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L'Appropriation Art alla prova del diritto d'autore: l'orientamento della giurisprudenza internazionale e italiana. Intervista all'avvocato Silvia Stabile

  • –di Marilena Pirrelli
Silvia Stabile
Silvia Stabile


Appropriation Art o arte appropriativa è una forma espressiva artistica, un vero e proprio genere artistico, che utilizza preesistenti oggetti reali, immagini o altre opere d'arte introducendo piccole modifiche o non introducendo alcuna modifica. Negli Stati Uniti, dove il fenomeno è comune a molti artisti contemporanei, l'Appropriation Art si ispira alle immagini della cultura pop, della pubblicità, dei mass media, ad opere di altri artisti e le incorpora in nuove opere d'arte. Spesso le capacità tecniche dell'artista nell'arte appropriativa sono meno importanti dell'abilità concettuale dell'artista di utilizzare le opere preesistenti trasformandone il significato. Naturalmente questa appropriazione della creatività altrui rompe schemi e spesso intenzionalmente contesta il diritto d'autore.

Abbiamo chiesto all'avvocato Silvia Stabile dello studio di Miano Negri-Clementi, esperta di diritto dell'arte, quali sono le problematiche legali che questi artisti hanno incontrato nella loro produzione/appropriazione sia a livello internazionale che in Italia.

Prima di tutto proviamo a dare una definizione “giuridica” di questa tendenza?
In Italia, la definizione giuridica di arte appropriativa (“opere artistiche che reinterpretano immagini preesistenti tratte dall'arte e dalla cultura di massa, cambiandone totalmente il significato”, così Ord. Trib. Milano, 13 luglio 2011) trova fondamento nelle norme della legge sul diritto d'autore (legge 22 aprile 1941, n. 633 e succ. mod.) e, in particolare, nell'art. 4 sulle opere derivate (le elaborazioni creative) che, facendo comunque salvi i diritti esistenti sull'opera originaria, protegge le elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa, quali, tra le altre, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera originaria e le variazioni non costituenti opera originale.

Inoltre, un'altra norma della legge sul diritto d'autore (art. 18) prevede il diritto esclusivo di elaborazione spettante all'autore, il quale comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell'opera previste nell'art. 4, comportando la necessità del consenso dell'artista dell'opera originaria ad ogni successiva elaborazione creativa derivata dall'opera originaria fatta da un altro artista. Con la conseguenza che l'opera derivata godrà di autonoma tutela prevista dal diritto d'autore, in quanto elaborazione creativa, sempreché sia stata autorizzata dall'autore dell'opera originaria.

Solo nell'ipotesi in cui l'opera d'arte appropriativa configuri una “parodia”, lo sfruttamento economico dell'opera originaria, in assenza di consenso, non configurerà una violazione del diritto esclusivo (art. 18), ma un uso lecito dell'opera originaria.


Puoi spiegarci quali sono le casistiche non solo americane ma anche europee e se ce ne sono italiane?

Oltre ai celebri casi americani come Cariou versus Prince (2013), Rogers versus Koons (1992), Fairey versus AP (2010),

Mattel versus Walking Mt. Prods (2003),

Blanch versus Koons

(2006) e molti altri, di cui si è parlato molto anche in Italia (si veda anche “Il Diritto dell'Arte”, vol. I, Skira, Milano, 2012, pp. 85 e ss.), soffermiamoci brevemente sulla casistica europea e italiana. Vai alla gallery

Katrijn van Giel contra Luc Tuymans


Nel gennaio 2015, un giudice di un tribunale belga si è pronunciato in merito ad un contenzioso tra il fotografo Katrijn van Giel e il pittore Luc Tuymans. In questo recente caso, la fotografia di van Giel (che ritrae il politico del centro-destra belga Jean-Marie Dedecker e che è stata pubblicata sul giornale “De Stardaard” il 15 giugno 2010), ha ispirato il dipinto di Tuymans “A Belgian Politician” (2011). Il giudice ha rigettato la tesi di Tuymans in base alla quale l'artista sosteneva che la propria opera d'arte fosse una “parodia” della fotografia di van Giel, quindi una elaborazione creativa autonoma rispetto all'opera parodiata e ne ha accertato la violazione del diritto d'autore.

La parodia, infatti, costituisce un'eccezione al diritto d'autore, ma non è sempre agevole per gli artisti dell'arte appropriativa sostenerla con riguardo alle proprie opere d'arte che utilizzano opere preesistenti, in particolare, opere di celebri fotografi.

Deckmyn contra Vandersteen et alt.


In un recente caso, Deckmyn c. Vandersteen et alt. (C‑201/13) del 3 settembre 2014, la Corte di Giustizia Europea ha definito i limiti della parodia quale eccezione al sistema del diritto d'autore (art. 5(3)(k) della Direttiva 2001/29/CE). Nel caso in esame, gli eredi di Vandersteen, l'autore dei fumetti “Suske en Wiske”, e i titolari dei diritti sul libro a fumetti dell'autore, hanno chiesto alla Corte di interpretare le norme in materia di parodia in relazione alla distribuzione da parte di Deckmyn di un calendario in cui è stato riprodotto un disegno somigliante ad un altro che figura sulla copertina di uno degli album della serie “Suske en Wiske”.

La Corte ha affermato che la parodia ha come caratteristiche essenziali, da un lato, quella di evocare un'opera esistente, pur presentando percettibili differenze rispetto a quest'ultima, e, dall'altro, quella di costituire un atto umoristico o canzonatorio.

La nozione di “parodia” non necessariamente dovrebbe mostrare un proprio carattere originale diverso dall'opera originale parodiata; inoltre dovrebbe poter essere ragionevolmente attribuita ad una persona diversa dall'autore stesso dell'opera originale e dovrebbe essere incentrata proprio sull'opera originale indicandone la fonte dell'opera parodiata. Quindi l'applicazione, in una situazione concreta, dell'eccezione della parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra, da un lato, gli interessi e i diritti dell'autore e degli altri titolari e, dall'altro, la libertà di espressione di chi utilizzi un'opera protetta avvalendosi dell'eccezione della parodia.

Nadia Plesner contra LVMH

Nel 2011, la Corte dell'Aja ha annullato il provvedimento ex parte contro l'artista danese Nadia Plesner che inibiva l'autrice di riprodurre nella propria opera d'arte “Darfurnica” il design della borsa “Audra” di Louis Vuitton raffigurata nelle mani di un bimbo africano. Il dipinto univa elementi di critica sociale e politica al simbolo della moda per attrarre l'attenzione sulla situazione interna del Darfur. La Plesner vinse la causa contro il noto marchio avendo la Corte dell'Aja giudicato prevalente la libertà d'espressione artistica rispetto all'uso del monogramma multicolore LV.
Foto: Darfurnica, 2010. Oil on canvas, 350 x 776 cm. Courtesy

Damien Hirst contra Cartrain

In un altro caso ancora, è l'artista inglese, Damien Hirst a contestare ad un giovane artista graffitaro, Cartrain, con formale lettera di diffida, la somiglianza tra un suo lavoro (“For The Love Of God”, 2007) e un collage satirico del teenager che riproduceva il celebre teschio di diamanti di Hirst. Il giovane artista, che si disse allora “sotto shock” per aver ricevuto la diffida di Hirst, per il tramite della DACS (la consorella SIAE in UK), ha poi chiuso la vicenda con il noto artista in sede stragiudiziale.

Hoepker contra Barbara Kruger

Nel 2002, un noto fotografo tedesco, Hoepker (con la sua modella) ha citato in giudizio l'artista americana Barbara Kruger per violazione di diritti d'autore e diritti alla privacy in considerazione dell'uso di una fotografia che ritraeva la donna con una lente d'ingrandimento che ingigantiva il proprio occhio: la Kruger aveva tagliato e allargato l'immagine e sovrapposto tre grandi blocchi rossi contenenti la frase “E' un piccolo mondo, ma non se lo devi pulire tu”. Poiché la fotografia negli Stati Uniti era di pubblico dominio o comunque non protetta da copyright, quando è stata realizzata l'opera d'arte, Barbara Kruger vinse il caso contro il fotografo tedesco davanti alle Corti americane (200 F. Supp. 2d 340, 2002).

Gautel contra Bettina Rheims

In Francia, nel caso Gautel contra Bettina Rheims (2008), la Corte d'Appello di Parigi ha affermato che l'installazione della parola “Paradis”, a caratteri oro, realizzata dall'artista concettuale Jakob Gautel all'ingresso della porta della toilette del vecchio ospedale psichiatrico di Ville-Evrard, costituisce opera originale protetta da diritto d'autore. Di conseguenza ha condannato la fotografa Bettina Rheims per contraffazione: la fotografa aveva scattato delle fotografie di modelle per il trittico “Nouvelle Eve” davanti a questa porta sfruttando il lavoro di Gautel senza il suo consenso e senza riconoscere alcunché all'artista. Bettina Rheims è stata dunque condannata al pagamento di 3.000 euro per violazione del diritto morale e di 2.000 euro per violazione dei diritti economici dell'artista. Bettina Rheims ha proposto ricorso in Corte di Cassazione, la quale ha confermato la sentenza d'appello.

Cy Twombly contra Rindy Sam

Ancora, sempre in Francia, il Tribunale di Avignone nel 2007 si è pronunciato sul caso Cy Towmbly: Rindy Sam, una giovane artista franco-cambogiana, lasciò le sue labbra di rossetto sulla tela bianca dell'artista americano Cy Twombly; un “atto d'amore” che ebbe come conseguenza un'incriminazione penale per danni all'opera d'arte di proprietà del collezionista, Yvon Lambert. “J'ai juste fait un bisou” ha cercato di sostenere l'artista, ma il Tribunale di Avignone ha affermato che l'aggiunta della traccia del seducente bacio di Rindy Sam ha violato i diritti dell'artista, Cy Twombly, che considerava la sua tela completa e non intendeva apportare ulteriori modifiche o aggiunte all'opera.

Fondazione Alberto e Annette Giacometti contra Fondazione Prada, Prada S.p.A. e John Baldessari

In Italia, è noto il caso della Fondazione Alberto e Annette Giacometti che ha promosso un procedimento cautelare, nel 2010, contro la Stitching Fondazione Prada, Prada S.p.A. e l'artista John Baldessari, per l'utilizzo dell'opera del Maestro Giacometti, la “Grande Femme II” nel progetto “The Giacometti Variations” esposto presso la Fondazione Prada di Milano, dando ragione alle tesi sostenute da Prada e dall'artista. L'ordinanza del Tribunale di Milano (Ord. Trib. Milano, 13 luglio 2011) costituisce il primo precedente italiano significativo in materia.

Enzo Carnebianca contra Shen Wei

Un altro caso italiano è quello azionato dallo scultore, artista romano, Enzo Carnebianca contro Shen Wei e la Shen Wei Dance Arts (2008 – 2010), la compagnia di danza contemporanea fondata dallo scenografo cinese, per violazione di diritto d'autore. In base alle contestazioni mosse da Carnebianca, la performance di Shen Wei, intitolata “Folding”, avrebbe riprodotto peculiari elementi dell'opera di Carnebianca (capi allungati delle sculture che ritraggono figure umane), senza riconoscimento alcuno dei propri diritti. Il giudice del Tribunale di Roma, nell'esame comparativo dei rispettivi lavori, ha considerato le opere sia nel loro insieme sia come somma di elementi individuali, affermando che entrambi gli autori hanno creato indipendenti e originali opere protette da diritti d'autore e che l'opera di Shen Wei non viola i diritti di Carnebianca.

Come i tribunali sembrano orientarsi? C'è una lettura comune?
Occorre innanzitutto distinguere tra sentenze dei tribunali europei da quelle delle corti americane: la normativa è differente e anche la casistica evidenzia la diversità dei sistemi giuridici con riguardo nello specifico al diritto d'autore, fair use – utilizzazioni libere e parodia.

Ad esempio, nella recente ordinanza del Tribunale di Milano (13 luglio 2011) nel caso che per brevità chiamiamo “The Giacometti Variations” il giudice ha avuto modo di chiarire che le opere parodistiche, quelle burlesche o ironiche, ma più in generale le opere che rivisitano lavori artistici altrui (non essendo necessario che ispirino ironia o inducano al riso, ben potendo suggerire messaggi diversi, anche tragici, critici o drammatici), sono tali nella misura in cui mutano il senso dell'opera parodiata, in modo tale da assurgere al ruolo di opera d'arte autonoma, come tale degna di autonoma tutela.
L'esame dell'opera derivata - sembra preferibile tale termine a quello, più riduttivo, di opera parodistica - deve essere condotto non tanto evidenziando le identità e le somiglianze con l'opera originale, bensì considerando se l'opera derivata nel suo complesso, pur riproducendo — tanto o poco — l'opera originale e comunque ispirandosi a questa (Baldessari ha inteso riprodurre una “Grand Femme” come interpretata da Giacometti e non nello specifico l'una o l'altra scultura del maestro), se ne discosti per trasmettere un messaggio artistico diverso.
In questo ambito quindi si deve distinguere chi copia, riproduce illecitamente e quindi contraffà un'opera altrui e chi la reinterpreta al fine di tradurla in un'espressione artistica diversa, di per sé creativa e idonea a trasmettere un messaggio proprio.
Lo stesso giudice italiano ha ripercorso nel testo dell'ordinanza sul caso “The Giacometti Variations” anche la giurisprudenza americana che si è formata sulla Appropriation Art e “fair use” (utilizzazione libera) come eccezione al diritto d'autore (Mattel v. Walking Productions, 353 F.3d 792, del 29.12.2003; Rogers v. Koons, 960 F.2d 301 - 2nd Cir. 1992 e Blanch v. Koons, Docket No. 05-6433-CV del 26 ottobre 2006). I fattori da considerare devono comprendere: lo scopo e il carattere dell'uso fatto dell'opera altrui, inclusa la valutazione se si tratti di un uso commerciale ovvero di uno scopo educativo o per finalità non commerciale.
Il secondo criterio che il diritto statunitense richiama è la natura del lavoro coperto da copyright, con riferimento al tipo di opera d'arte che si è inteso riprendere: si guarda quindi alla natura dell'opera originale. Quindi si considera la quantità e l'estensione della porzione utilizzata in relazione al lavoro coperto da copyright nel suo interno. Da ultimo, l'effetto realizzato tramite l'uso dell'opera originale da parte dell'artista successivo, con riferimento al potenziale valore di mercato o all'attuale valore di mercato dell'opera originale. La verifica va condotta a tale riguardo per accertare se la ripresa attuata svilisca l'opera originale sul mercato oppure risulti indifferente oppure addirittura la valorizzi perché finisca con l'offrirne una interpretazione che valga a diffonderla sul mercato ad un pubblico più vasto o a rinnovare il messaggio espressivo.
Emblematiche sono le due opposte decisioni dei casi che hanno visto coinvolto Jeff Koons. Nel caso “String of puppies”, la Corte Federale americana ha dato torto a Jeff Koons, considerando che non si trattava di una satira dell'opera d'arte che Koons aveva voluto copiare (la fotografia di Rogers), ma di una satira della società, il modo della società di porsi rispetto all'oggetto e quindi non trasmetteva nessun messaggio che avesse riguardo all'opera originaria, rappresentata dalla fotografia di Arthur Rogers.

In questo caso i giudici americani valorizzavano l'assoluta uguaglianza tra l'opera originaria e la scultura che la riproduceva. Quest'ultima non aveva aggiunto nulla e soprattutto questa non poteva definirsi parodia dell'opera originaria, bensì semmai parodia nei confronti della società. L'artista aveva asservito alla sua idea l'opera del fotografo che invocava protezione a norma della legge sul diritto d'autore.

Nel secondo caso che vedeva coinvolto Jeff Koons (Blanch versus Koons), il giudice giungeva a conclusioni opposte, in quanto l'immagine di Blanch realizzata per la pubblicità di Gucci era stata successivamente inserita nell'opera successiva di Koons “Niagara” con notevoli trasformazioni avendo così realizzato un'opera del tutto diversa.

Infine nel caso Richard Prince, attore Patrick Cariou(Corte Distrettuale Usa, Southern District di New York, decisione del 18 marzo 2011), come già nel caso Rogers versus Koon

(Federal Court 2nd Circ. 1992), si deve rilevare come il giudice statunitense abbia indicato che affinché nella “Appropriation Art” vi sia un lavoro originale, degno di protezione alla luce del diritto d'autore, è necessario che vi sia il c.d. “fair use”, nel senso che l'opera oltre ad essere una satira della società materialistica, sia anche una parodia, un commento, una reintegrazione dell'opera originale.

E' evidente dai casi fin qui esposti che non vi sia un orientamento comune in sede giudiziaria, ma ogni caso fa storia a sé, tuttavia quale posizione assumono le associazioni di artisti o le estate degli artisti?
Sì, occorre valutare caso per caso. Ad esempio, nel caso “The Giacometti Variations” il giudice del Tribunale di Milano nelle conclusioni ha ritenuto che la “trasformazione” sussiste nell'opera di Baldessari rispetto a quella di Giacometti, sia in senso materiale che concettuale, ed il risultato è un'opera creativa, dotata di un proprio autonomo valore artistico.

Le reazioni da parte delle associazioni degli artisti contemporanei e quelle delle estate e fondazioni che tutelano il nome e l'immagine degli artisti non più in vita sono contrapposte: gli artisti e le loro associazioni tendono ad affermare il principio della libertà di espressione artistica e la tutelabilità del genere dell'arte appropriativa a discapito delle creazioni originarie da cui traggono ispirazione; gli eredi, così come le estate o le fondazioni degli artisti tendono a sostenere che i fenomeni appropriativi in arte non rappresentino generi artistici tutelabili in sé; anzi costituirebbero fenomeni che danneggiano l'immagine e la reputazione degli artisti violandone non solo i diritti economici ma anche quelli morali.

Alcuni critici d'arte ritengono che negare statuto all'Appropriation Art non avrebbe alcun senso in quanto si azzererebbe parte della storia dell'arte postmoderna a partire da Marcel Duchamp (primo artista a far uso della tecnica appropriativa e trasformativa di oggetti di uso comune in opere d'arte, cd. ready made) fino alla Pop Art e alla più vicina arte contemporanea. Com'è stato affermato più volte se le leggi del copyright fossero state applicate dal 1905 al 1975, probabilmente non avremmo potuto vedere l'arte moderna così come oggi la conosciamo.

Koons, in particolare, ha fatto dell'Appropriation Art il suo cavallo di battaglia, nella rivisitazione pop di immagini entrate nell'immaginario collettivo: è il diritto a inseguire la nuova creatività o sono gli altri artisti, quelli imitati, che traggono linfa dalla forza di mercato di Koons?
Non credo che gli artisti le cui opere sono state utilizzate da Koons per la creazione delle proprie opere d'arte traggano vantaggio dal fatto di essere stati citati; anzi ritenendo di aver sofferto un danno dalla appropriazione non autorizzata del loro lavoro, hanno spesso proposto causa contro l'artista. In questo contesto, i giudici che si sono trovati ad affrontare i casi di Appropriation Art hanno cercato di mediare le opposte posizioni tra libertà d'espressione artistica, da un lato, e diritti esclusivi, dall'altro.

Quindi spesso non corre buon sangue tra gli artisti?
Per comprendere appieno il fermento, negli anni Settanta, è pubblicamente noto lo scambio acceso di corrispondenza privata tra Robert Rauschenberg e il fotografo Morton Beebe per l'uso fatto dal primo nell'opera intitolata “Pull” (1974) della fotografia “Mexico Diver” del secondo. Nel 1977, Beebe scrive a Rauschenberg di ritenersi molto sorpreso del fatto che un paladino dei diritti degli artisti (come Rauschenberg) abbia ripreso la sua immagine senza riconoscergli alcunché [“You having been in the lead of protecting artists rights, I was stunned to see one of my images so obviously borrowed without recognition. It is much to your credit to have developed a program of buidling royalties into sales contracts for artists.”].

E Rauschenberg prontamente gli risponde di aver ricevuto molte lettere di gratitudine da parte di altri artisti per aver visto le proprie immagini utilizzate nelle sue opere [“I have received many letters from people expressing their happiness and pride in seeing their images incorporated and transformed in my work. In the past, mutual admiration has led to lasting friendships and, in some cases, have led directly to collaboration, as was the case with Cartier Bresson.”].

L'Appropriation art ha effetti sui mercati dei rispettivi artisti: chi cita e chi è citato?
Molto spesso l'opera citata o parodiata ha un mercato differente rispetto all'opera citante o parodiante (si pensi ad un'opera d'arte creata attraverso un collage di fotografie scattate da altri); spesso non esiste alcuna interferenza o concorrenza tra le opere di diverso genere e stile. Perché sostenere che un editore non pubblicherebbe le fotografie di Patrick Cariou che ritraggono i Rastafariani jamaicani anche quando riutilizzate da Richard Prince per la serie di opere d'arte “Canal Zone”?

Quando il signor Ritter (il produttore delle barrette di cioccolato “Ritter Sport”) acquistò l'opera d'arte di Pusenkoff accusata di appropriarsi della fotografia della modella di Helmut Newton (Miss Livingstone), fu indotto all'acquisto per la riproduzione del quadrato giallo di Malevic e non della sagoma di Miss Livingstone (ndr. Il Sig. Ritter è un collezionista di opere d'arte che riproducono forme che evocano le barrette di cioccolato “Ritter Sport”!).

Del resto non solo Jeff Koons è stato citato diverse volte per le forme appropriative delle proprie opere d'arte, ma è lo stesso Koons ad aver fatto causa a chi lo “copia”. Koons, sorprendentemente, ha mandato una lettera di diffida a Park Life, una galleria di San Francisco, per aver posto in commercio fermalibri simili alla sua celebre scultura “Balloon Dog”. Ad avviso del titolare della galleria, l'idea di fare oggetti a forma di cane-palloncino colorato è di pubblico dominio e non crea confusione nel pubblico circa la provenienza del bene: i fermalibri erano venduti per 30 $ ciascuno, mentre le sculture di Koons nel formato più piccolo a prezzi che oscillavano tra 7.250 e i 12.500 $.

Cosa rischia un artista producendo Appropriation art?
Che l‘opera non sia considerata una forma di utilizzazione libera o che non sia dichiarata una forma di elaborazione creativa, incorrendo nella violazione di diritti economici e morali dell'artista dell'opera richiamata nel lavoro appropriativo che comporta nella migliore delle ipotesi il solo risarcimento del danno e nei casi più seri anche la distruzione dell'opera.

E cosa rischia un collezionista acquistandola?
Nulla nel caso di opera d'arte appropriativa lecita; viceversa qualora fosse accertata la violazione del diritto d'autore, la sentenza che si pronuncia sul risarcimento del danno a favore dell'artista ha effetto solo tra le parti e non anche contro il collezionista che ha acquistato l'opera in buona fede. Questi potrebbe eventualmente richiedere la restituzione del prezzo con la contestuale riconsegna del bene acquistato al venditore oltre al risarcimento del danno subito (aliud pro alio) qualora fosse anche accertata la contraffazione dell'opera originaria.

Nello specifico su Plus24 di sabato scorso (5 settembre) abbiamo quotato sei artisti (Glenn Brown, Hans-Peter Feldmann, LouiseE Lawler, Sherrie Levine, Christian Marclay e Jonathan Monk): conosci qualche caso concreto che li ha riguardati?

Sherrie Levin – “Sherrie Levine After Walker Evans” è il titolo di una mostra del 1981 esposta a New York alla Metro Pictures Gallery. In mostra, una serie di celebri fotografie di Walker Evans che la Levine ha fotografato direttamente dal catalogo della mostra “First and Last”. Sebbene le fotografie di Evans rappresentino delle icone nella storia dell'arte fotografica, al tempo dell'esposizione non erano più protette da copyright: nella selezione delle fotografie di Evans (scattate nel 1930 per la Farm Security Administration, F.S.A.) la Levine si riferisce ad una installazione federale dell'epoca di Roosevelt per il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini del Sud. Paradosso vuole che mentre le fotografie di Evans possono essere copiate e riprodotte, appropriate nel lavoro della Levine, le immagini della Levine che riproducono le fotografie di Walker Evans sono protette da copyright.

Il sito web sviluppa questo problema come tema centrale e ripropone le immagini di Evans usate dalla Levine. Nel 2001 Michael Mandiberg ha scannerizzato queste fotografie e ha creato i sitiweb per facilitare la loro diffusione.

Le immagini sono in alta risoluzione e possono essere scaricate dal sito e stampate, unitamente ad un certificato di autenticità per ciascuna immagine che può essere anch'esso stampato e poi firmato da chi scarica le immagini, unitamente alle istruzioni su come incorniciarle. Come dichiara anche il sito, sono stati in questo modo creati oggetti con valore culturale, ma con scarso o zero valore economico. Mentre Jeff Koons è stato citato in giudizio diverse volte, la Levin è stata solo minacciata di azioni legali: l'estate di Walker Evans ha semplicemente acquistato le opere della Levine, ma poi si è rifiutato di metterle in mostra.

Sturtevans - Elaine Sturtevant (conosciuta anche come Sturtevans) adotta il metodo della riproduzione di opere di altri artisti, che comprende la copia sia della tecnica che dei risultati degli altri. Quando alcuni posero la domanda a Andy Warhol circa la sua tecnica artistica, egli rispose “Non so. Chiedete a Elaine”. Precorritrice dell'Art Appropriation Although, operò dal 1960 fino all'età di 89 anni e a differenza di Warhol, la Sturtevant, non fu mai citata per violazione dei diritti d'autore degli autori che riproduceva nelle proprie opere, sebbene Claus Oldenburg e il gallerista Leo Castelli espressero giudizi severi quando la Sturtevant copiò “The Store” di Oldenburg (1967).

Christian Marclay – Christian Marclay ha realizzato “The Clock”; prima di questo artvideo ha prodotto “Telephone” (1995) e “Video Quartet” (2002), ma mentre “Telephone” durava 7 minuti e “Video Quartet” 14 minuti, “The Clock” è un montaggio di 24 ore di clips di film. “The Clock” inaugura alla fine del 2010 alla White Cube Gallery di Londra ed è per la prima volta esposto a New York alla Paula Cooper Gallery. Entrambe le gallerie hanno sostenuto finanziariamente il budget della produzione del video (più di 100.000 $). Il budget tuttavia non ha coperto i costi per il pagamento dei diritti alle case di produzione cinematografica. Pare che l'artista si sia disinteressato di assolvere i diritti di Hollywood. In un'intervista a “The Economist” (2010), Marclay ha affermato che il lavoro tecnicamente potrebbe essere considerato “illegale”, ma anche che molti potrebbero considerarlo un “fair use”. In un'intervista a “The New Yorker”, Marclay ha esposto la sua idea di copyright: se fai qualcosa di buono e interessante senza ridicolizzare nessuno o essere offensivo, i creatori dei materiali originali non potranno che gradire il risultato finale [“If you make something good and interesting and not ridiculing someone or being offensive, the creators of the original material will like it”].

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