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Van Wittel di larghe vedute

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Van Wittel di larghe vedute

L'inventore della veduta urbana in Italia fu Gaspar van Wittel, un olandese nato ad Amersfoot intorno al 1650. Lo dimostrano alcune date precoci che si leggono, munendosi di lente d'ingrandimento, in taluni dipinti e disegni, vedi quello bellissimo che raffigura il Campovaccino, dove su di una lesena della loggetta è scritto a penna 1682. È singolare che un pittore si preoccupasse di datare i propri disegni; credo che la ragione sia da ricercarsi nel puntiglio del vedutista che vuole – per dir così – fermare l'immagine nel tempo, e forse nel fatto che van Wittel, primo a ritrarre tanti punti di Roma, volle attribuire ai suoi quadro un supplemento di valore storico, il più duraturo possibile.
Aveva scelto l'Italia, e in particolare la città eterna, nel solco di una tradizione avviata da oltre un secolo. Vi arrivò nel 1674, e «dopo una delle numerose e smodate libagioni davanti alla tomba di Bacco» (Weststeijn), incise – da vandalo – il suo nome nel porfido del Mausoleo di Santa Costanza. Aveva preso dimora in vicolo della Purificazione, e qui – secondo Lione Pascoli – era un continuo passaggio di cardinali e di "oltramontali e forestieri" a chiedergli quadri. Deve esserci qualcosa di vero nelle parole del Pascoli, vista la produzione veramente ingente di vedute, spesso ripetute in serie, e anche il rango dei committenti romani: dai marchesi Sacchetti, a Livio Odescalchi, nipote del papa Innocenzo XI, ai Colonna. Fatto sta che il catalogo dell'opera di Gaspar, pubblicato nel 1966 da Giuliano Briganti e proseguito e ampliato da Laura Laureati e Ludovica Trezzani, conta oggi un numero considerevolissimo di dipinti e disegni, che si spiega sulla scorta dell'interesse che il pittore suscitò anche fuori Roma, attestato dalle rappresentazioni di splendidi scorci di Firenze, Bologna, Verona e specialmente Venezia, in largo anticipo su Canaletto che da van Wittel prende molto. La concezione della veduta canalettiana è certamente diversa da quella dell'olandese, essendo tesa a una oggettività analitica, a una lucidità trasparente ispirata da principi estetici che ritroveremo nell'Illuminismo. Van Wittel si colloca su un registro più elegiaco e lirico, grazie all'atmosfera stessa di Roma e all'azzurro dei cieli romani, unico al mondo.
L'occasione di riparlare di Gaspar van Wittel, "Gasparo degli Occhiali", è la bellissima mostra di un folto complesso di disegni allestita alla Biblioteca Nazionale di Roma. Sono poco più di cinquanta fogli di varia dimensione (alcuni raggiungono il metro e mezzo di base). È stata realizzata "con quattro soldi", il che significa aver sacrificato le pompe dell'inaugurazione, le patinature del catalogo, il compenso dei curatori, i manifesti, e aver privilegiato il contenuto del materiale esposto. L'effetto un po' disadorno è in fondo confacente alla grafica che non ha bisogno di arredi sontuosi, ma sarebbe riduttivo considerare questa mostra unicamente "raffinata", categoria fra le più insulse, quando si evidenziano la bellezza e il significato documentario dei fogli, oltre alla precisione del loro riordino critico. È ovvio che la qualità dei disegni si coglie meglio quando lo stato di conservazione è buono, vale a dire quando non sono stati usati ripetutamente per i dipinti, e i fogli autonomi, di cui non si conoscono traduzioni pittoriche, sono in condizioni di migliore leggibilità, specie nelle parti ad acquarello.
La mostra è dedicata a due persone di alto spessore culturale: Giuliano Briganti, che purtroppo se n'è andato una ventina d'anni fa lasciandoci un po' soli, e Domenico Gnoli, prefetto della Biblioteca Nazionale dal 1881 al 1909, cui si deve l'acquisto del prezioso album di disegni. Lo comprò per la somma irrisoria di 498 lire da Francesco Angeletti sedicente antiquario. Le indagini su questo personaggio, condotte in occasione della mostra da M. M. Breccia Fratadocchi, hanno portato alla puntualizzazione di particolari interessanti che consentono di aggiungere una nuova "scheda" biografica alla storia del mercato dell'arte a Roma fra Otto e Novecento.
Al tempo dell'alienazione, il Gentiletti abitava in Passeggiata di Ripetta, un bell'indirizzo per uno sconosciuto che, pur vantando la professione di antiquario, era capo cameriere al Gran Caffè Roma, descritto da Matilde Serao, ottima "cliente" dell'Angeletti: «com'era caldo, grasso, confortevole il Caffé di Roma, alle sette di sera. In un angolo, in fondo alla sala, una tavolata di artisti e di giovinotti eleganti romoreggiava lietamente». Fatti i soldi, l'Angelettti aveva comprato la trattoria Alla Concordia in via della Croce, ed è qui che si era auto affibbiato il soprannome di «Checco l'avvelenatore», nonostante il quale, l'esercizio, ancora esistente, dovette funzionare piuttosto bene.
A sto punto sorgono spontanee due domande: come mai un capo cameriere disponeva di tanto denaro e da chi ebbe il fascicolone dei magnifici disegni vanwitelliani? Alla prima, si risponde; alla seconda, no. La verità è che l'avvelenatore, che lasciò scritto di «aver fatto del bene e ricevuto del male», prestava denaro a tassi d'interesse – diciamo così – alti. Oltre alla Serao, tra i suoi illustri clienti, spicca Gabriele d'Annunzio. All'inizio del percorso della mostra sono esposte due cambiali, datate 1891 e 1892, e un biglietto autografo del Vate che si impegnava a saldare i debiti del padre e i suoi. L'Angeletti, che non doveva fidarsi delle promesse del poeta, gli aveva imposto a garanzia tre pastelli di Michetti. D'Annunzio non onorò mai le cambiali. Del suo soggiorno a Roma – viveva in via Gregoriana, 25 – interrotto dai pignoramenti, parla con tristezza: «lasciai la casa invasa dagli uscieri, e partii malato», dove "uscieri" sta per ufficiali giudiziari.
Sulla provenienza dei disegni regna il più fitto silenzio. Sorge però il sospetto che colui che li vendette all'Angeletti abbia avuto in cambio qualche maritozzo per colazione, al Gran Caffè Roma.
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Gaspar van Wittel: i disegni, Roma, Biblioteca Nazionale, fino al 13 luglio

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