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Flussi solo emotivi alla Biennale di Istanbul

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Musei e Biennali

Flussi solo emotivi alla Biennale di Istanbul

  • –di Sara Dolfi Agostini
Adrián Villar Rojas, The Most Beautiful of All Mothers,
Adrián Villar Rojas, The Most Beautiful of All Mothers,

Sono passati due anni da dOCUMENTA (13) e, a pochi mesi dal nuovo incarico come direttrice del Castello di Rivoli e della GAM di Torino, Carolyn Christov-Bakargiev torna a curare una grande mostra internazionale, la 14ª Biennale di Istanbul. Tanta l'attesa, anche perché da quando la Biennale, nel 2013, ha scelto di offrire l'ingresso gratuito, i visitatori hanno raggiunto il picco di 340.000 presenze. Il titolo di quest'edizione, inaugurata il 5 settembre scorso e visitabile fino al 1° novembre, è Acqua Salata: Una Teoria delle forme pensiero. Si ispira al lavoro di Annie Besant e parte dall'esperienza del Bosforo, il canale che unisce e separa Europa e Asia, ma anche dalle onde, il riflusso e il movimento di esseri umani ed epoche storiche. Un movimento che ritorna, in ultima istanza, alla mente e ai flussi emotivi, ma che – con l'eccezione del silenzio sul genocidio armeno affrontato da Francis Alys - lascia fuori temi di attualità come la repressione curda da parte del presidente turco Erdogan o la questione dei rifugiati siriani.

La metodologia scelta dalla curatrice è la stessa di dOCUMENTA: numerose sedi espositive – 36 tra scuole, garage, case (quella di Trotsky) abbandonate, sotterranei e banche su isole e sulla terraferma; e non solo artisti bensì personalità di vario genere tra cui figurano Santiago Ramón y Cajal, premio Nobel nel 1906 per la scoperta dei neuroni, e il matematico Carl Størmer, che per primo fotografò l'aurora boreale negli stessi anni. La mostra prende avvio nel “Canale”, un dispositivo curatoriale che ai tempi di dOCUMENTA era stato chiamato “Cervello”, situato nelle sale di una delle poche sedi espositive a presentare mostre collettive, l'Istanbul Modern, tra opere di Tacita Dean, Fabio Mauri, Song-Ming Ang e testimonianze dei boschi verticali dell'architetto Patrick Blanc.

Numerose sono le nuove produzioni, per una Biennale che quest'anno ha contato su un budget di 3,3 milioni di euro, di cui solo il 7% derivante da finanziamenti pubblici, contro il 46% della Biennale di Sidney e il 98% di Manifesta. Fatto che non stupisce in una città in cui tutti i musei, da Istanbul Modern al Sabanci Museum, sono creazioni delle più potenti famiglie dell'imprenditoria turca. Come non stupisce, in cima alla lista degli sponsor aziendali, la presenza di Koç Holding, unico partner della Biennale dal 2007, i cui proprietari sono essi stessi in procinto di inaugurare un nuovo museo di arte contemporanea con la loro collezione privata.

Tra le nuove produzioni più apprezzate dalla critica ci sono due installazioni nella Princes' Island, sede suggerita alla curatrice dallo scrittore Orhan Pamuk, che è per Istanbul l'equivalente di Capri per Napoli. La prima è una doppia videoproiezione del giovane Ed Atkins (1982; Isabella Bortolozzi Galerie, prezzi da 50-100.000 £): una rivisitazione della storia, vera per quanto incredibile, di Jeff Bush, un uomo inghiottito in una voragine mentre dormiva nel suo letto. A fare da contraltare all'intimismo onirico dell'opera di Atkins, prodotta dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, c'è lo scenografico bestiario di Adrian Villar Rojas (1980; Marian Goodman, in asta Christie's New York nel 2014 a 87.500 $), artista lanciato proprio dalla Bakargiev alla scorsa dOCUMENTA. Un'opera imponente, che emerge dalle acque del Mar di Marmara e forse è uno dei pochi riferimenti espliciti, ma edulcorati, all'attualità. Tra i sostenitori, ancora una volta, c'e una collezione italiana, la Fondazione Giuliani.

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