre la vita della donatrice la funzione di luogo di studio e d'incontro che Palazzo Zuccari già aveva cominciato a esercitare. Ma in quel connubio fra Germania e Italia in nome non solo dell'arte, ma della storia dell'arte, andava intrecciandosi un altro destino, quello di una disciplina che deve moltissimo proprio alla feconda spola tra i nostri due Paesi. Perciò, d'intesa con la Direttrice esecutiva della Bibliotheca Hertziana Elisabeth Kieven, ho scelto di parlare oggi brevemente di Storia dell'arte, cittadinanza, Europa: e cioè in primo luogo di alcune caratteristiche fondative della disciplina storico-artistica, e poi del suo possibile contributo all'esercizio attivo della cittadinanza, ma anche a una concezione del ruolo e degli orizzonti del cittadino che sia elemento costitutivo nella costruzione di una nuova Europa.
Tracciare anche per riassunto gli sviluppi della disciplina storico-artistica in Europa e altrove sarebbe impresa qui impossibile. Vorrei tuttavia accennare a un punto nodale: la Geschichte der Kunst des Alterhums (1764) del tedesco Johan Joachim Winckelmann. Di questa opera è notevolissimo l'impianto storico e teorico, ma forse ancor più il fatto che, pur limitandosi alla storia dell'arte antica (egizi, greci, romani, etruschi) lo scritto segna di fatto la nascita della storia dell'arte tout court. Una storia dell'arte non solo antica, nutrita di erudizione storica, letteraria ed antiquaria ma ispirata da intenti etici e pedagogici, che trovarono vasta risonanza in tutta Europa, e che nel gusto delle arti figurative indicarono un ingrediente essenziale della formazione delle élites. Questo intrecciarsi di storia dell'arte antica (greco-romana) e paradigmi disciplinari più vasti e generali che si dipana da Winckelmann produsse nel tempo non solo cattedre universitarie ma anche altri frutti istituzionali. In particolare, l'idea di istituti di ricerca ad hoc. Se ne può indicare il prototipo nell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, fondato a Roma nel 1829 e poi trasformatosi nell'Istituto Archeologico Germanico, tuttora molto importante e attivo. Da allora ad oggi, le istituzioni dedicate di archeologia e storia dell'arte si sono moltiplicate in Europa e fuori, mantenendo tuttavia in questa città di Roma una presenza specialmente intensa, attraverso un amplissimo ventaglio di presenze di molti Paesi, fra i quali spicca la Germania con i suoi istituti romani, come la Bibliotheca Hertziana. In questa storia ricca e promettente, l'intenso rapporto fra cultura italiana e cultura tedesca, spesso mediato da Roma con la sua inarrivabile stratificazione di storia e di memorie, ha giocato e gioca ancor oggi un ruolo che oltrepassa di gran lunga i confini dei nostri due Paesi, ed è anzi di importanza determinante nel quadro europeo.
Quanto il dialogo Italia-Germania incentrato sulla storia dell'arte sia non solo ricco e fecondo, ma anche sorprendente, lo si può mostrare uscendo dal terreno della storia dell'arte ed entrando in un altro ambito, quello delle nostre Costituzioni.
La Costituzione della Repubblica italiana è stata la prima al mondo a dare alla storia dell'arte un ruolo di primo piano nell'orizzonte dei diritti del cittadino. Questa è infatti l'implicazione dell'articolo 9, che nella Costituzione è tra i principi fondamentali dello Stato: «La Repubblica promuove la cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Collegando così strettamente la promozione della cultura e della ricerca e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, la Costituzione italiana (scritta fra 1946 e 1947) faceva specifico riferimento sia alla preesistente normativa di tutela - le due leggi Bottai del 1939 - sia alle istituzioni pubbliche di ricerca e tutela in archeologia e storia dell'arte, le Soprintendenze.
Questa formulazione così tipicamente italiana, della quale si possono rintracciare radici civili, storiche e giuridiche nella legislazione degli Stati anteriori all'Unità nazionale, ha anche una matrice tedesca. Si può infatti dimostrare che la prima ispirazione di quello che è ora l'articolo 9 della Costituzione italiana venne dalla Costituzione della Repubblica di Weimar (1919). In essa, l'articolo 150 conteneva, all'interno di una sezione sulla scuola e l'educazione, una breve ma chiara prescrizione, secondo cui «i monumenti dell'arte, della storia e della natura, così come il paesaggio, godono della protezione e della tutela dello Stato; è compito dello Stato impedire l'esportazione del patrimonio artistico tedesco». Questa formulazione aveva le sue radici in Alexander von Humboldt e nel movimento per la difesa della Heimat, che già nel 1902 aveva prodotto la legge di tutela del Granducato di Assia-Darmstadt. Questa norma non è sopravvissuta nella Costituzione tedesca vigente (1949), ma se ne trovano tracce nella legislazione dei singoli Länder, per esempio in Baviera.
Ora, si può dimostrare, sulla base delle discussioni dell'Assemblea Costituente, che proprio da questo articolo della Costituzione di Weimar prese lo spunto Concetto Marchesi, grande latinista siciliano e già rettore dell'Università di Padova, per proporre la prima versione di quello che sarebbe stato l'articolo 9: «I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono un tesoro nazionale e sono posti sotto la vigilanza dello Stato». Come si vede, la formulazione è molto vicina a quella della Costituzione di Weimar; inoltre, nella sua relazione alla Costituente, Marchesi dichiara espressamente il proprio debito: «Nella Costituzione di Weimar del 1919 una intera sezione con nove copiosi articoli (142-150) è dedicata all'istruzione, compresa quella religiosa, e agli istituti di insegnamento». Nella prima formulazione di Marchesi, l'espressione «monumenti artistici, storici e naturali», del tutto estranea alla tradizione giuridica italiana, corrisponde puntualmente alla dizione tedesca: Die Denkmäler der Kunst, der Geschichte und der Natur. Al comunista Concetto Marchesi si affiancò subito nell'Assemblea Costituente un altro relatore, il giovane democristiano Aldo Moro, e da quella prima versione ne derivarono altre 11, fino alla formulazione finale: ma è singolare destino della fraternità italo-tedesca sul terreno della storia dell'arte che anche quello che Carlo Azeglio Ciampi ha chiamato «l'articolo più originale della Costituzione italiana» debba moltissimo a un esempio tedesco.
Stentiamo molto, nell'Europa di oggi, a trovare una qualche unità culturale, anzi troppo spesso ci accontentiamo del miope orizzonte delle economie, della finanza e dei mercati, quasi che nel denaro e nei suoi movimenti si esaurisse tutta la realtà e tutta l'umanità. Nell'Europa che vorremmo, sintonie culturali fra un Paese e l'altro che abbiano una portata così significativa come quelle tra Germania e Italia sul terreno della storia dell'arte sono una ricchezza enorme e sconosciuta. Non possono essere valutate in Borsa, non possono ridurre lo spread fra l'uno e l'altro dei Paesi europei; ma possono dare un grande contributo a definire un nuovo orizzonte dei linguaggi e dei diritti dei cittadini d'Europa, superando la logica identitaria delle singole nazioni, dei singoli stati, dei singoli ambiti linguistici e culturali. Possono operare in favore di una nuova lungimiranza, che sappia estendersi nello spazio a tutta l'Europa, e nel tempo dalla memoria delle generazioni passate alle aspettative e ai diritti delle generazioni future.
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