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Neret-Minet a Parigi batte asta di American Indian

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Neret-Minet a Parigi batte asta di American Indian

  • –di Antonio Aimi

Il prossimo 12 aprile la casa d'aste, anzi lo "studio" Neret-Minet di Parigi mette all'incanto a Drout Richelieu 70 kachinas, quasi tutte Hopi e alcuni pezzi Zuñi, le due più importanti etnie del Sud-Ovest degli attuali Stati Uniti. Per quanto il termine kachinas (per i puristi katsinam o katsinim) indichi oltre 500 spiriti della cosmologia degli Hopi e delle altre etnie della regione, nel mondo dei musei e del collezionismo hanno finito per indicare le maschere e le "bamboline" utilizzate nei rituali che dovrebbero garantire l'equilibrio del cosmo.

Il complesso delle opere offerte ha un valore compreso tra i 600.000 gli 800.000 euro, secondo quanto ci hanno dichiarato i responsabili della casa d'aste parigina. La vendita Neret-Minet è un po' un'eccezione per Parigi perché le kachinas sono una delle tipologie centrali del cosiddetto American Indian, nella sostanza quel settore del mercato che presenta i reperti etnografici e in piccolissima parte archeologici dei gruppi nativi che vivono all'interno degli Stati Uniti e del Canada (con qualche sconfinamento anche nel Messico settentrionale). Per ovvie ragioni questo settore del mercato è piuttosto importante oltreoceano, ma fino a poco tempo fa era abbastanza marginale in Europa, sia per la mancanza del contesto storico e romantico che negli Usa circonda questi reperti, sia per il loro poco invitante rapporto qualità/prezzo.

Le 70 kachinas Neret-Minet sono maschere piuttosto rare che facevano parte di un'unica raccolta formata con una certa attenzione per l'estetica, che nelle kachinas-bamboline è spesso di livello molto modesto. Esse, inoltre, hanno il sostegno di un bel catalogo in cui appare anche un breve saggio di Emanuel Bonin.

Le più antiche risalgono per lo più ai primi decenni del XX secolo o agli ultimi di quello precedente.

I prezzi oscillano tra il top lot di una maschera raffigurante la madre-corvo (n. 60 stima 40.000-50.000 euro) e le tipologie più andanti, come un cappuccio a testa di bue (n. 1 stima 1.500-2.000 euro). Nella fascia medio-alta si collocano una maschera colibri (n. 16 stima 15.000-18.000 euro), una maschera decorata con motivi a scaloni (n. 55 stima 30.000-35.000 euro) e due delle poche maschere Zuñi presenti all'asta: una presenta alla sommità due penne d'aquila (n. 31 stima 15.000-20.000 euro), l'altra le spoglie di un'anatra (n. 40 stima 18.000-22.000 euro).

Pochi giorni fa sull'asta è piombata come un fulmine a ciel sereno la richiesta di repatriation degli Hopi, che è stata rilanciata da un articolo del New York Times del 3 aprile scorso. Anche in questo caso, come per l'asta del Barbier-Mueller di cui abbiamo parlato due settimane fa, non sono imminenti iniziative legali e sembra che la richiesta abbia la finalità di scoraggiare questo tipo di mercato.

Infatti, i responsabili di Neret-Minet ci hanno dichiarato che l'asta si terrà normalmente. Ma è evidente che dietro la richiesta degli Hopi c'è la cultura del NAGRA (Native American Graves Protection and Repatriation Act), la legge del Congresso Usa del 16.11.1990, che obbliga i musei a cui vanno contributi federali a restituire alle tribù indiane "non solo i resti umani e i corredi funerari, ma anche gli oggetti sacri e i beni culturali della comunità" e, ma loro sembrano ignorarlo, per certi versi anche dell'Unidroit
Le analogie tra le due aste, però, si fermano qui, perché gli Hopi pretendono questi pezzi non perché sono stati esportati illegalmente, ma perché, in quanto "oggetti sacri", non possono avere un mercato. Considerando il valore estetico di molte delle loro kachinas, per altro invenzioni del XIX secolo, ma secondo questa logica sarebbe necessario chiudere i musei di tutto il mondo e cancellare quella visione della società e dello Stato che dall'Illuminismo si è affermata anche negli Usa. La richiesta degli Hopi appare di sapore integralista che mal si concilia con la tolleranza dei loro antenati e col fatto che essi, più che fare rituali che garantiscono l'ordine del cosmo, si limitano a incassare le royalties della Peabody Energy Corporation.
Ma sarebbe bene che qualcuno spiegasse loro che secondo questa logica integralista sarebbe necessario chiudere i musei di tutto il mondo e cancellare quella visione della società e dello Stato che dall'Illuminismo, bene o male, si è affermata anche negli USA.
Ho scritto"logica integralista", ma è bene chiarire che quello degli Hopi è un integralismo che viene tirato fuori solo quando fa comodo e mal si concilia sia con la tollerenza dei loro antenati, sia col fatto essi, oggi, più che fare rituali che garantiscono l'ordine del cosmo, si limitano a incassare le royalties della Peabody Energy Corporation.
Certo una bella differenza rispetto alle altre 240 tribù che negli Usa gestiscono, legalmente, il gioco d'azzardo.

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