ArtEconomy24

Ecco i testimoni della caduta delle barriere tra mondo fisico e virtuale -

  • Abbonati
  • Accedi
In Primo Piano

Ecco i testimoni della caduta delle barriere tra mondo fisico e virtuale - Foto

  • –di Sara Dolfi Agostini


Per Karen Archey, curatrice con Robin Peckham di Art Post Internet, all'Ullens Centre for Contemporary Art di Pechino fino all'11 maggio, il termine si riferisce "alla condizione di vivere uno spazio in cui collassano le barriere tra mondo fisico e virtuale". A individuarla per primi sono stati gli artisti della scena berlinese nel biennio 2007-09, proprio mentre tumblr rivoluzionava i modi di appropriazione e distribuzione delle immagini. Gli Aids-3D si inventavano l'AFK Sculpture Park (Away From Keyboard), "un progetto espositivo che suonava come uno scherzo, perché era un invito a una community di artisti che lavoravano solo online a produrre oggetti fisici" ricorda Archey. C'erano Aleksandra Domanović e Oliver Laric, tra i fondatori dell'influente archivio in rete vvork.com, rispettivamente con le prime pile di fogli a ricostruire in verticale immagini computer generated e con le copie multicolore di statue romane della serie versions, riflessione su autorialità e originalità nell'era del microblogging e del retweet. In mostra all'Ullens ci sono anche loro, e non mancano pionieri di un'arte che già alla fine degli anni '90 faceva i conti con l'emergere del digitale. "Dara Birnbaum, ad esempio, i cui disegni su vetro realizzati a computer indagano l'influenza del potere capitalista sui media e quindi sull'apparato visivo dello spettatore".
Al contrario di curatori come Sarah McCrory al festival Glasgow International o Susanne Pfeffer al Fridericianum di Kassel , che pure hanno organizzato in questi mesi mostre collettive sulla Post Internet Art, Archey e Peckham hanno tentato una contestualizzazione storica di queste pratiche: una scelta che è didattica, ma risponde anche a un sentimento generale da parte degli artisti coinvolti. "Non si percepiscono come una comunità chiusa, hanno il desiderio di navigare il mondo e la storia dell'arte e non intendo in termini commerciali, accusa che gli è stata più volte rivolta: gli oggetti che producono sono una risposta fenomenologica agli spazi della loro esistenza, più o meno virtuali" spiega la curatrice. E infatti il lavoro del duo formato da Calla Henkel e Max Pitegoff, proprietari di due luoghi simbolo di ritrovo a Berlino come il Times Bar e poi il New Theatre, riflette la necessità di fornire una rappresentazione dei social networks all'interno dei quali gli artisti si muovono, umani e non. Nelle fotografie in mostra, ad esempio, tracce di pasti e briciole costituiscono quella che, a una prima impressione, sembra più un intreccio di costellazioni che la superficie di un tavolo impataccato da un pranzo.
"Qualunque cosa sia l'arte post-internet, dobbiamo cercarla nei contenuti, non nell'estetica" commenta la curatrice, anticipando la mia successiva domanda sul perché non ci siano artisti cinesi, indiani o russi in mostra. "La condizione cui questi artisti stanno rispondendo dipende dal contesto in cui operano, e principalmente dal fatto che internet è un fenomeno diffuso che contribuisce a da senso alla loro quotidianità, quindi era impensabile coinvolgere artisti che non hanno questo tipo di accesso alla rete o in cui l'uso è sottoposto a censura e regolamentazioni" aggiunge.
Non importa, insomma, che la maggior parte di queste opere abbiano una manifestazione fisica, in cui tornano protagonisti la manodopera e i materiali tradizionali dell'arte. Come nella scultura di Bunny Rogers, la più giovane tra gli artisti invitati all'Ullens: un vaso in ceramica ripieno di ceneri dal titolo "Self Portrait" con impressa l'immagine di un gatto, che se da una parte ricorda la scultura funeraria più convenzionale, dall'altra ammicca alla possibilità che su internet identità virtuale – negli account facebook e twitter per esempio – e reale non collimino. "Come ha scritto l'artista Hito Steyerl in ‘Too much world is the internet dead?' per e-fux journal, non c'è più differenza tra digitale e fisico, sono comunque dati e flussi di informazioni a definire la nostra esperienza in entrambi i mondi" commenta la curatrice.
Ma le critiche sui modi e i tempi di metabolizzazione di questi artisti nel mercato non sono infondati: "collezionisti speculatori, come il losangelino Stefan Simchowitz, produttore di Hollywood e cofondatore del servizio di licenze fotografiche Media Vast, hanno avuto un impatto negativo nel sistema, con l'acquisto in massa di opere di Parker Ito, Lucien Smith, Artie Vierkant, Oscar Murillo e la loro immissione nei circuiti istituzionali" ammette Archey. Subito aggiunge, però, che nella mostra ci sono "volontarie omissioni", giustificate dal fatto che "tutto è ancora in via di definizione" e, anche senza le risorse finanziarie infinite di Simchowitz, "si può costruire una panoramica di questi filoni di ricerca artistica senza piegarsi a trend speculativi". E per i prestiti? "Ci siamo affidati soprattutto alle gallerie" risponde prontamente: tra i nomi cita 47 Canal Street di New York , e le berlinesi Tanya Leighton , Sandy Brown e Société . Tuttavia, per i collezionisti non sono gli unici canali di approccio a questi artisti: secondo l'Hiscox Online Art Trade Report 2014, diffuso lo scorso 28 aprile, il valore del mercato dell'arte online è stimabile intorno a 1.57 miliardi di dollari, e crescerà fino a 3,76 miliardi di dollari entro il 2018. Tra le piattaforme analizzate, oltre a case d'asta più convenzionali come Sotheby's e Phillips, ci sono Auctionata, Paddle8, 1stdibs, Artspace, Artsy, Artuner e Artfinder, molte delle quali stanno sperimentando la vendita di opere d'arte internet based.

Vai all'Art-gallery

© Riproduzione riservata