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Il ritorno di Alessandro il Grande, creò un network di gallerie…

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Il ritorno di Alessandro il Grande, creò un network di gallerie già negli anni 50

  • –di Silvia Anna Barrilà



È stato definito "il gallerista più famoso di cui nessuno ha mai sentito parlare". Infatti, nonostante Alexander Iolas abbia organizzato la prima e l'ultima mostra di Andy Warhol, abbia portato i Surrealisti negli Stati Uniti e Ed Ruscha sulla East Coast, oggi il suo nome è sconosciuto anche agli esperti d'arte, diversamente da quelli di altri galleristi suoi contemporanei come Leo Castelli e Ileana Sonnabend.
Il gallerista Paul Kasmin di New York cerca ora di porre rimedio a questa mancanza con una mostra dedicata alla storia del gallerista (fino al 16 aprile) e la pubblicazione di un catalogo che porta le testimonianze di chi l'ha conosciuto prima che vadano perdute.
La mostra, intitolata "Alexander the Great: The Iolas Gallery 1955-1987", raccoglie una sessantina di opere, prevalentemente non in vendita, di artisti che Iolas ha amato o rappresentato e opere che provengono dalla sua collezione o sono passate per una delle sue gallerie. All'apice del suo successo, infatti, negli anni 50-60, Iolas aveva filiali a New York, Parigi, Milano, Roma, Ginevra, Madrid e Atene, tanto che Bob Colacello, autore americano e membro negli anni 70 della Factory di Warhol, l'ha definito un "proto-Gagosian".
Personaggio eccentrico, quasi letterario, Iolas nacque ad Alessandria d'Egitto da una famiglia greca nel 1907. Il suo vero nome era Costantino Koutsoudis ma scelse di farsi chiamare come Alessandro Magno e da lui derivò il soprannome di "Alexander the Great" o "Alexander the Greek". Chi non lo chiamava così, lo chiamava semplicemente Iolas, che lui aveva scelto ispirandosi alla divinità tebana amante di Eracle (Iolas era omosessuale), o al servitore di Alessandro Magno (e secondo alcuni il suo assassino).
Iolas iniziò la sua carriera non nell'arte bensì come ballerino, prima a Berlino e poi negli anni 30 a Parigi, dove frequentò Jean Cocteau, de Chirico, Braque, Picasso, Man Ray, Magritte e Max Ernst e dove acquistò le prime opere. Cominciò a lavorare nell'arte a New York nel 1944, prima come direttore della Hugo Gallery, fondata da Robert Rothschild, Elizabeth Arden e Maria dei Principi Ruspoli Hugo, e poi dal 1955 nella sua galleria fondata insieme a Brooks Jackson.
Oltre ai già nominati Warhol, Surrealisti e Ed Ruscha, Iolas espose Victor Brauner, Yves Klein, Jules Olitski, Niki de Saint Phalle, Dorothea Tanning, Paul Thek, Jean Tinguely, Joseph Beuys e altri. Tra gli italiani Giorgio de Chirico, Lucio Fontana e l'Arte Povera con Pino Pascali e Kounellis.
È stato famoso non solo per aver facilitato, attraverso la sua rete di gallerie, i contatti intercontinentali tra gli artisti e i collezionisti, ma anche per il lavoro di consulenza a collezionisti come John e Dominique de Menil di Houston, che sostenne nella costruzione e definizione della loro collezione.
Tra le opere esposte in mostra c'è una serigrafia della serie "L'ultima cena" di Andy Warhol, ispirata al capolavoro di Leonardo e commissionata dallo stesso Iolas. La serie fu esposta a Palazzo delle Stelline a Milano proprio di fronte a Santa Maria delle Grazie e nell'ultima mostra di Warhol alla galleria di Iolas nel 1987, poco prima che sia Warhol che Iolas morissero a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro.
Iolas non ha mai compilato un archivio, né ha lasciato un inventario sistematico o una lista di mostre in ordine cronologico, e forse anche da questo deriva il fatto che sia stato dimenticato. Ma d'altra parte amava dire: "Per me ogni mostra è come la prima di un balletto: mi uccido, mi annoio, aspetto il pubblico, ballo. Non considero la galleria come un'occupazione commerciale. È un'occupazione puramente artistica. Una mostra deve essere un balletto decorato da Yves Klein o da Max Ernst. È uno spettacolo in cui i membri del pubblico sono i ballerini e la scena è dipinta dall'artista. E io non sono un mercante d'arte che semplicemente vende dipinti. I miei collezionisti sono amici, amici che io faccio innamorare di quello che faccio, di quello che vedo".
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