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La 13ª Biennale di Lione canta il moderno

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Musei e Biennali

La 13ª Biennale di Lione canta il moderno

  • –di Sara Dolfi Agostini


Una voce lirica canta “benvenuti nella vita moderna”. Si alterna a quella di un cantante rap che parla di grattacieli in vetro, mondi in alta definizione e soldi, sempre scarsi. È una delle nuove produzioni di Marinella Senatore (1977; Mot International / Peres Projects da 25mila a 80mila euro), unica italiana invitata a partecipare alla 13ª Biennale di Lione, e che presto vedremo anche sulla High Line di New York.

La canzone è diventata l'inno della mostra, appena inaugurata e visitabile fino al 3 gennaio prossimo, ed è stata realizzata collettivamente con le tante comunità che vivono alla periferia della città francese. Oltre a lei, l'inglese Ralph Rugoff, direttore della prestigiosa Hayward Gallery di Londra e curatore di questa edizione, ha chiamato 60 artisti internazionali, e il 70% delle opere in mostra sono nuove produzioni. Il tema, come sempre, prende spunto da una parola, individuata dal presidente della Biennale e direttore del Mac Lyon, Thierry Raspail. Stavolta è “moderno”, che il curatore ha interrogato senza pregiudizi volgendo lo sguardo alla società di oggi, alle sue economie e a come la tecnologia ne ha cambiato la percezione, ma non la sostanza, accentuando semmai le differenze tra realtà virtuale e fisica, mondi occidentali e non, naturalia e artificialia. Le sedi espositive sono La Sucriere, spazio industriale ormai simbolo della biennale, il nuovo Musée des Confluences, costato ai francesi 255 milioni di euro, e il Mac Lyon.

Mentre dietro l'organizzazione c'è un'associazione che quest'anno ha messo insieme 8,24 milioni di euro, di cui 55% pubblici, provenienti - in ordine di importanza - dalla Città Metropolitana, dal Ministero della Cultura e dalla Regione, circa il 27-30% da risorse proprie e il resto da sponsorizzazioni private. Il programma, tuttavia, non include solo la mostra di Rugoff, ma anche una serie di eventi paralleli per la promozione del territorio, tra cui la personale di Anish Kapoor al Convento de La Tourette, un'opera di Le Corbusier del 1960, e un progetto di mostre e residenze per giovani artisti. Tra le opere della biennale, c'è la scultura labirintica di Liu Wei (1972; White Cube, in asta da Christie's Hong Kong pochi mesi fa a oltre 500mila $) che esprime il disagio della vita delle grandi metropoli raccontando, per frammenti, il sistema produttivo contemporaneo.

Oppure l'installazione di Alex da Corte (1981; Giò Marconi da 80-160.000 euro), dove un'ambientazione bluastra e vagamente kubrickiana fa da scenario al video in loop di un ginnasta sospeso agli anelli, trasmettendo la tensione del corpo in equilibrio precario al visitatore. Nel lavoro di Michel Blazy (1966; Art Concept da 2-60.000 euro per le installazioni), invece, piante ed erbacce si infiltrano in alcuni prodotti della società, dai computer alle scarpe sportive, e un muro è alterato quasi impercettibilmente da vivaci iniezioni cromatiche. Non sono le uniche opere a meritare una citazione: Rugoff ha realizzato una biennale che mette in scena tutto il potenziale dell'arte di oggi, e alcuni dei suoi più interessanti esponenti.

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