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In Primo Piano

Non c'è dubbio che la mostra dedicata a Bartolomeo Suardi detto il Bramantino (nato negli anni Sessanta del Quattrocento e morto a Milano nel 1530), sia fra le più interessanti degli ultimi tempi, per il folto numero di dipinti presenti, con "prestiti" inimmaginabili, come il Cristo Thyssen di Madrid, il Filemone e Bauci di Colonia, l'Adorazione dei Magi di Londra, la Pietà di Bucarest, la Madonna e santi degli Uffizi, restaurata all'occasione; per l'impostazione storico-critica dei testi del catalogo, dai saggi di Mauro Natale e di Edoardo Rossetti alle schede, di un rigore risoluto ed ecumenico; per l'assenza nei testi di tratti di supponenza trionfante; per i confronti serrati con le opere di contorno, che sovente rischiano di sbracare; il tutto a favore della messa a fuoco di questo pittore ostico e intrigante. Il sincero encomio si unisce all'auspicio che il pubblico, da par suo, si dirozzi, a partire da una correzione irrinunciabile: non confondere Bramantino con Bramante, benché i due siano legati da strette relazioni. La loro frequente identificazione è causa del fatto che tanto il Suardi è sempre vivo nella storiografia artistica, per la bellezza della sua pittura e per la dovizia dei problemi che porta in sé, quanto egli rischia di rimanere ai margini delle conoscenze comuni. Gli enigmi addensatisi intorno a lui, massimo protagonista del rinascimento (eccentrico e non) a Milano, hanno talvolta suscitato dispareri in seno alla critica, riguardo – per esempio – la cronologia delle opere, resa impervia dalle rarissime date sicure: il 1505 del Trittico di San Michele dell'Ambrosiana (non esposto in mostra), il periodo dal 1504 al 1509 della tessitura degli arazzi Trivulzio; il 1508-1509, anni del viaggio a Roma, che è una linea di demarcazione stilistica certamente significativa, ma a mio avviso sin troppo enfatizzata; il 1513, quando Bramantino eseguì una "anconetta" con Cristo deposto che fu depositata presso l'abbazia di Chiaravalle, donde venne spedita alla chiesa di San Saba a Roma. Questo quadro, citato in un documento, ma probabilmente perduto, costituisce un punto nevralgico nel percorso bramantiniano che potrebbe, una volta messi a fuoco altri fattori, evidenziare un rapporto con i Cistercensi esteso oltre la loro funzione di depositari-spedizionieri dell'anconetta.
La possibilità di ammirare nella mostra – curata da Mauro Natale in stretto sodalizio con un gruppo di studiosi abbastanza giovani, stimabili per varie virtù – la Madonna bramantiniana di Boston, consente di capire come gli esordi del pittore siano innervati nella cultura pittorica milanese che ruota intorno a Butinone e Bramante. Il passo successivo, decisamente evoluto in senso classico-monumentale, è attestato dalla Adorazione dei Magidi Londra, dipinto di una lucidità adamantina e commovente che non si spiega soltanto come esito del razionalismo prospettico di Bramante. Infatti l'aria di cristallo che spira nel prezioso quadretto è sublimata da tinte così stupendamente armonizzate da legittimare il ricorso al termine "pierfrancescano". Nonostante l'impossibilità di datare questo capolavoro dopo il 1500, è improbabile che sia stato concepito sulla base di modelli strettamente territoriali. Riaffiora quindi l'idea di Roberto Longhi che il Bramantino avesse compiuto un primo viaggio a Roma anteriore a quello del 1508. Dopo la seconda esperienza romana egli avrebbe radicalmente virato verso forme molto più dilatate, panni rigonfi, e avrebbe optato per annullamento pressoché totale delle "acutezze" quattrocentesche. Tale purificazione, letta anche come risultato di un fervore religioso concomitante ai fremiti di riforma della Chiesa cattolica (non convengo), concertati ma non consacrati nel Concilio di Milano-Pisa-Milano del 1511-12, un episodio poco noto, ma di notevole rilievo storico, era già stata sperimentata nel Trittico di San Michele del 1505. Va però riconosciuto che il processo di purificazione diverrà inarrestabile e giungerà al culmine, molto più tardi, nella Fuga in Egitto del santuario di Orselina (Svizzera), passando attraverso le stupende tavole di Mezzana e alla grandiosa Madonna degli Uffizi.
Nella volontà di scoprire l'essenziale maestà della figura umana consiste il carattere più personale e possente dell'arte di Bramantino. In tale affermazione di sintesi, egli bandisce qualunque particolare ornamentale. In parallelo, elegge a interlocutori muti dei personaggi rappresentati i fondali architettonici. Come scrive nel catalogo Francesco Repishti, sono fondali composti di edifici irriconoscibili e desunti, senza riferimenti, da antichità romane e medievali, interpretate con fantasia.
Le architetture bramantiniane attraggono intensamente lo sguardo, per il carattere metafisico e sospeso, che giunge al colmo nella stupenda Pietà di Bucartest, fresca di un restauro che ne ha recuperato i colori squillanti. È evidente che la candida città turrita che si spalanca alle spalle di Cristo, della Madonna, di San Giovanni, voglia evocare Gerusalemme. Le mura che la cingono sono una citazione somigliante di quelle gerosolimitane, riprodotte con qualche fedeltà dal Bramantino forse sulla base di descrizioni e resoconti verbali. In questa veduta, il principio del ritorno all'antico viene sublimato in una dimensione che non è più dettata dalla premura prospettica, bensì filtra in una sfera di più sofisticata natura concettuale, in accordo con il respiro commosso dei protagonisti. Simile purezza geometrica e metafisica non poteva trovare alcun riscontro nelle architetture esistenti in Lombardia, ed è, nel Suardi, di derivazione più medievale che antica. Della Roma medievale, dopo le trasformazioni sistine, è rimasto troppo poco per azzardare qualche riferimento. Ferma restando la singolarità della fantasia immaginativa del Bramantino, sarebbe comunque interessante inserire, nel novero degli ordini presso i quali, o per il quali egli lavorò – i Minori osservanti, i Disciplini, i Gesuati – qualche aggancio anche con i Cistercensi. Il rapporto potrebbe contribuire alla comprensione della distillata religiosità della pittura del Suardi, che – credo – non fosse condivisa e capita da tutti, come non lo è oggi.
Fra gli innumerevoli meriti della mostra luganese, non ultimo è l'aver lasciato spazio a ulteriori sviluppi delle ricerche, centrate sul tema dei committenti.
Torna alla ribalta la personalità (controversa) di Bernardino de Carvajal, cardinale di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che, secondo recenti studi, potrebbe aver commissionato al pittore, insieme ad altra ben maggiore opera, la Crocifissione di Brera, l'anconetta ricoverata presso i Cistercensi di Chiaravalle all'atto della fuga del presule da Milano, dopo l'esecrato conciliabolo del 1511-12. Costui lo aveva praticamente promosso e capeggiato, sì che era caduto in disgrazia agli occhi del pontefice Giulio II, che però più tardi l'avrebbe riabilitato. Il Carvajal era sodale dei Cistercensi, e, da San Saba, si trasferì in Santa Croce in Gerusalemme a Roma, dove concluse la sua parabola terrena e dove ancora se ne custodisce la sepoltura.
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Bramantino, L'arte nuova del Rinascimento lombardo, Lugano, Museo Cantonale d'Arte, sino all'11 gennaio 2015. Catalogo Skira.

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