ArtEconomy24

Venezia: in quali Padiglioni scovare i giovani talenti

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

Venezia: in quali Padiglioni scovare i giovani talenti

  • –di Sara Dolfi Agostini

In questa 55ª edizione della Biennale di Venezia non sarà, come spesso in passato, l'Esposizione Internazionale d'Arte a consacrare gli artisti emergenti. Infatti, la mostra ideata da Massimiliano Gioni e intitolata "Il Palazzo Enciclopedico" è, per certi versi, un ripescaggio di artisti dimenticati della storia dell'arte e a calamitare l'attenzione del pubblico e della stampa saranno i molti veterani e gli outsider che, pur avendo contribuito a indagare e formare gli immaginari visivi del secolo scorso come è il caso di Aleister Crowley o Carl Gustav Jung, non hanno partecipato in maniera esplicita e volontaria alla definizione delle pratiche artistiche. L'occasione di scoprire nuovi talenti e approfondire il loro lavoro è dunque concentrata nelle partecipazioni nazionali, che sono 88 quest'anno e oltre 10 sono orientate alla presentazione monografica di giovani artisti, invitati per chiamata diretta o tramite bandi di concorso.

Tra i padiglioni che sbarcano per la prima volta nella Laguna di Venezia, c'è quello delle Bahamas che celebrano i quarant'anni di indipendenza dal dominio britannico con l'artista Tavares Strachan (1979, Nassau, Bahamas). Negli spazi del padiglione, Strachan aggiunge un nuovo tassello alla sua indagine sulle connessioni identitarie tra paesi remoti, di confine, e sulle aspirazioni dell'uomo a conoscerli in profondità, affrontandone le diverse condizioni abitative e lasciando emergere le idiosincrasie che li caratterizzano. Il progetto, dal titolo "Polar Eclipse", è ispirato all'esperienza umana nel Polo Nord e articolato in un nucleo eterogeneo di opere tra cui spicca il video "40 Days and 40 Nights", nel quale ha invitato gli studenti di una scuola elementare di Nassau a cantare una canzone tradizionale degli Inuit, popolo di nativi americani originario dell'Artico e oggi in via di estinzione.

Strachan non è nuovo a simili collaborazioni: appena diplomato a Yale, è salito agli onori della cronaca artistica per l'opera "The Distance Between What We Have and What We Want" (2006), un blocco di ghiaccio di 4,5 tonnellate che ha estratto in Alaska e trasportato nelle Bahamas per presentarlo ai bambini delle scuole primarie che, essendo cresciuti sulle isole tropicali, non avevano alcuna cognizione delle proprietà della materia. Quindi, con "Orthostatic Tolerance" (2006-2010) si è cimentato nel tentativo di costruire un'agenzia di esplorazione oceanica e aerospaziale nella capitale Nassau: un progetto che "si articolava in modo complesso e che rendeva difficile la riconoscibilità dell'artista sul mercato", spiega Ronald Feldman, titolare dell'omonima galleria newyorkese che ha lavorato con Strachan fino al 2010 vendendo le sue opere in un range molto ampio che va da 50 dollari a 200mila dollari.

Anche il Kosovo, che come le Bahamas partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia, ha puntato su un giovane artista, Petrit Halilaj (Scenderaj, Kosovo, in 1986), la cui ricerca affonda le radici nella condizione transnazionale del fare arte e riguarda le modalità di traduzione e rappresentazione della realtà attraverso la mediazione dell'esperienza personale. Halilaj ha lasciato il Kosovo da adolescente per studiare all'Accademia di Brera di Milano e vive oggi tra Mantova e Berlino, ma nel suo lavoro s'ispira spesso a un reticolato di memoria e vestigia rurali che trasmettono alle sue opere il sapore arcaico di un mondo lontano nello spazio e nel tempo. Chiamato a rappresentare il suo paese di origine dal commissario Erzen Shkolloli, artista lui stesso e direttore della Galleria Nazionale del Kosovo a Pristina, l'artista immerge il visitatore in un ecosistema fatto di terriccio, rami, uccelli, metalli e vestiti, affiancato da un video, effimera e disegni. Ad accompagnarlo nella sua carriera, c'è la Galleria Chert di Berlino che offre i suoi lavori a partire da alcune centinaia di euro per edizioni e piccole opere su carta.

Ma quest'anno non sono solo i padiglioni esordienti ad aver interpretato la più antica istituzione internazionale dedicata all'arte contemporanea come un trampolino di lancio per le nuove generazioni. Ad esempio, il padiglione svizzero, che dal 2012 è gestito dall'agenzia Pro Helvetia coadiuvata da una giuria indipendente di artisti, curatori e storici dell'arte, ha nominato Valentin Carron (Martigny, 1977) per la sua opera scultorea giocata su un vocabolario di stili e forme che richiama la sua regione natale e crea un cortocircuito tra arte e vernacolare, artefatto e readymade. Nel padiglione, l'artista ha disposto un serpente bicefalo in ferro battuto di 80 metri di lunghezza che si estende per tutto il perimetro della struttura: ispirato agli elementi decorativi dell'art nouveau di inizio ‘900 e scelto per la sua forma semplice, quasi minimalista, induce una riflessione sull'idea stessa di scultura, il suo valore estetico e la sua funzione architettonica. Intorno, puntando ancora sull'ambiguità delle sue appropriazioni tra kitsch e pop, Carron ha allestito un motorino fuori produzione della Piaggio e delle opere in fibra di vetro che simulano opere astratte moderniste, ma per lui sono anche un dispositivo per confrontarsi con la tradizione culturale del cantone di Valais che, per costruirsi una forte identità nazionale all'indomani della seconda guerra mondiale, attivò una politica di produzione di simboli e oggetti artistici.

Dal 2004, Carron lavora con la galleria Eva Presenhuber di Zurigo che vende le sue opere molto eterogenee tra 20 e 250.000 franchi svizzeri.
A rappresentare la Polonia, invece, è Konrad Smoleński (Kalisz, 1977), scelto attraverso un bando indetto dalla Galleria Nazionale Zacheta. Musicista punk, performer e artista, Smolénski realizza monumentali installazioni che producono un'amalgama di suoni e fragori atti a interagire con il pubblico modificando la tradizionale esperienza di contemplazione estetica caratteristica negli spazi espositivi. Queste complesse strutture sono vendute dalla galleria Leto di Varsavia tra i 2-50mila euro e, poco adatte a contesti domestici, sono entrate soprattutto nelle collezioni di istituzioni come il Museo di Arte di Lodz e il Museo Chopin. Il progetto per il padiglione, "Everything Was Forever, Until It Was No More", include infatti due campane in bronzo di 400 kg ciascuna collegate a uno strumento meccanico che trasforma il loro suono intermittente in un flusso acustico regolare mirato a innestare nei visitatori un senso di inquietudine, che per Smolénski è lo stesso che riverbera nella nostra vita quotidiana assediata da cumuli di informazioni.

Come la Polonia, anche l'Irlanda ha realizzato un bando per il Padiglione alla Biennale di Venezia, organizzato dall'agenzia per la promozione delle arti, Culture Ireland, in collaborazione con il locale Arts Council. A vincere sono stati, dunque, artista e curatore, rispettivamente Richard Mosse (Kilkenny, 1980) e Anna O'Sullivan, fondatrice e direttrice dello spazio non profit Butler Gallery che si trova nel castello medievale di Kilkenny, piccola città situata nel sud del Paese. Scoperto attraverso il concorso "Regeneration2" (2001), un evento espositivo prodotto ogni cinque anni dal Musée de L'Elysee di Losanna insieme ad Aperture Foundation di New York per individuare i fotografi del domani, Mosse si è distinto per un'indagine sulla rappresentazione della guerra. Nelle sue immagini, l'estetica dell'istante decisivo che ha calamitato per decenni lo sguardo del fotogiornalista sull'azione nel pieno del suo svolgimento, è rifiutata in favore di una vocazione alla ricostruzione dei fatti che integri le strategie visive usate dal fotografo e dal pubblico destinatario a guardarle. In "The Enclave", il progetto per il Padiglione Irlandese, Mosse costruisce una complessa installazione multimediale a partire da un filmato a infrarossi nel quale racconta la guerra civile che alla fine degli anni '90 causò oltre 5 milioni di morti nell'est del Congo: una tragedia che sfuggì ai media internazionali e alla coscienza collettiva in un mondo dove, come scrisse in tempi non sospetti Baudrillard, sono soprattutto le immagini a conferire potere di realtà agli eventi.

Come in tutti i suoi lavori, in vendita dalla Galleria Jack Shainman di New York a prezzi tra 4.500 e 75.000 dollari in edizioni di 2 o 5 esemplari più una prova d'artista, Mosse produce una tensione tra il potenziale narrativo dell'arte e la capacità documentaria dei media in situazioni a forte componente drammatica, rievocando le riflessioni di Susan Sontag nel saggio "Davanti al dolore degli altri" (2006).
Così, mentre la Mostra Internazionale si impegna ormai da un quinquennio sul fronte della ricostruzione di un ponte tra contemporaneo e storia dell'arte, affidandosi a nomi del passato come già era stato per "ILLUMInations" con Tintoretto nel 2011, i padiglioni nazionali accendono i riflettori sugli artisti emergenti, intravedendo nella Biennale un'occasione per mostrare gli aspetti più sperimentali e di ricerca dei nuovi talenti che si affacciano all'Olimpo dell'arte internazionale.


© Riproduzione riservata