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In Primo Piano

Nel cuore del Bois de Boulogne, vicino al Jardin d'Acclimatation, si è recentemente inaugurata la sede della fondazione Louis Vuitton: un edificio progettato dall'architetto canadese Frank Gehry per ospitare collezioni e mostre di arte contemporanea. Sfaccettato, luminoso e cangiante, il museo svetta di poco rispetto al verde degli alberi che lo circondano e, a seconda dei punti di vista, evoca una gigantesca crisalide, un vascello appoggiato sull'acqua o, con un termine coniato dallo stesso Gehry, un "iceberg" che emerge dal contesto del parco.
Il progetto fu commissionato nel 2001 da Bèrnard Arnault, presidente e ceo di Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy), e occupa una porzione di terreno acquisita da Lvmh già nel 2001. La scintilla scoccò in occasione di un incontro avvenuto tra Arnault e Gehry nel 2002 e i lavori partirono nel 2006. Un accordo prevede che Arnault lo gestisca come sede della Fondazione per i prossimi cinquant'anni; poi la proprietà passerà nelle mani del Comune di Parigi.
L'interesse di Arnault per l'architettura non è inedito; tra i suoi esiti ci sono collaborazioni con architetti come Sejima e Nishizawa; ma questo progetto ha preso un'ampiezza che ne fa una vera e propria bandiera del gruppo.
Colto da lontano l'edificio, sembra costituito fondamentalmente da una serie di velature leggere; avvicinandosi risulta chiaro che si tratta di un ardito concentrato di folie e di perizia tecnologica; la sala che ospita disegni, maquettes e video relativi alla sua edificazione lo conferma: la costruzione ha comportato complessità costruttive che hanno richiesto la messa a punto di nuove, specifiche modalità tecniche, ingegneristiche, informatiche.
La sola copertura si compone di quasi 3.600 pannelli in vetro su una struttura in legno e acciaio capace di conferire al tutto leggerezza e calore al contempo. Il percorso prevede un alternarsi di stanze, di scorci sul parco, di sortite sulle terrazze, dalle quali il paesaggio sulla città risulta straordinario.
Va detto però che, al contrario di molti edifici di questo genere, iconici, ma concepiti come sculture in sé, e quindi poco consoni alle funzioni da svolgere, in questo caso la necessità di spazi espositivi è rispettata: all'interno dell'edificio si alternano sale espositive regolari. Le pareti sono lineari, gli spazi immersivi, le possibilità d'illuminazione variegate, i soffitti si possono chiudere o aprire per lasciar entrare la luce dall'esterno. L'andamento complessivo degli spazi interni è ascensionale, ma le dimensioni sono diverse e ne esistono anche di intimi, adatti a opere che richiedano una fruizione raccolta. In questo senso, molto ha giustamente contato l'affiancamento di Suzanne Pagé, figura di grande esperienza, consigliera artistica di Arnault dal 2006 e direttrice fino a quel momento del Musée d'Art moderne de la Ville de Paris.
Del resto Gehry stesso ha più volte ribadito che l'edificio nasce sì con un intento simbolico dovuto sia al ruolo sia al luogo in cui sorge, e che il lavoro di progettazione si è caricato della gravitas derivante da questa consapevolezza; ma che deve essere flessibile: capace di adattarsi a funzioni diverse e in perenne evoluzione, di accogliere il nuovo che, per antonomasia, non possiamo prevedere.
Il programma vede una convergenza tra arte e musica nelle loro declinazioni più sperimentali; di fatto non solo l'edificio ospita un impressionante, altissimo auditorium affacciato sull'acqua, che potrà ospitare fino a 350 persone, ma già nell'ambito del primo allestimento le opere di carattere sonoro sono numerose: da John Giorno, figura culto dell'underground newyorkese, di cui è esposto lo storico "servizio poetico" telefonico Dial-A-Poem, a Cerith Wyn Evans, di cui è esposta un'installazione fatta di delicati flauti di vetro trasparenti che suonano note composte per restituire i suoni dell'ambiente, a Olivier Beer, che basandosi sulle proprietà acustiche di una sala, ha trasformato lo spazio stesso in uno strumento musicale attivato da tre cantanti posizionati negli angoli della sala. Un invito è stato avanzato anche a Janet Cardiff e George Bures Miller che hanno concepito una passeggiata sonora attraverso l'edificio: il visitatore si trova a percorrerne gli spazi accompagnato da una voce narrante che fonde la realtà del luogo con una serie di scene verosimili, ma finte, sperimentando così una destabilizzante situazione di doppia realtà.
Altre opere occupano attualmente gli spazi espositivi, interni ed esterni; sono di Olafur Eliasson, Villar Rojas, Gerhard Richter, Bertrand Lavier, Pierre Huygue, Christian Boltanski Thomas Schütte ed altri; fanno parte della collezione di Vuitton e del patron Arnault: anche in futuro la provenienza delle opere esposte sarà mista e la scelta è di non specificare oltre.
Ma in questa prima fase molta attenzione è dedicata all'architettura. Non solo con la mostra dedicata alla costruzione dell'edificio e con le installazioni sonore, capaci di rilevarne frequenze e risonanze proprie, ma con opere come quella di Taryn Simon, appositamente commissionata per l'inaugurazione: con un lavoro di carattere socio-antropologico, ma anche intensamente poetico, Simon racconta la costruzione del sito attraverso la testimonianza di persone che, a diverso titolo, vi hanno partecipato. Dal 2013 l'artista ha frequentato il cantiere, tenuto incontri e interviste con operai, artigiani, specialisti di diversi mestieri, e ha raccolto tracce, racconti, fotografie e oggetti; ora li restituisce in una serie di vetrine e di pannelli capaci di rendere l'eterogeneità di storie personali che hanno accompagnato la costruzione. Evocando una densità che va molto al di là della superficie spettacolare del museo, quest'opera contribuisce a rendere la visita più densa.
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