La Galleria Massimo De Carlo partecipa alla fiera di Basilea dal 1993, alla fiera di Hong Kong dal suo primo anno di vita e alla fiera di Miami dal 2002. De Carlo fa parte dell'Art Basel Selection Committee per Hong Kong. Nel suo stand a Basilea quest'anno vedremo i lavori di Gianfranco Baruchello, Rudolf Stingel, Dan Colen, Elmgreen&Dragset, Tony Lewis, Yan Pei-Ming e Piotr Uklanski; tre artisti saranno presenti nei progetti speciali: Nate Lowman ad Art Parcours e Tony Lewis e John Armleder ad Art Unlimited. L'80% del fatturato della galleria Massimo De Carlo è all'estero.
Come cambia il tuo lavoro del gallerista?
Siamo partecipi di un grande cambiamento all'interno del mondo dell'arte: la galleria si è trasformata in un centro di distribuzione di opere che arrivano e ripartono per i luoghi deputati (musei, istituzioni e collezioni private) ma anche in un centro di produzione di idee affini al progetto dell'artista. Insomma produttori di aura e di consenso in sintonia con la produzione artistica realizzata negli studi.
Più precisamente?
Cerchiamo di rispondere alle seguenti domande: in quale museo quest'opera può funzionare? In quale collezione privata potrebbe entrare? Oppure per alcuni autori come spostare la produzione artistica da un mercato maturo verso aree a maggior potenziale?
Insomma la qualità creativa è acquisita e ora puntate sulla sua comunicazione?
Una volta ci si focalizzava sull'artista, guidandolo e mettendolo in relazione con il sistema dell'arte. Ora la sua firma è (ahimè) diventata un brand e va avanti da solo. Ma è necessario coordinare e organizzare i canali del consenso, più facili da costruire con una struttura come la nostra con sede a Londra e presente nelle più importanti fiere nel mondo.
Questo discorso in quale fascia di mercato si posiziona?
Nella fascia alta del segmento degli artisti viventi. Questo mercato ha voglia di affrontare la sfida di autori che costano tanto.
E con i musei come collaborate?
Si, questa è una delle vocazioni della Galleria. Avendo avuto la fortuna negli ultimi trent'anni di lavorare con artisti di grande successo che hanno esposto in tutti i musei del mondo, siamo riusciti a creare una rete di relazioni che i nostri artisti possono utilizzare a livello internazionale. Siamo fieri di aver collaborato o di essere stati decisivi nell'organizzare la retrospettiva di Cattelan al Guggenehim (2011-12), o più recentemente la mostra di Piotr Uklański in corso al Metropolitan di New York e quella di Nate Lowman al Dallas Contemporary.
Siamo molto attivi anche sul versante delle fondazioni private. Abbiamo collaborato con Palazzo Grassi e con la Fondazione Arnault. In tempi più recenti abbiamo contribuito in modo decisivo alla nascita della Fondazione Aishti a Beirut che aprirà ad ottobre.
E in Italia si lavora coi musei?
Il Macro di Roma ha appena inaugurato la mostra di Josh Smith, costruita in collaborazione. Purtroppo spesso i musei italiani non hanno una programmazione visibile e spesso non c'è continuità nelle direzioni artistiche, il che rende debole l'identità dell'istituzione.
E gli altri musei?
Il Madre purtroppo deve ripartire da zero a causa di una precedente gestione poco chiara sia dal punto di vista finanziario che museale.
Il Maxxi è in una situazione delicata: stimo il lavoro di Hou Hanru, ma non so se avrà la possibilità di dare al museo un'immagine forte.
E la Biennale di Venezia?
La formula della manifestazione è molto logorata e la proliferazione di tutte le biennali nel mondo che hanno copiato il modello originale lo ha consunto. L'attenzione purtroppo si sposta oggi sull'evento mondano e sulla società.
E funziona per la certificazione dell'artista?
Per la stragrande maggioranza degli artisti presenti non costituirà una tappa fondamentale, il passaggio a Venezia deve essere sempre consolidato nelle gallerie e in altre istituzioni.
Quali sono i luoghi che possono dare qualche cosa in più agli artisti?
Il brand (ahimè) esiste anche nei musei, dire MoMA, Tate o Pompidou non è come dire Kunstmuseum Bonn, la comunicazione la fa anche il luogo in cui è il museo e i suoi flussi turistici.
Collaborate con gli altri galleristi?
C'è spirito di competizione perché vendiamo le stesse cose alle stesse persone, tuttavia per reciproca convenienza e per il bene dell'artista in molte occasioni si collabora, spesso per le istituzioni, ma poi ci si massacra per l'acquisizione delle opere…
Qual è oggi il profilo del collezionista?
E' mediamente più attento all'aspetto della performance economica.
E' ancora vivo il fenomeno della lista d'attesa?
Si certo. Viviamo in un mondo che vive per questo. Lista d'attesa per un tavolo al ristorante, per una borsetta, e naturalmente per l'acquisto della medesima opera d'arte super recensita ed esposta.
Visti i prezzi d'asta il mercato è in bolla?
L'occidente letteralmente rimane in vita grazie alle sue bolle…il mercato dell'arte ne è una conseguenza.
Come scegliete a chi vendere un'opera?
Il livello di fidelizzazione del collezionista è importante, ma ci sono le eccezioni per i luoghi ad alta visibilità come istituzioni, fondazioni e musei privati.
Si dice che l'Italia non fa sistema sui suoi artisti?
Nel tempo mi sono convinto che il sistema conta molto poco per sostenere la qualità. Aveva un senso quando l'arte produceva manifesti o correnti come l'Arte povera. Ma già negli anni '70 era chiaro che il contesto internazionale doveva essere privilegiato rispetto al sistema locale. Oggi il sistema non è importante per gli artisti italiani di grande successo degli anni '50 e '60 come Castellani, Fontana, Manzoni e Burri: funziona la loro qualità artistica.
E per gli artisti contemporanei?
L'insuccesso degli artisti del presente italiani è dovuto all'incapacità di relazionarsi con un contesto che ha regole diverse da quello italiano. Infatti gli italiani che producono dall'estero ce la fanno. In Italia l'artista si mostra incapace di affrontare il ruolo che la contemporaneità gli chiede: la costruzione di una forte identità e la capacità di comunicare questo valore. Gli artisti italiani purtroppo pensano all'artista come ad un uomo che si vuol mettere al margine della società e non a Rubens che era, invece, una vera macchina da guerra sotto il profilo della comunicazione.
Le fiere funzionano ancora?
Sono dei grandi luoghi di aggregazione, dove il narcisismo di coloro che si occupano di contemporaneo trova un ambiente sufficientemente neutro da consentire loro di emergere: le fiere sono organismi sovranazionali e sovra ideologici con servizi di grande qualità. Una fantastica piattaforma neutra che riesce a dare a tutti un po' di visibilità.
Ma per le gallerie non è sempre più oneroso?
E' molto oneroso ma il vero problema è che non ci sono opere di qualità in numero sufficiente per affrontare 10 fiere all'anno. Noi quest'anno abbiamo deciso di non fare più di 7 fiere.
In fiera si vende?
Molto e, spesso, velocemente. Il nostro lavoro è molto difficile da fare senza le fiere, è una questione di posizionamento della galleria.
Con gli artisti sottoscrivete contratti?
Gli artisti sono piuttosto allergici alle formule contrattuali.
Comprate o vendete in asta?
Le case d'aste sono dei grandi competitor, grandi player protagonisti del mercato. Noi non andiamo in asta a comprare, seguiamo, osserviamo, diamo informazioni quando ce le chiedono, ma non siamo grandi fornitori o clienti delle case d'asta. Lavorando con gli artisti ci muoviamo attraverso regole precise.
Che ruolo ha il web nel sistema dell'arte?
Il mercato online è fatto per lo più di edizioni e opere da grande tiratura.
Partecipate a qualche piattaforma web?
Abbiamo il nostro sito che rappresenta quello che facciamo a livello istituzionale sulle mostre e nei musei con i nostri artisti. È una bacheca elettronica attiva.
Quali mercati emergenti guarda con interesse?
A nessuno e a tutti…Ora si parla molto del Brasile e del Far East. Aumentano i ricchi e, inevitabilmente, il loro stile di vita si posiziona su standard simili a quelli occidentali. Certo per parlare a quei collezionisti bisogna usare linguaggi diversi, ma è una questione di software non di hardware… il prodotto che cercano è lo stesso.
La fiscalità italiana sulle compravendite incide sul suo lavoro?
In un mercato che cresce è sostenibile. Certo che l'Iva al 22% e il diritto d'autore al 4% non aiutano il collezionista e i galleristi italiani.
Funzionerà l'art bonus per dare sostegno all'arte?
Purtroppo sottolinea l'atavica distanza tra Stato e cittadino, perché questo bonus non è per i beni privati, ma solo per quelli pubblici, è per l'arte nei luoghi storici, ma non per quelli contemporanei.
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