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In Primo Piano

«Non ci si stacca dalla terra/ Correndo o saltando; occorrono le ali;/le modificazioni non bastano:/la trasformazione dev'essere integrale».
Piero Manzoni, la vita e l'arte le affrontava così, con slancio e con decisione; tanto che il suo percorso artistico, durato appena sei anni, segnò profondamente l'arte del XX secolo. Radicale, lucidissimo, disinteressato ai giochi stilistici, alla questione dell'abilità esecutiva e all'aspetto mimetico e narrativo dell'arte, dell'opera, per lui, contavano la flagranza e la capacità di presentarsi come domanda aperta. Già nel 1956, anno del suo debutto, scriveva: «Non possiamo assolutamente considerare il quadro come spazio su cui proiettiamo le nostre scenografie mentali, ma come nostra area di libertà in cui noi andiamo alla scoperta delle nostre immagini prime». E ancora: «Alludere, esprimere, rappresentare sono oggi problemi inesistenti, sia che si tratti della rappresentazione di un fatto, di un'idea, di un fenomeno dinamico o no: un quadro vale solo in quanto è, essere totale: non bisogna dir nulla: essere soltanto». Ed ecco, verso la fine del 1957, comparire i suoi primi Achrome: quadri bianchi, autosignificanti, realizzati dapprima con tela variamente raggrinzita, poi con diversi tipi di materiali accomunati dal colore bianco: dal feltro alle piume, alla ghiaia. Con queste opere Manzoni s'inseriva a pieno nel dibattito aperto a livello internazionale sul tema della monocromia; d'altra parte seppur indipendente e sicuro di sé, non si trattava certo di un artista solitario; tra le interminabili conversazioni in una Milano aperta e cosmopolita e la propensione al viaggio che lo portò ad attraversare freneticamente l'Europa a bordo di una Cinquecento bianca, fu capace di instaurare grandi sodalizi muovendosi disinvoltamente tra i protagonisti più avanzati delle neoavanguardie di tutta l'Europa: dalla Francia di Yves Klein alla Germania del gruppo Zero, all'Olanda del gruppo Nul, alla dimensione internazionale di Nouvelle Tendance. A questo si aggiunse la sua attitudine ad assumere un ruolo propulsivo organizzando eventi in cui coinvolgeva altri artisti. Tra le sue iniziative principali ci furono la rivista «Azimuth», uscita in soli due numeri, e la galleria Azimut, attiva per un anno, ma con ritmo serrato, fondate nel 1959 con Castellani.
L'attività organizzativa non ostacolava le sue sperimentazioni, che procedevano incalzanti: nel 1959, dopo gli Achrome, Manzoni presenta le prime Linee: segni continui d'inchiostro, presentati all'interno di cilindri di cartone sigillati la cui etichetta dichiara il contenuto e la lunghezza. Seguono le Impronte, le Carte d'Autenticità, il Fiato, la Merda d'Artista inscatolata, che ha lo stesso valore di una quantità equivalente d'oro, le Uova, il progetto del teatro pneumatico Placentarium. Opere dense, fortemente presenti, che costituiscono la sintesi assoluta del pensiero da cui nascono: «Consumato il gesto, l'opera diventa dunque documento dell'avvenimento di un fatto artistico», scrive Manzoni. Inevitabilmente pensiamo a Yves Klein, per il quale i quadri erano le «ceneri dell'arte», e con il quale Manzoni condivise pensieri e indirizzi di ricerca. E poi ci furono le basi magiche e il Socle du Monde, sintesi assoluta dell'aspirazione dell'artista ad appropriarsi del mondo intero.
Rigoroso e coerente, radicale e dissacrante, ma capace di riconoscersi nello «spirito classico che è sempre alla base della nostra pittura», e, più vicino nel tempo, in una genealogia che lo lega a Fontana e a Burri, Manzoni ha attraversato il Novecento come una meteora: il 6 febbraio 1963, nemmeno trentenne, fu trovato morto nel suo studio.
Ora Milano gli rende omaggio con una mostra a Palazzo Reale, a cura di Flaminio Gualdoni e Rosalia Pasqualino di Marineo – anche curatrice della Fondazione Piero Manzoni – e coprodotta da Comune di Milano e da Skira, che conferma così l'interesse per l'artista già attestato nel 2004 con la pubblicazione del suo Catalogo Generale.
Si tratta di una mostra giustamente sobria nell'allestimento e di grande tenuta formale, ma decisamente incentrata sulle opere; al punto che ne risulta quasi espunto l'aspetto performativo, pur così importante nell'opera di questo artista dotato di una spiccata inclinazione teatrale; così come poco sottolineato vi risulta il continuo confronto di Manzoni con gli altri artisti milanesi e internazionali.
La mostra e il cinquantenario della morte dell'artista, da poco passato, sono anche l'occasione per una serie di pubblicazioni; le principali: di Flaminio Gualdoni sempre Skira ha pubblicato, oltre al catalogo della mostra di Palazzo Reale, anche il saggio la Breve Storia della merda d'artista; mentre nel 2013 era uscito Piero Manzoni. Vita d'artista, edito da Johan & Levi.
Electa ha pubblicato Piero Manzoni. Diario a cura di Gaspare Luigi Marcone, e Una visione internazionale. Piero Manzoni e Albisola, di Francesca Pola.
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Piero Manzoni 1933-1963, Milano, Palazzo Reale. Fino al 2 giugno

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