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Tutti seduti su Kent

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Tutti seduti su Kent

Che cosa ha attratto irresistibilmente per secoli gli architetti inglesi verso l'Italia ? Senza dubbio una fortuna è stata la cessione da parte di Vincenzo Scamozzi ad Inigo Jones dei disegni della bottega di Andrea Palladio, all'inizio del Seicento. Se sia stata una vendita o un dono non è chiaro, e se Scamozzi sperasse così di allontanare da sé la memoria professionale del suo predecessore. Sta di fatto che Jones portò in patria quei disegni e su di essi – e sui Quattro Libri pubblicati da Palladio nel 1570 – costruì l'identità architettonica di una nuova Inghilterra avviata a diventare potenza europea.
Del suo naturalmente lo aveva messo anche Palladio, con l'invenzione della villa per i "gentilhuomini" del Veneto, concepita come edificio funzionale allo sviluppo economico delle campagne ma anche come luogo dove coltivare serenamente i propri interessi culturali, un modello sociale alternativo al "cortegiano" di Baldassar Castiglione. Dopo la morte di Jones nel 1652, il virus palladiano perse forza nell'Inghilterra barocca di Wren e Hawksmoor, per rinascere vitale nel Settecento grazie a due personalità: «l'Apollo delle arti e il suo sacerdote» (definizione di Horace Walpole), vale a dire Richard Boyle, terzo conte di Burlington e il suo protetto William Kent (1685-1748), di nove anni più vecchio ma chiamato col vezzeggiativo di Kentino.
A quest'ultimo è dedicata l'opulenta mostra curata da Susan Weber "William Kent. Designing Georgian Britain"ora nella Galleria del Bard Graduate Center di New York ( fino al 9 febbraio, per spostarsi poi al Victoria & Albert Museum di Londra dal 22 marzo al 13 luglio 2014). Nato nello Yorkshire da una famiglia della working-class, formatosi come pittore di insegne e di carrozze, Kent deve la propria ascesa sociale ad una formidabile capacità di relazione con esponenti della classe dirigente inglese, che utilizzò i suoi talenti - più numerosi che eccelsi - di pittore, scultore, architetto, designer di mobili e arredi, incisore di immagini a stampa. Profondo conoscitore dell'Italia e dei suoi capolavori, guida degli aristocratici inglesi nel corso del Grand Tour, come suggerisce il titolo della mostra Kent divenne presto arbitro del gusto. Con Burlington fu l'inventore di nuova immagine del Regno Unito di Gran Bretagna che, nato con l'Act of Union dalla fusione dei regni di Scozia e Inghilterra (1707), necessitava di un nuovo parlamento e di un palazzo reale dopo l'incendio del 1698. Inoltre la neo casa reale degli Hanover, giunta dalla Germania al trono britannico con Giorgio I nel 1714, aveva assoluto bisogno di una nuova immagine pubblica che la differenziasse dagli Stuart e dai re di Francia. Attraverso Burlington e Kent si diffuse l'identificazione dei nuovi ottimati con la grandezza dei Romani antichi, attraverso la traduzione nel mondo moderno che della loro architettura aveva dato Palladio. Naturalmente, di traduzione in traduzione, il modello si sbiadì progressivamente e il rigore razionale di Palladio rimase confinato all'esterno degli edifici, nel cui interno Kent lasciava campo libero alla propria esuberanza creativa. I lampadari, le zuppiere, le panche e i tavoli in mostra restituiscono bene al visitatore l'opulenza degli oggetti disegnati da Kent, che estratti dai maestosi spazi per i quali furono creati sfiorano pericolosamente il grottesco, con dorature e putti grassocci. Squisito però il design della sedia "architettonica" pensata per la galleria di Chiswick, dove evidentemente Burlington, proprietario dell'edificio, aveva imbrigliato l'estro del suo protetto.
La mostra offre un prezioso sguardo complessivo su tutta l'attività di Kent con quasi duecento opere, dalle copie dei capolavori italiani nel corso del viaggio in Italia, ai bozzetti per gli apparati decorativi, ai disegni per i progetti architettonici. Ma la parte più affascinante della mostra, e di certo il contributo più duraturo di Kent come progettista, consiste nell'invenzione di una nuova idea di giardino. Rifiutate le costrittive geometrie razionali dei modelli francesi e italiani, Kent disegna per le grandi residenze aristocratiche di campagna parchi concepiti per apparire "naturali" o meglio costituiti da una "sapiente confusione". Movimenti di terreno, corsi d'acqua e quinte arboree punteggiate di piccole costruzioni e false rovine rievocavano i paesaggi del Grand Tour, letti attraverso le tele seicentesche di Lorrain, Poussin o Salvator Rosa. Un paesaggio teatrale, finalizzato a suscitare emozioni ed evocare memorie, fossero i versi latini di Virgilio, o le pagine del Paradiso Perduto di Milton. Una eccessiva artificialità sarà in seguito imputata a Kent quando una nuova sensibilità ricercherà una più intima comunione con la natura. Ma la strada era aperta. L'area del parco a Rousham House (Oxfordshire), ad esempio, venne dilatata visivamente a comprendere la circostante campagna coltivata, introducendo l'uso del sunk fence (letteralmente recinto infossato), barriere mascherate in grado di impedire a greggi e mandrie di avvicinarsi alla villa, senza per questo dover sottrarre alle colture terreno fertile per destinarlo a giardino. Come scrisse Walpole nel 1771, Kent «saltò oltre il muro, e scoprì che tutta la natura era un giardino».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
William Kent, Designing Georgian Britain, Gallery of the Bard Graduate Center, 18 West 86th Street, New York
a cura di Susan Weber
20 settembre 2013 - 9 febbraio 2014

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