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A spasso con Amir Shariat per Miart, tra acquisti e commenti -

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A spasso con Amir Shariat per Miart, tra acquisti e commenti - Foto

  • –di Sara Dolfi Agostini

A Miart, Amir Shariat era già venuto due anni fa, invitato come quest'anno nell'ambito del Vip Program. "Andavo ad Artissima www.artissima.it a Torino da sette anni e ho voluto capire che aria tirava da queste parti, ma ricordo di essere rimasto deluso e di non aver comprato niente" afferma con un po' di cruccio. Anche le mostre in città gli sembrarono poco significative, ed è con queste aspettative sommesse che è tornato per la 19a. edizione di Miart, la seconda diretta dal curatore Vincenzo de Bellis.
Un quarantenne iraniano di origini e austriaco per scelta, Shariat si occupa di energia rinnovabile e poi c'è l'arte, una passione coltivata con il padre, mercante di arte a Vienna, e con quattro amici collezionisti europei e americani che consiglia in qualità di curatore e advisor. Ha una collezione di 300 opere d'arte contemporanea iniziata 13 anni fa con opere di artisti emergenti acquistati soprattutto da gallerie londinesi, come Jonathan Viner e Thomas Dane . Ma da qualche anno ha scoperto i concettuali italiani degli anni '60 e '70: da Agostino Bonalumi (1935-2013) a Paolo Scheggi (1940-1971), fino a Piero Manzoni (1933-1963), ed è proprio con la sua mostra retrospettiva a Palazzo Reale che ha iniziato il suo tour nell'art week milanese giovedì scorso. "Sto preparando una mostra a New York sugli artisti italiani di quel periodo, voglio dimostrare quanto hanno influenzato i giovani americani" spiega Shariat. E la mostra com'era? "Bella e informativa" commenta, telegrafico.
Nel pomeriggio si è recato all'inaugurazione di Miart, da cui è emerso solo a tarda sera, "cacciato letteralmente dagli inservienti". Nella sezione "Emergent", dedicata alle giovani gallerie, ha acquistato da VI, VII di Oslo le opere in tessuto di ispirazione minimalista dell'inglese Brad Grievson (1986), in vendita a 3-5mila euro, poi da Luce di Torino i dipinti su tavola, alluminio e olio di catrame del californiano Hugo McCloud (1980), a 6-8mila euro. Ha proseguito nella sezione "Established" soffermandosi allo stand di OHWOW di Los Angeles, dove si è incuriosito per le opere pop di Lucien Smith (1989) che, nonostante l'età, vende già a più di 20 mila dollari dopo il successo della mostra a Salon 94 di New York è definito dalla stampa americana il "nipote di Andy Warhol". Da Foxy Production di New York (www.foxyproduction.com) Shariat è rimasto folgorato da una fotografia della canadese Sara Cwynar (1985), che inaugura la sua prima personale in galleria tra due settimane. Le sue opere, già in collezione al Dallas Museum of Art e in vendita a partire da 3mila dollari, sono una riflessione meta-fotografica su come i dati fisici e cromatici migrino attraverso tecnologie analogiche e digitali. Shariat ne ha comprata una e ha proseguito il suo giro nello stand di Vilma Gold di Londra, dove è stato attratto da una busta ingrandita a parete senza destinatario, ma con due timbri, l'uno americano e l'altro vietnamita, e l'immagine di due soldati che rimanda indietro agli anni '70. Le opere di K.P. Brehmer (1938-1997), in vendita a 15-60mila euro e poco conosciute anche se presenti alla 55a. Biennale di Venezia, uniscono un interesse pop a un sentimento anticapitalista, molto sentito in Germania in quegli anni. "È un artista che mi appassiona e ancora sottovalutato dal mercato internazionale, come l'austriaco Rudolf Polanszky (1951) presentato nella sezione "ThenNOW" di Miart e coetaneo del più famoso Franz West (1947-2012)" mi spiega Shariat. Il suo tour nella fiera è continuato, quindi, nell'area "Object", "un display interessante e che mi ha incuriosito visitando una città nota nel mondo come capitale del design", dove ha indugiato sui pezzi storici di Fontana Arte esposti nello stand della galleria di Milano Aria d'Italia al costo di 7-10mila euro, ed è terminato con una visita alla sezione moderna di Miart. "Adoro vedere l'arte, non importa la qualità, ma ho avuto la sensazione di camminare in un bazar, fatta eccezione per le straordinarie presentazioni delle gallerie Cardi, Mazzoleni e Tornabuoni Arte" commenta, citando opere degli artisti del gruppo milanese Azimuth. E aggiunge: "Miart è un'ottima fiera di nicchia, deve solo conciliare meglio queste sue due anime, contemporanea e storica, che sono anche la sua forza di attrazione per i collezionisti". La critica, con ogni probabilità, muove da un confronto con l'elegante e curata sezione "Masters" della fiera londinese Frieze, inaugurata nel 2012 e già un must per collezionisti di arte di ogni provenienza e periodo.
I giorni successivi Shariat li ha passati in città, incuriosito dalla programmazione istituzionale e galleristica sponsorizzata dalla fiera come "The Spring Awakening". Ha visitato la collezione privata Consolandi, scoprendo una stanza scrigno con i tagli di Lucio Fontana (1899-1968), e quella pubblica di Boschi di Stefano, di cui una selezione è ospitata dall'omonima casa museo; nella zona di Porta Venezia si è introdotto nella GAM Galleria d'Arte Moderna , l'ottocentesca Villa Belgiojoso, dove ha trovato la collezione di disegni di UBS curata da Francesco Bonami, e nel PAC Padiglione di Arte Contemporanea. La sera di venerdì, in cui le gallerie milanesi hanno concentrato le inaugurazioni, è stato da Kaufmann Repetto in zona Moscova, dove si è lasciato estasiare dalle installazioni immersive e luminose di Pae White (1963), i cui prezzi vanno da 1.500 dollari per i popcorn in ceramica a 250mila dollari per i progetti scultorei; infine, si è recato nell'art district di Lambrate, dove ha trovato la personale di Josh Smith (1976) da Massimo de Carlo : esposte oltre 40 tele che ripetevano l'immagine di due palme con uno stile in bilico tra espressionismo e street art, a prezzi di 20-90mila dollari.
Sabato si è spinto fino a Hangar Bicocca per visitare la mostra del brasiliano Cildo Meireles (1948) curata da Vicente Todolì, ex direttore della Tate Modern di Londra. "Ho rispetto per le persone che rispettano l'arte, e lui è uno di queste" dice sorridendo Shariat, e aggiunge "il suo impegno con la fondazione milanese cambia la mia percezione a distanza delle loro attività, come quando Kakà è arrivato al Milan: ha dato al club di calcio un'allure più internazionale". La sua gita milanese si è conclusa con un ritorno in fiera per valutare un possibile acquisto di arte italiana degli anni '60, e un passaggio allo Studio di Giò Ponti nella zona di Sant'Agostino, organizzato dal Vip Program. "È fondamentale che la città risponda con un'offerta di qualità durante una fiera di arte contemporanea, e sono rimasto colpito che anche i tassisti fossero a conoscenza dell'evento" riflette ad alta voce Shariat. Poi divaga su New York e una considerazione sul clima lo fa tornare con la mente a Milano. "È bello trovare una ragione per venire in Italia in questa stagione" mi dice, e riparte per Vienna lasciandomi con l'immagine di una Milano primaverile sbocciata con gli influssi dell'arte.

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