ArtEconomy24

Augusto nel posto giusto

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

Augusto nel posto giusto

È gloria vera per Augusto, questa mostra che celebra i duemila anni dalla sua morte. Apre con la statua colossale da Arles, magnifica e imponente, dove l'artefice dell'impero di Roma è ritratto «in nudità eroica» come un dio. Se già in vita Augusto aveva circondato la sua persona di un'aura di sacralità, con la morte divenne a tutti gli effetti dio. E accanto a lui c'è un ritratto di Livia, la sposa di una vita, adorante nelle vesti di sacerdotessa del «divo Augusto». Ma è il finale della mostra a celebrarne al meglio la gloria con un coup de théâtre formidabile: sono riunite per la prima volta, e visibili al pubblico per la prima volta, le lastre del fregio che decorava un tempio del divo Augusto in Campania, forse a Nola dove l'imperatore morì, e che ora sono sparsi tra collezioni spagnole e ungheresi. Ricordano i momenti salienti della sua vita, da una concitata battaglia di Azio alla sua apoteosi dopo la morte. Contemplandoli, grandiosi, pare che Augusto ci avvolga e ci porti con lui nella gloria. Perché giunti a questo punto è legittimo sognare, estasiati come siamo al termine di una sequenza di meraviglie.
Abbiamo appena ammirato le statue del foro di Merida, simili per programma iconografico a quelle del foro di Augusto in Roma, e prima ancora il tesoro di Boscoreale e altre meraviglie di quell'artigianato artistico in cui l'arte augustea è insuperata. Abbiamo visto i rilievi Grimani – sparsi fra Palestrina, Vienna e Budapest – riuniti per la prima volta, e l'unica lastra dell'Ara Pacis che non sta al suo posto ma al Louvre: secondo una bella intuizione del curatore della mostra Eugenio La Rocca, ritrae le donne di famiglia con al centro Ottavia sorella di Augusto. Abbiamo visto anche le statue dei Niobidi, quella romana e quelle danesi, riunite per la prima volta a disegnare il frontone di tempio che molto probabilmente decoravano. E lì accanto, quasi nascosto, abbiamo scorto un cammeo splendido e particolare da Firenze che ritrae Augusto in veste di Apollo con lunghe chiome, e che si aggiunge alla serie infinita di cammei preziosi e unici già ammirati al piano di sotto.
Così è la mostra che La Rocca, nolano di nascita, sogna da una vita: perfetta, senza sbavature o ripieghi, solo il meglio. Si è dovuto attendere settantasei anni per riparlare di Augusto a Roma dopo quella «Mostra augustea della romanità» che ha fatalmente legato nella memoria il fondatore del l'impero antico al suo epigono novecentesco. Anche i giudizi sull'arte augustea ne hanno risentito: «fredda e classicistica» la giudicava Ranuccio Bianchi Bandinelli, mentre oggi si è giunti a riconoscerle un'autonomia specifica. «Un'invenzione classica nuova, un nuovo linguaggio» capace di veicolare al meglio il messaggio politico e culturale del nuovo impero, la definisce La Rocca che in mostra ha voluto illustrarne l'evoluzione dal clima concitato delle guerre civili fino alla propagandata rinascita dell'età dell'oro. «E poi – continua La Rocca – la Grecia classica non ha mai ammirato e rappresentato la natura come fa l'arte augustea».
Le preziose decorazioni floreali del l'Ara Pacis come degli oggetti d'uso quotidiano, e gli animali virtuosisticamente ritratti nei rilievi Grimani, sono eredità squisitamente romana. Sono l'immagine visiva della pace che Augusto ha ridato al mondo. Dopo la damnatio memoriae decretata tacitamente dall'Italia postfascista, Augusto con questa mostra è pienamente riabilitato. Trionfa anche con una galleria di suoi ritratti veramente ricca: dalle immagini spigolose della gioventù combattiva ai volti placidi della maturità, con splendori in bronzo come il ritratto a cavallo del museo di Atene o il sereno volto colossale da Meroe, ora al British Museum. Ed è attorniato da amici e familiari, tra cui anche gli sfortunati e somiglianti nipoti Gaio e Lucio ch'egli adottò e crebbe come figli suoi e suoi eredi, ma morirono anzitempo (ci sono le grandi statue dalla basilica di Corinto, e si ammirano per la prima volta i due ritratti della Fondazione Sorgente Group).
Non c'è pittura in mostra, perché non avrebbe giovato spostare quel che è allestito nel vicino palazzo Massimo, o accennare ai decori della casa di Augusto che sta ugualmente a pochi passi. E non si parla di quel programma edilizio augusteo che, senza mai stravolgere di proposito l'urbanistica di Roma, ne ha di fatto cambiato il volto. Augusto ha trasformato una città come tante nel centro del mondo. Ma ugualmente, non è una mostra la sede ideale per presentare ciò che la città stessa rivela: fori, Pantheon, Palatino, teatro di Marcello, Ara Pacis, Mausoleo.
Ecco, il Mausoleo, il luogo del riposo eterno di Augusto e dell'intera sua famiglia: paga anche lui un prezzo troppo alto per la magnificazione che ne fece Mussolini, chiuso e trascurato com'è da troppi anni. Solo ora il decreto Valore Cultura ha stanziato due milioni di euro per il suo recupero, quando ne serviranno almeno dodici. Solo ora che il bimillenario è alle porte e quel mausoleo sarà, nella migliore delle ipotesi, un cantiere. Eppure Eugenio La Rocca ci aveva pensato per tempo: ricorda che nel 2008, quando lasciò la carica di sovraintendente del Comune di Roma, aveva già pronti un progetto e un budget di dieci milioni di euro. Svanirono. Così ora faremo l'ennesima brutta figura di fronte al mondo. Per fortuna c'è la bella mostra.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Augusto, Roma, Scuderie
del Quirinale; fino al 9 febbraio 2014. Catalogo Electa. Info: 0639967500, www.scuderiedelquirinale.it

© Riproduzione riservata