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Paola Antonelli, il futuro del design nelle collezioni del MoMA -

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Paola Antonelli, il futuro del design nelle collezioni del MoMA - Foto

  • –di Sara Dolfi Agostini


Dal 2007 il designer australiano Marc Newson (1963) lavora con Gagosian Gallery e nel 2010 un prototipo della Lockheed Lounge in edizione di 10 è stato battuto in asta per 2 milioni di $. L'italiano Martino Gamper (1971), invece, ha appena curato una mostra di design alla Serpentine Gallery di Londra, visitabile fino al 18 maggio.
Da quando arte e design sono così intimi? "L'operazione di Newson è commerciale, mira ai collezionisti d'arte e non c'entra niente con il design, mentre il lavoro di Gamper è da sempre giocato in quest'area di intersezione" osserva Paola Antonelli, direttrice del Dipartimento di Design del MoMA di New York, che dal 1932 a oggi ha riunito oltre 24mila oggetti, disegni, carte di architetti e anche videogiochi, ed è il luogo di riferimento per il design d'autore. "Il design contemporaneo è immateriale, condiviso, tecnologico e interattivo, non ha senso guardare ai prezzi delle edizioni limitate: uno studio di Deloitte ha evidenziato che il 46% dei giovani americani, la Generazione Y, preferisce avere internet a un'automobile, e i designer allora si interessano alle zipcars, beni che una volta usati sono rimessi in circolo e sono pensati senza i connotati identificativi del possesso" spiega la curatrice.
Così il MoMA non guarda alle costose edizioni limitate: tra gli ultimi acquisti c'è una seduta in plastica riciclata del giovane designer olandese Dirk Vander Kooij (1983), il cui clame to fame è evitare sprechi di materiali ed energie con la precisione chirurgica di una stampante 3D. "Le geografie del design sono cambiate radicalmente da quando sono arrivata al MoMA nel ‘94: non c'è più un legame diretto con gli impianti di produzione, piuttosto con brand come Kartell, e poi con le scuole" racconta Antonelli. E tra queste scuole c'è ancora quella olandese, di cui è portavoce nel mondo la famosa Design Academy di Eindhoven, il Royal College of Arts di Londra, dove ha studiato l'Haute École d'Art et De Design Martino Gamper di Ginevra (Fucine che continuano a sfornare talenti internazionali. "Penso a Studio Formafantasma , che sono Andrea Trimarchi (1983) e Simone Farresin (1980), o a Massoud Hassani (1983): vivono in Olanda ma non perseguono il discorso sugli oggetti che ha reso celebre il design olandese; si confrontano, invece, con le nuove esigenze messe in campo dalle economie della condivisione, dove lo stesso oggetto è usato da più utenti" specifica la curatrice. Insomma, l'oggetto e la sua ragione di esistere sono cambiati, perché sono cambiati il contesto, l'uso e le possibilità tecnologiche, e ciò innesta un ripensamento nel modo di intendere il collezionismo di design, a livello privato e istituzionale.
"Il MoMA non colleziona più solo gli oggetti fisici dal 2006, quando per la prima volta ha rotto ogni indugio e comprato i Reactive Books (1994-1999) di John Maeda" ricorda la curatrice, e aggiunge: "nel 2012, poi, è stato il turno di 14 videogiochi e, di recente, dell'indicatore grafico di google maps". Questi nuovi "oggetti" pongono sfide inedite ai musei, anzitutto in fase di perfezionamento dell'acquisto, un processo che la stessa Antonelli non esita a definire "ridondante e complesso". Infatti, nel caso dei videogiochi, non si può pensare di accontentarsi della cartuccia, perché la console, come tutte le tecnologie, è sottoposta a un processo di obsolescenza continuo e rapidissimo, per cui non sarebbe possibile garantire la fruibilità del contenuto del gioco con orizzonti temporali di cinquanta, cento anni. "L'unico modo per risolvere la questione è avere accesso al codice sorgente, e per questo bisogna risolvere temi legati al copyright e ai brevetti" afferma. Per intendersi: non basta un click, e i costi veri sono di natura legale più che di prezzo.
A ciò si aggiungono le sfide poste da "oggetti" dinamici o in continua trasformazione, che presentano le stesse criticità di quei filoni di ricerca dell'arte contemporanea originatisi negli anni '60 e '70, il cui rapporto con la realtà si basa sulle infinite possibilità dei processi più che sull'opera finita. "Neri Oxman (1976) è una delle più interessanti architette in circolazione e, dopo aver studiato con i suoi studenti al MIT Media Lab il comportamento dei bachi da seta, ha di recente dato vita al Silk Pavillon, una struttura - e habitat al contempo - costruita dagli stessi bachi da seta esposti a specifiche condizioni ambientali e di lavoro" racconta Antonelli. E noi siamo ancora qui a entusiasmarci quando sentiamo parlare di poltrone e divani in resina o materiali traslucidi.

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