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In Primo Piano

«Perché i musulmani sono in ritardo mentre altri sono in anticipo?» Così scriveva l'emiro libanese Shakib Arslan nel 1930. Nel 1978, per contro, Michel Foucault scrisse che la modernizzazione occidentale era un arcaismo, «una cosa del passato», una modalità di trasformazione sociale a cui non si poteva più credere. Sono questi i poli teorici attorno a cui si dispiega la maggior mostra collettiva che accompagna Arte Fiera, intitolata «Too Early, Too Late. Middle East and Modernity».
A cura di Marco Scotini, è allestita alla Pinacoteca Nazionale di Bologna in mezzo a testimonianze dell'arte occidentale: la ospitano infatti sia le sale dedicate all'arte contemporanea, sia quelle deputate alle collezioni del Trecento, dove si testimonia il precoce rapporto della città con l'Oriente e il confronto che questo ebbe con la nostra cultura attraverso le prime cattedre di arabo, ebraico e siriaco. Quanto le due civiltà, occidentale e orientale, abbiano saputo scambiarsi è ancora oggetto di discussione, dal momento che se lo scambio di oggetti e anche di teorie filosofiche era frequente, meno facile fu l'assorbimento da parte della mentalità cristiana di usi provenienti da religioni diverse. Oggi a che punto siamo? Possiamo ancora considerare attuali le posizioni per le quali avremmo accolto solo l'"orientalismo" stigmatizzato dal teorico palestinese Edward Said, centrato sulle forme esteriori e solo su ciò che ne vogliamo capire noi?
Rispondere non è facile anche perché, nel frattempo, si è verificato nei Paesi mediorientali un fenomeno di "occidentalismo" innegabile. La nascita di musei simili ai nostri almeno per concezione, l'accoglimento di un'idea di arte nata in Occidente anche se ormai la si considera universale, la diffusione di dinamiche commerciali nate all'Ovest rendono tutto ancora più complesso.
Anche se non in modo esplicito, la mostra entra in quest'ultimo punto – quello del mercato dell'arte e delle sue regole di promozione e successo – dal momento che sceglie di raccogliere opere presenti in collezioni private italiane: Sandretto Re Rebaudengo, Righi, La Gaia, Olgiati, Fotografia Modena, AgiVerona, Palmigiano, Nomas, Videoinsight, Martino, Iannaccone, Di Biase, Barillari.
Il territorio di provenienza degli artisti è molto ampio e comprende Nord Africa, Caucaso, Asia Centrale, Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Azerbaijan, Kazakistan, Afghanistan e la Turchia. Tuttavia la ricerca risulta mediata appunto dai collezionisti medesimi e quindi, quasi sempre, dalle loro gallerie di riferimento. Per un approfondimento del tema ottenuto attraverso viaggi sul campo dovremo forse aspettare la prossima Biennale di Istanbul.
Pur entro questi limiti, la rassegna propone nomi interessanti, alcuni noti come Ayreen Anastas, Rene Gabri, Kutlug Ataman, Gabriele Basilico, Neil Belufa, Céline Condorelli, Gianikian-Ricci Lucchi, Mona Hatoum, Emily Jacir, Abbas Kiarostami, Walid Raad, Wael Shawky, Lawrence Weiner, altri un po' meno esposti o quasi inediti.
La mostra si riscatta comunque sul piano della riflessione, presentandosi, come ci hanno abituato molte recenti rassegne internazionali, non solo come una visione dell'arte contemporanea ma anche come un collegamento di questa a fatti storici e quindi a materiali e documenti d'archivio. La data di partenza dell'incontro tra Occidente e mondo Islamico è stata individuata nel 1798, anno in cui Napoleone giunse in Egitto. Di qui si fa risalire l'inizio del processo di accoglimento dei moduli occidentali da parte di un Oriente lungamente rimasto, se non indipendente, poco colonizzato dal punto di vista artistico.
Il titolo viene dal film Trop tôt/Trop tard di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (1981), che compara le lotte contadine in Francia del 1789 e quelle dell'Egitto del 1952. Nella prima parte una voce fuori campo legge il testo di una lettera di Engels a Karl Kautsky del 1897 a proposito di ciò che rimane della rivoluzione francese, mentre nella seconda si ascolta un frammento dalla post-fazione del libro La lutte de classes en Égypt de 1945 à 1968. I due registi cercano in tutto il film un analogo punto di vista centrato sull'orizzonte delle campagne bretoni ed egiziana, mentre una voice over recita come un mantra la frase di Engels: «Se la Comune del 1793 con le sue aspirazioni di fraternità è venuta troppo presto, Babeuf a sua volta è giunto troppo tardi».
A noi spettatori restano i quesiti posti da questo incrocio di civiltà: tradimento dell'una o dell'altra, indebita sopraffazione culturale o vero incontro? Che cosa ci sta arrivando dall'Oriente senza che noi ce ne accorgiamo in modo esplicito? E, più attuale di ogni altra domanda, è davvero possibile un melting pot Est/Ovest senza che nessuno si senta offeso o derubato o condotto in territori culturalmente estranei?
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Too Early Too Late. Middle East and Modernity, Bologna, Pinacoteca Nazionale, fino al 12 aprile. Catalogo Mousse Publishing

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