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Lo Scipione prediletto da Zeri

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Lo Scipione prediletto da Zeri

Vi sono mostre monografiche che per ingorghi di opere ed eccessiva smania promozionale finiscono col nuocere all'artista celebrato. Ma ve ne sono altre, di uguale taglio, che contribuiscono per davvero a illuminarne i contorni, ad affrancare il personaggio da una dimensione ridotta a nicchia erudita, a farlo salire di grado nella gerarchia dei valori. E' il caso di questa importante rassegna dedicata al pittore Scipione Pulzone da Gaeta, curata da Alessandra Acconci, Anna Imponente e Alessandro Zuccari (il catalogo), che ambisce legittimamente a essere l'antefatto di una monografia di questo maestro del secondo Cinquecento, riscoperto in succinte pagine da Alberto Graziani nel 1939 e rilanciato in un saggio di Federico Zeri nel 1957, sul quale si discute ancora, a distanza di oltre cinquant'anni dalla pubblicazione, tanto è vivo. Il libro, molto bello ancorché in talune deduzioni paradossale, se lo poteva permettere giusto una mente libera e fosforescente quanto era quella di Zeri; mai un travet in mezze maniche della storia dell'arte avrebbe osato attribuire a Scipione Pulzone, notissimo ai tempi suoi specie in veste di ritrattista, ma a dir poco dimenticato dalla storiografia artistica del Novecento, il ruolo di antesignano di quella pittura sacra, cristallizzata in forme addolcite, suadenti e gradevoli, che sarebbe sfociata nell'oleografia ottocentesca, sì che c'è da domandarsi perché proprio su Scipione Gaetano, estratta dal foltissimo gruppo di pittori attivi nel lungo e vario periodo della Controrifoma, dovette piombare lo sguardo di falco zeriano. Evidentemente perché il Gaetano aveva carattere e qualità per giustificare tale elezione, rivolta essenzialmente alla produzione di pale d'altare, di quadri di tema devoto, e soprattutto di Madonne, dalla Sacra Famiglia della Borghese, alla Madonna della Divina provvidenza di San Carlo ai Catinari (non esposta in mostra), alla minuscola Vergine Maria di raccolta privata, di un fascino da Raffaello redivivo. L'insistere sulla tenerezza di dipinti che Zeri giudicava svuotati di passione religiosa e regolati invece su schemi normativi tridentini e come tali testimoni di una arte "senza tempo", vale a dire adattabili a ogni epoca e circostanza, è innanzitutto da mettersi in relazione con il revival raffaellesco degli ultimi due decenni del XVI secolo, con la ripresa di un certo classicismo anche formale e la rinascita di un ideale i bellezza che porterà frutti nei decenni a seguire. Ma la tenerezza e la bellezza, che potrebbero apparire convenzionali e studiate se non fossero di così palese gradimento del pubblico più misto possibile, dall'aristocrazia al popolo, rientravano a buon diritto nella cultura della Controriforma, anche se sul piano teorico le tracce di tale orientamento elettivo sono più che sbiadite.
Il saggio di Zeri del 1957 aveva per titolo "Pittura e controriforma. L'arte senza tempo di Scipione da Gaeta". Zeri non aveva voluto mettere il cognome Pulzone perché - a suo dire - poteva dare adito a distorsioni scurrili. Chi si tuffava nel mare magnum della Controriforma doveva effettivamente confrontarsi con l' intoccabile (e miope) visione crociana. In realtà, questo libro, che ho sentito con le mie orecchie, durante una conversazione a più voci all' Accademia di San Luca, definire "sulfureo", è veramente cattolico (forse con qualche venature protestante), basta rileggere gli elogi che vi si trovano di alcuni pittori gesuiti e l'ammirazione sperticata nei confronti di Sant'Ignazio. In ogni caso, allora come oggi per addentrarsi nell'argomento complicatissimo della Controriforma, o Riforma cattolica, bisogna armarsi di coraggio. Zeri lo fece con piglio geniale e - lo ripeto - al limite del paradossale, e le obiezioni al suo saggio, che vengono formulate senza asprezza di toni nel catalogo della bella mostra di Gaeta, hanno ragione di essere a condizione che, a loro volta, nascano dalla coscienza di quanto vasto e contradditorio sia quel grandioso movimento di restaurazione della Chiesa.
Scipione da Gaeta nacque tra il 1540 e il 1542 e morì a Roma nel 1598. Ebbe in vita una fama maggiori di quanto gli abbiano accordato i posteri, dettata soprattutto dai suoi ritratti del tipo internazionale e "asburgico" (Vannugli), e dal favore di committenti d'alto rango: Pontefici (ne passarono ben quattro durante la sua vita), titolati del gotha romano, i Medici. Nella mostra se ne può ammirare una galleria molto assortita. I ritratti del Gaetano sono concepiti sulla base di modelli fiamminghi e della Maniera, in particolare di Antonis Moor che lavorò anche a Roma. I primi in ordine cronologico sono contraddistinti da un'indagine ottica e lenticolare, da una lucida messa a fuoco dei dettagli, applicata sia ai volti che alle vesti tramite una materia pittorica vitrea. E' indubbio che la bravura tecnica del Gaetano, che raggiunge in taluni casi l'eccellenza mimetica, abbia contribuito alla sua notorietà. Più ci si avvicina agli anni finali, più la materia perde consistenza adamantina e non solo nei ritratti egli vira verso un naturalismo (Zeri dice "verismo") di più immediato contatto umano, per affermare il quale l'attutirsi degli effetti drammatici, nelle storie sacre, diviene sostanziale. Fatto sta che Scipione Pulzone visse in un momento tra i più fecondi dell'età post rinascimentale, in una città come Roma che era crocevia del mondo intero. In tal senso la sua più spiccata prerogativa fu di non confondersi fra le voci dei cori e di mantenere un'indipendenza che gli permise di svettare nei cantieri più ambiti, vedi in Santa Maria Nuova.
Due parole sul catalogo di Gaeta: ci riporta al bel tempo che fu delle mostre serie, per la ricchezza degli apparati, il regesto esemplare dei documenti, l'articolazione dei saggi (si legga quello su Pulzone ritrattista), la fortuna critica. Tutto ciò è il risultato di studi avviati da chi sa quando pervenuti quasi al traguardo, non un mesto corredo, obbligato da circostanze effimere.
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Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma alle corti europee, Gaeta, Museo Diocesano, fino al 27 ottobre. Catalogo Palombi editori

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