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Torino, la giovane fotografia italiana si scopre diversa alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo - Foto

  • –di Sara Dolfi Agostini

"Altro dalle immagini": recita così il titolo della nuova edizione della rassegna espositiva "Da Guarene All'Etna", curata dal 1999 da Filippo Maggia alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino per indagare le pratiche dei giovani fotografi italiani. "Questa generazione ha maturato uno scostamento dalla tradizione fotografica italiana di rappresentazione e interpretazione del paesaggio, quella di Luigi Ghirri per intendersi: parte sempre dalle immagini, e da una posizione colta, non casuale, perché conosce la pratica e la storia della fotografia, ma ricerca un punto di vista più esperienziale e soggettivo" spiega Maggia. Insomma: vi è stata un'emancipazione da un discorso fotografico che sembrava impossibile scrollarsi di dosso, e per farlo questi fotografi hanno dovuto rimboccarsi le maniche. "Fino a qualche anno fa entravano come tirocinanti negli studi fotografici di Toni Thorimbert, Mimmo Jodice, e lì avevano la possibilità di crescere imparando il mestiere e uno sguardo critico sul proprio lavoro" racconta Maggia. Poi è arrivata la crisi, le richieste di integrarli nel lavoro quotidiano dello studio fotografico sono diminuite e sono in pochi a poter vantare questa esperienza.
Una è Giulia Ticozzi (Milano, 1984), che ha cominciato come assistente di Francesco Jodice e adesso è photoeditor per IlPost.it : in mostra ci sono dei dittici in cui giustappone fotografie e testo indagando l'esperienza collettiva del guardare e interagire con un ambiente, naturale o artificiale. L'altro è Claudio Gobbi (Ancona, 1971), ex assistente di Gabriele Basilico che dal 2009 è rappresentato dalla Studio Guenzani di Milano , a prezzi di 2.500-5.000 euro per stampe in edizione di 5. "Claudio ha fatto un salto importante negli ultimi anni: era più topografico, più fotografo, più tradizionale; adesso, pur continuando a fotografare, commissiona anche ad altri e si appropria di immagini di archivio restituendo una visione complessa e stratificata della sua indagine" prosegue Maggia, osservando le piccole immagini che ritraggono chiese armene scovate in più di venti paesi a cavallo tra Europa e Asia.
Anche Eva Frapiccini (Recanati, 1978) dal 2011 lavora con una gallerista di arte contemporanea, Alberto Peola di Torino , che vende le sue opere in edizione di 5 a partire da 3.000 euro. Una collaborazione nata in modo fortuito, a casa di un collezionista. "Aveva conosciuto il mio lavoro in una mostra al Mambo (2008) della Collezione Unicredit, che l'aveva acquisito dopo una collaborazione con l'associazione GAI Giovani Artisti Italiani : iniziative che purtroppo non esistono più" ricostruisce la fotografa. In Fondazione ha portato una serie fotografica ispirata da una residenza in Bahrein: ritrae frasi di protesta cancellate da strisce nere, impenetrabili, e le stampe sono in parte arrotolate su se stesse, a rimarcare una verità sociale e culturale celata dai media internazionali filoamericani e dalla comunità vicina alla famiglia reale in cambio del benessere economico.
Intorno a lei, ci sono tre giovanissime uscite l'anno scorso dalla prima edizione del Master di Alta Formazione sull'immagine contemporanea della Fondazione Fotografia Modena , diretto dallo stesso Maggia. Paola Pasquaretta (San Severino Marche, 1987), che presenta delle sculture di vulcani in sapone la cui precarietà fisica e visiva appare interrotta nella rappresentazione fornita dalla fotografia; Valentina Sommariva (Milano, 1986), che non esista a confrontarsi con il video per fornire un'immagine di stati di alienazione e squilibrio; e, infine, Elisa Franceschi (Vicenza, 1987), che pur scegliendo un tema – quello dei parchi giochi – caro alla tradizione fotografica, lo affronta da una prospettiva originale mettendone in discussione uso, estetica e confini.
La scoperta di questo nuovo modus videndi della fotografia italiana continua con le opere di Bruno Pulici (Milano, 1981) e Tancredi Mangano (Lisieux, Francia, 1969), entrambi fotografi professionisti impegnati in commissioni commerciali con cui supportano progetti di natura personale. L'uno ci introduce in una prospettiva domestica, dove la famiglia diventa metafora della difficoltà di relazionarci; l'altro espone una sequenza di immagini scattate da un treno in corsa, frammenti fotografici di paesaggio che sembrano tableaux impressionisti, e mescolando realtà e astrazione ci confrontano con la provvisorietà dell'esperienza visiva e mnemonica.
Al lato opposto, ci sono le atmosfere oniriche e ovattate delle immagini di Francesca Rivetti (Milano, 1972), una di quelle fotografe che ha trovato nell'insegnamento attraverso tutoraggi e workshop un modo di vivere del suo lavoro. Paesaggi, certo, ma scattati in fondo al mare, dove il corpo dell'uomo scende in caduta libera, entra in uno stato di trance e l'immaginazione ha la meglio sugli stimoli sensoriali. La mostra prosegue fuori dalla Fondazione con il progetto di Elisabetta Senesi (Macerata, 1977): una serie di immagini disseminate nel parco pubblico che tentano di dare una rappresentazione visiva al suono e, stampate su materiale rifrangente, reagiscono alla luce acquisendo una strana tridimensionalità. Durante l'inaugurazione della mostra, l'artista le ha fatte interagire con delle tracce audio, e adesso è disponibile un video documentativo dell'intervento.
Riemergendo da "Altro dalle immagini. Da Guarene all'Etna", la sensazione è quella di aver visitato una mostra fotografica diversa, fresca, e fa piacere aver scoperto anche il lavoro di tante giovani fotografe. "Gli uomini sono più convenzionalmente legati al paesaggio, all'architettura, alle città; le donne dimostrano spesso una capacità di affrontare e confrontarsi con generi diversi, osano di più e non hanno paura di compromettersi" ammette Maggia. E in mostra le ha premiate.

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