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La 56ª. Biennale di Venezia ospiterà 136 artisti e si interrogherà su «All the World's Futeres»

  • –di Marilena Pirrelli

Sono 136 gli artisti invitati provenienti da 53 Paesi, tra cui quattro italiani - Rosa Barba, Monica Bonvicini, Pino Pascali e Fabio Mauri - da Okwui Enwezor per dare vita a 'All the World's Futures', titolo della 56ª. Esposizione internazionale d'Arte organizzata dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta. La rassegna, che sarà affiancata da 89 partecipazioni nazionali, tra cui cinque paesi presenti per la prima volta - Grenada, Mauritius, Mongolia, repubblica del Mozambico, repubblica delle Seychelles - sarà aperta dal 9 maggio al 22 novembre, con una vernice di tre giorni da 6 all'8 maggio. “Una mostra globale - ha detto oggi il presidente Baratta, che insieme ad Enwezor presentata l'esposizione a Ca' Giustinian, sede storica della Biennale, - dove noi possiamo interrogare, o quanto meno ascoltare gli artisti provenienti da 53 Paesi, e molti da varie aree geografiche che ci ostiniamo a chiamare periferiche”.

Anche in questa edizione sarà presente la Santa sede, nelle sale delle Armi, all'Arsenale, mentre il padiglione Italia è curato da Vincenzo Trione, top secret sugli artisti invitati. Gli eventi collaterali saranno 44. Nel corso dell'intera durata della manifestazione sarà letto 'Il Capitale' di Marx in uno spazio 'Arena' all'interno della sede dei Giardini, sui cui il curatore ha posto particolare attenzione.


“La Biennale compie 120 anni e anno dopo anno continua a costruire la propria storia, fatta di un lungo susseguirsi di diversi punti di osservazione del fenomeno della creazione artistica nel contemporaneo – ha spiegato oggi Paolo Baratta nella presentazione della Biennale - “Bice Curiger ci portò il tema della percezione e Massimiliano Gioni fu interessato al fenomeno della creazione artistica dall'interno, alle forze interiori che spingono l'artista a creare. Oggi il mondo ci appare attraversato da gravi fratture e lacerazioni, da forti asimmetrie e da incertezze sulle prospettive. Nonostante i colossali progressi nelle conoscenze e nelle tecnologie, viviamo una sorta di ‘age of anxiety'. E la Biennale torna a osservare il rapporto tra l'arte e lo sviluppo della realtà umana, sociale, politica, nell'incalzare delle forze e dei fenomeni esterni. Si vuole indagare in che modo le tensioni del mondo esterno sollecitano le sensibilità, le energie vitali ed espressive degli artisti, i loro desideri, i moti dell'animo (il loro inner song). La Biennale ha chiamato Okwui Enwezor – prosegue Baratta - anche per la sua particolare sensibilità a questi aspetti. Curiger, Gioni, Enwezor: quasi una trilogia – sintetizza il presidente - tre capitoli di una ricerca della Biennale di Venezia sui riferimenti utili per formulare giudizi estetici sull'arte contemporanea, questione ‘critica' dopo la fine delle avanguardie e dell'arte ‘non arte'.”

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