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L'arte iraniana vista da New York, ne parla la gallerista Leila Heller…

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Mercato dell'arte

L'arte iraniana vista da New York, ne parla la gallerista Leila Heller

  • –di Sara Dolfi Agostini

Ha iniziato a mostrare l'arte iraniana a New York all'indomani della rivoluzione del '79, e oggi i suoi artisti sono nelle collezioni dei maggiori musei internazionali. Lei è Leila Heller, fondatrice dell'omonima galleria in Chelsea e in procinto di aprire una sede a Dubai.

Chi sono stati i primi collezionisti a interessarsi all'arte iraniana?
Amici e famiglie iraniane. Tutti espatriati che ricercavano nell'arte un contatto con il loro background culturale, senza trascurare la volontà di offrire un sostegno alla scena del proprio paese.

Quando è arrivato il collezionismo internazionale?
Pochi anni fa, ed è stato graduale. Ha coinciso con i primi viaggi di collezionisti e curatori americani a Dubai, Abu Dhabi e Istanbul, richiamati dalle fiere e da un preciso interesse per la regione. Tornavano indietro e partivano passaparola e progetti espositivi. Come Iran Inside Out, la mostra collettiva organizzata dal Chelsea Art Museum nel 2009 con metà artisti della diaspora e metà ancora residenti in Iran. La copertura mediatica è stata incredibile: oltre 90 articoli. Il tutto mentre accresceva l'interesse internazionale per il Green Movement per la liberta di espressione contro il presidente eletto Mahmoud Ahmadinejad. Certo, molti artisti non sono riusciti a venire in America perché non gli è stato concesso il visto…

È stato allora che si è diffuso il trend speculativo?
No, la speculazione già c'era stata, tra il 2006 e il 2008, poi si è calmata con la crisi finanziaria internazionale. Da allora abbiamo assistito a un aggiustamento e adesso i collezionisti, occidentali e orientali, sono più attenti e il mercato più sano.

Su cosa ricadono le scelte dei musei?
In galleria rappresento forse la più famosa artista iraniana, scomparsa pochi anni fa: Farideh Lashai. Il suo lavoro (25-35000 $ per gli acquarelli; oltre 100.000 $ per dipinti e video) è in mostra al Davis Museum of Art, in dialogo con le acquaforti di Francisco Goya, al Lacma di Los Angeles e a marzo sarà protagonista di una retrospettiva al Museo d'Arte di Sharjah. E poi Pouran Jinchi, un'altra donna le cui opere reinterpretano la tradizione calligrafica (10-100.000 $) e troviamo in mostra nel Padiglione Iraniano della 56. Biennale di Venezia e nella collezione del Metropolitan Museum di New York. Tra gli artisti della generazione precedente, invece, il più noto è certamente Marcos Grigorian, artista armeno e iraniano collezionato dalle Tate Galleries, dal Lacma e dal MoMa. Il suo lavoro con la terra ha anticipato quello dei land artists occidentali e ha ispirato colleghi e amici come Castellani e Burri. L'anno scorso gli ho dedicato lo stand a Frieze Masters, ricevendo un importante riscontro di critica.

Mi fa un identikit dei collezionisti che comprano le loro opere?
Oggi sono sempre più i giovani ad acquistare: banchieri di Wall Street e imprenditori nell'industria high tech. Hanno affiancato i vecchi collezionisti che già si interessano da anni e adesso aggiornano le loro collezioni con le opere di artisti emergenti e middle-career.

E per quanto riguarda i musei: dove si trovano le raccolte più importanti?
La più importante è la Grey Art Gallery di New York, parte ormai della New York University. È stata messa insieme da Abby Weed Grey, collezionista che si è recata in Iran già negli anni '60 insieme a David Rockefeller e ha acquistato le opere delle generazioni precedenti di artisti iraniani. Sul contemporaneo collezioni interessanti sono al Lacma, al British Museum, al Centre Pompidou e al Metropolitan Museum di New York.

Gli artisti di oggi sono ancora soggetti alla censura?
Durante il regime di Mahmoud Ahmadinejad (2005-13) ce n'era di più, adesso va meglio. Certo se inserisci connotazioni sessuali espliciti o riferimenti politici, ancora ti censurano. Il fatto che ci siano sempre più connessioni tra artisti iraniani e paesi esteri, la stessa scena di Teheran, sempre più vivace dal punto commerciale, aiutano a superare questo scoglio. È importante comunque sottolineare che in Iran non è stato distrutto niente: c'è molto rispetto per l'arte, quindi non viene esposta magari, ma viene sempre conservata per momenti migliori, come adesso con il presidente Hassan Rouhani (2013-..). Inoltre il Museo di Arte di Teheran ha ricominciato a fare prestiti: di recente un'opera di Pollock è andata in mostra a Tokyo, per esempio; e finalmente abbiamo un buon padiglione alla Biennale di Venezia, finanziato da un giovane collezionista con la sua fondazione e rappresentativo di tutta la regione, dal Libano all'Iraq.

Quindi qual è il ruolo del governo nel padiglione a Venezia?
Ha permesso di realizzarlo, ma non lo ha sponsorizzato. È un'iniziativa indipendente e autofinanziata.

Molti degli artisti con cui lei lavora hanno studiato e/o vivono all'estero. Riconosce una differenza tra la scena dentro e fuori Teheran, in termini di atteggiamenti, forme, estetiche?
Gli artisti che vivono in Iran reagiscono alla situazione sociopolitica, perché sono più esposti al contesto. Quello che trovi nel lavoro degli artisti della diaspora è affine, però condito con nostalgia, metafore e un certo simbolismo. Sono politici perché vivono in uno stato di libertà di espressione che non c'è nel loro paese di origine.

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