Per ragioni che non si conoscono, ma che probabilmente sono legate alle esigenze di liquidità di collezionisti grandi e piccoli, negli ultimi mesi è arrivato sul mercato dell'arte tribale un numero mai visto di reperti che si sono distribuiti nelle diverse aste di maggio e giugno. Chi scrive, soffermandosi solo su quelle di New York e Parigi, ne ha contate 13, che complessivamente hanno offerto ben 1.363 pezzi. Questa giostra di aste è terminata il 24 e il 27 giugno a Drouot con altre due incanti organizzati rispettivamente dagli studi Ader ed Eve.
Il volume d'affari che tutte queste vendite hanno fatto finora registrare è di circa 27.712.801 euro (e qui occorre precisare che nel caso delle aste di New York la conversione dei dollari in euro è stata fatta nel giorno dell'asta), una cifra che è in linea col totale delle vendite fatto da Christie's e Sotheby's nelle sessioni maggio-giugno del 2011-2012, ma che supera il livello del 2013 di circa 10 milioni (in questo caso, però, non bisogna dimenticare che nel marzo di quell'anno fu venduta la raccolta del Museo Barbier-Mueller, che fatturò 10.296.300).
Questi confronti, tuttavia, hanno solo un valore indicativo perché i risultati del periodo 2011-2013 sono stati ottenuti con un numero di pezzi molto inferiore. Si ha dunque l'impressione che la crisi spinga a raschiare il fondo del barile, ma il mercato non sia molto ricettivo, perché le stesse ragioni che spingono gli uni a vendere impediscono agli altri di comperare. E per avere un'idea di quanto proprio la crisi sia il convitato di pietra del mercato, è bene ricordare che nello stesso periodo dell'ultimo anno "buono", il 2006, la sola vendita Vérité, pur eccezionale, aveva fatturato 43 milioni di euro con 514 pezzi e con un numero di opere eccezionali più o meno analogo.
Al di là di questa cornice di fondo è difficile capire come si stia muovendo il mercato dell'arte "altra", sia perché le collezioni messe in vendita hanno caratteristiche fortemente individualizzate che rendono problematica ogni generalizzazione, sia perché opere e tipologie relativamente simili sono state accolte in modo molto diverso.
Il dato nuovo è che anche alcune opere di alto livello, un segmento del mercato che finora garantiva vendite buone o molto buone, cominciano a rimanere invendute o a essere aggiudicate a prezzi non molto lontani dalle stime.
L'unico elemento che tra i top lot continua essere molto apprezzato, in alcuni casi anche più del dovuto, è il pedrigree, cioè il passaggio in collezioni prestigiose, meglio ancora se in collezioni di artisti famosi.
La regina di questo giro di aste è la statua Fang Mabea che è stata venduta a 4.353.500 euro (stima 2.500.000 - 3.500.000 euro) nell'asta Sotheby's di Parigi il 18 giugno scorso. La cifra rappresenta il record assoluto mai raggiunto in un'asta da una statua Fang e, cosa più unica che rara nel clima ovattato e discreto del mercato dei capolavori, è noto il nome dell'acquirente: Bernand Dulon, un gallerista di Parigi famoso per aver venduto altri capolavori dello stesso livello e per avere atteggiamenti molto amichevoli con tutti. E' evidente, però, che nemmeno sotto tortura Dulon confesserebbe se la Fang Mabea è stata comprata per conto della galleria o di qualche collezionista che non vuole apparire, cosa che appare decisamente più probabile.
Il prezzo, in ogni caso, non appare eccessivo se si considera che:
1) altre Fang, come quelle della collezione Epstein - Monzino sono state vendute per somme superiori;
2) nel 2006 lo stesso Dulon aveva venduto un'altra Fang eccezionale, ma di uno stile molto diverso, a circa sei milioni di euro;
3) questo pezzo presenta un buon pedigree, avendo fatto parte, delle collezioni Fénéon e Kerchache.
La Fang Mabea, tuttavia, non ha avuto un effetto traino sugli altri pezzi dell'asta Sotheby's del 18 giugno, perché gli altri top lot non si sono discostati molto dalle stime e perché la percentuale del venduto per numero di pezzi si è fermata al 68,8%, livello non disprezzabile, ma nemmeno esaltante, che, grosso modo, è quasi in linea con quanto è accaduto nelle aste Sotheby's di New York, dove, il 16 maggio e il 21 maggio, la seconda parte della collezione Stone era arrivata al 79,9%, il nucleo di reperti di arte africana, oceanica e precolombiana al 71,2%, le arti dell'American West al 59,1% e l'American Indian al 72,7%.
Tra queste vendite la più illuminante per capire che cosa sta succedendo è senza dubbio l'asta Stone, che offrendo 123 pezzi, è arrivata a un fatturato di 5.066.255 dollari, un totale certamente ragguardevole, ma ben lontano dagli 11.489.750 $ a cui era arrivata nel novembre scorso la prima parte della raccolta del collezionista-mercante americano. Questo risultato, certamente al di sotto delle aspettative, potrebbe derivare dal fatto che non sono più molto di moda le tipologie "espressionistiche" come i feticci coi chiodi, che erano andate molto bene sei mesi prima. Il top lot della seconda parte dell'asta Stone è rappresentato da una figura Songye, che ha realizzato 965.000 $ (stima 1.000.000 - 1.500.000 $), al secondo posto viene una figura coi chiodi del Fiume Chiloango attribuito al Maestro del Mangaaka, che si è fermata a 533.000 $ (stima 500.000-700.000 $), al terzo una figura Songye attribuita al Maestro della Songye di Rubinstein, che è arrivata a 485.000 $ (stima 300.000-500.000 $).
Ancor più significativo di questi modesti risultati è il fatto che sono rimaste invendute due opere di grande qualità come un feticcio coi chiodi Kongo-Yombé e una statua Songye attribuita al Maestro degli Occhi di Rame, stimate rispettivamente 700.000-1.000.000 $ e 600.000-900.000 $. La seconda asta del 16 maggio, che presentava 191 opere d'arte africana, oceanica e precolombiana, è arrivata a 6.011.689 $ e conferma quanto si diceva più sopra a proposito del carattere un po' anomalo di questo giro d'aste. Qui al primo posto troviamo una figura di antenato Ngbandi proveniente dalla collezione Picasso, che è arrivato a 755.000 $ (stima 200.000-300.000), seguito da una maschera da spalle Baga venduta a 701.000 $ (stima 250.000-350.000). I risultati più imprevedibili, però, si sono verificati nel settore dell'arte precolombiana, dove due testine Huari sono arrivate a 118.750 $ e 68.750 $ a partire da stime di 10.000-20.000 e 6.000-9.000 $.
Per ora, questo giro di aste si è concluso con le due vendite organizzate da Christie's a Parigi il 19 giugno. La prima, quella della collezione Blum d'arte africana (63 pezzi in tutto), ha fatturato 3.616.600 euro con una percentuale del venduto dell'89%, la seconda che riuniva 112 reperti africani, oceanici e American Indian, ha raggiunto 2.332.850 euro con una percentuale del venduto del 55%. In generale, esse, pur presentando, soprattutto quella Blum, reperti e tipologie abbastanza lontane da quelle della collezione Stone, non si sono discostate dall'andamento generale, anche se l'interesse esasperato per il pedigree qui ha raggiunto l'apice dando l'impressione di sostituire quello per l'oggetto in sé.
L'esempio più sorprendente di questo atteggiamento sono una maschera Dan appartenuta a Paul Guillaume venduta a 721.000 euro e un acquamanile del regno del Benin venduto a 505.000 euro, che tra i top lot delle aste del 19 giugno si sono classificati rispettivamente al primo e al quarto posto. A questo riguardo ci si limita a segnalare che erano stati stimati, correttamente, 40.000 - 60.000 e 50.000 - 70.000 euro. Non stupisce, quindi, che questa enfasi per la provenienza abbia messo in secondo piano opere ben più importanti come due belle Fang che sono state vendute a 265.500 e 115.000 euro, pur essendo state stimate entrambe 150.000 - 250.000 euro. In questo contesto è difficile valutare i risultati del secondo top lot: un appoggiatesta Luba attribuito al Maestro della Capigliatura a Cascata venduto a 661.500 euro a partire da una stima di 200.000 - 300.000 euro.
Da un lato, considerando che questo nome convenzionale, secondo Ezio Bassani, comprende le realizzazioni di tre o quattro artisti dei quali, finora, sono state identificate diciotto opere, verrebbe da dire che questo appoggiatesta poteva spuntare una cifra assai più alta. Dall'altro, considerando che non si colloca al vertice di questa ristretta aristocrazia, viene da dire: "Il prezzo è giusto"
Fotogallery
© Riproduzione riservata