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Brasile, le gallerie animano il sistema contemporaneo

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Mercato dell'arte

Brasile, le gallerie animano il sistema contemporaneo

  • –di Sara Dolfi Agostini

“In Italia non ci sono prospettive, solo stage gratuiti e tante promesse”. Siamo a San Paolo durante l'art week di SP Arte, la fiera brasiliana che da qualche anno richiama gallerie internazionali del calibro di Lisson e Gagosian. A prendere la parola è Anna Bergamasco, 27 anni, che insieme all'artista italo-brasiliano Francesco Joao Scavarda, suo coetaneo, ha lasciato Milano per fondare una galleria a San Paolo, Boatos Fine Arts, che rappresenta artisti emergenti brasiliani e internazionali da 1.000-15.000 $. Lo spazio si dispiega su due piani, è nel centralissimo quartiere Jardim a pochi passi da gallerie affermate come Mendes Wood DM, Barò, e prossimamente Casa Triângulo. Costa circa 1.700 euro, come uno spazio defilato a Milano, ma il mercato – a differenza di quello italiano – è in piena crescita.

“Oggi il Brasile è uno dei grandi attori del mercato dell'arte globale” afferma con soddisfazione il collezionista Pedro Barbosa, ricordando i momenti di passaggio di questo processo di espansione oltre i confini territoriali e culturali del paese. Dalle prime mostre dell'arte neoconcreta alla Signals Gallery di Londra negli anni 1964-66, alle spinte internazionalistiche di Marcantônio Vilaça, gallerista degli anni '90 scomparso prematuramente, cui si deve la scoperta di artisti come Ernesto Neto o Adriana Varejão (entrambi 1964), che ha superato di recente il milione di dollari in asta. “Le sue opere sono talmente richieste che non arriviamo a metterle in vendita in fiera” ha commentato dallo stand di SP Arte la galleria che la rappresenta, Fortes Vilaça.

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E poi c'è l'attenzione dei musei internazionali, che non è mai stata così alta. Dal 2007 a oggi la Tate Modern di Londra ha presentato tre mostre monografiche per storicizzare i protagonisti del novecento brasiliano: Hélio Oiticica (1937–1980), Cildo Meireles (1948) e Mira Schendel (1919–1988). Da qualche anno, però, il mercato è in espansione anche per gli artisti emergenti, che coniugano posizioni concettuali con una critica alla società e al materialismo imperante. Come Cinthia Marcelle (1974) o Jonathas de Andrade (1982), entrambi invitati alla Triennale del New Museum nel 2011, rassegna attenta alle nuove voci del panorama artistico internazionale. Entrambi, non a caso, sono rappresentati da Vermelho: un'istituzione più che una galleria commerciale, fondata nel 2002 con lo spirito di offrire una piattaforma commerciale agli artisti brasiliani contemporanei, casa editrice con il marchio Tijuana e, a giugno, sede di un festival di performance.

Il progetto organico di una galleria come Vermelho fa da naturale complemento a un parterre di musei radicati nel tessuto cittadino, come il MASP Museo di Arte di San Paolo, appena riaperto con la nuova direzione artistica di Adriano Pedrosa, la Pinacoteca o il MAM Museo di Arte Moderna. Musei che offrono importanti collezioni di arte brasiliana, ma restano ancora oggi poco inclini a raccontare il contemporaneo più sperimentale.

Il panorama si sta ampliando, però, e verso una nuova direzione, geografica e istituzionale. “Nella zona Centro, la più storica della città, hanno aperto due nuovi spazi no profit – Pivo e Phosphorus - che stanno diventando punti di riferimento per le nuove tendenze artistiche brasiliane” raccontano Eduardo e Camilla Barella dal terrazzo del ventiduesimo piano di un palazzo storico nell'adiacente piazza República, dove si sono appena trasferiti insieme alla loro collezione d'arte.

L'attaccamento a questa zona fortemente problematica della metropoli, nuova meta dei pellegrini dell'arte, li ha portati ad aprire un ristorante messicano al piano terra di Pivo, dove durante SP Arte hanno organizzato una raccolta fondi con un menù ideato per l'occasione dall'artista Mario Garcia Torres (1975). “Lo stato offre deduzioni per chi sostiene l'arte e la cultura in Brasile, solo che molti collezionisti sono ancora legati alle realtà museali più strutturate” spiegano.


Ma i nuovi portavoce dell'arte brasiliana sono loro: hanno trent'anni, una collezione di più di duecento opere d'arte messa insieme in sette anni, da quando sono marito e moglie, e girano il mondo. “Ci siamo rivolti naturalmente al lavoro di artisti coetanei che interrogano la società, i suoi confini in termini politici e identitari” raccontano, mostrando muri trivellati, stoffe arrangiate in forma di svastica, e saponette consunte, opere – in ordine - di Marcelo Cidade (1979), Adriano Costa (1975), Paulo Nazareth (1977). I nomi degli artisti suonano familiari: è il potere del passaparola che ben si coniuga all'irresistibile avanzare del nuovo Brasile dell'arte.

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