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Il dodecaedro di Mario Botta

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Il dodecaedro di Mario Botta

Qual è il posto di Dio? È una domanda che ci si pone da sempre e a cui da sempre sono aperte molte risposte. Per Mario Botta – autore della Cappella del Granato, inaugurata pochi giorni fa a Penkerjoch nella regione dello Zillertal in Austria – Dio sta nel segreto della geometria che governa le leggi dell'universo. La cappella infatti deve il suo nome alla particolare pietra del luogo – il granato – che in natura ha una struttura dodecaedrica: ingrandita nella figura di un rombo appoggiato su uno zoccolo in calcestruzzo, l'immagine del dodecaedro dà immagine al luogo di preghiera che si raggiunge a piedi o utilizzando una cabinovia che parte da Finkenberg nella pianura sottostante.
Un'immagine severa ed enigmatica, che ricorda un monolite o un sasso caduto dal cielo , in quell'equilibrio precario che caratterizza la ricerca di sé nel momento del dubbio o dello sconforto. Un tema che l'architetto ticinese conosce molto bene, avendone sperimentato le declinazioni in tutte le possibili varianti dei contesti metropolitani e di quelli rurali. Come la cappella di Mogno, ad esempio o in quella di Monte Tamaro, dove lo scontro con la forza distruttrice o plasmatrice della Natura ha assunto le sequenze di un vero corpo a corpo. Nella Zillertal il nuovo luogo di culto ha l'immediatezza e la sinteticità di un oggetto chiuso in se stesso, consentendo a Botta di esercitare al meglio la sua capacità di lavorare alla piccola scala forzando i limiti della dimensione fisica in una possente e calibrata misura di forza spirituale. Come l'ago di una bilancia tra il profilo roccioso delle catene montuose e la forma perfetta del lago artificiale, la cappella funziona come una croce piantata al suolo: elemento di tramite e di confine tra l'asprezza della terra( e delle condizioni climatiche) e la resistenza della fede. Da lontano si presenta ermetica e quasi misteriosa per il suo rivestimento in rugginoso corten , appena inciso su un lato dal segno tagliente di una croce.
Una volta penetrati nell'interno, però, lo scenario cambia. Dallo zoccolo in cemento una scala conduce al piano superiore e all'improvviso quello che da fuori si presentava come un solido pieno e compatto, si smaterializza in un vuoto perfetto, sagomato dalle sfaccettature poligonali delle pareti in larice. Un'unica fonte zenitale regola la luce spalmandola lungo le pareti inclinate in un movimento continuo che comunica la suggestione di trovarsi dentro un cristallo dai risvolti mutevoli. In questo vuoto di luce e di penombra ci si raccoglie in silenzio e in meditazione, ragionevole ricompensa alla fatica della salita e all'ansia della ricerca. La retorica del simbolo è ridotta al minimo, se non estinta nell'evidenza matematica della struttura: di conseguenza ne risulta potenziata la forza evocativa dell'istintivo gesto della preghiera.
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