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La collezione “giovane” di Franco Lizza: «ma l'Iva resta un freno»

  • –di Sara Dolfi Agostini

Per il notaio genovese Franco Lizza l'incontro con l'arte contemporanea è avvenuto per caso nel 2009, nelle sale di un ristorante di pesce insolitamente decorato da opere di Alighiero Boetti e Giulio Paolini. Figlio di collezionisti di arte dal seicento alle avanguardie novecentesche, Lizza chiese informazioni a Sergio Bertola, collezionista e allora titolare del Gran Gotto, e lui lo invitò ad accompagnarlo ad Artissima. “Avevo 24 anni ed è cominciato tutto così: Sergio mi ha fatto da mentore, mi ha guidato alla scoperta dei linguaggi della contemporaneità” ricorda.

La sua collezione include artisti italiani e internazionali, tutti tra i trenta e i quarant'anni al massimo. “Il legame generazionale in realtà è blando, anche tra le mie amicizie frequento ventenni e settantenni come Sergio” ammette, poi aggiunge: “credo, inconsciamente, che in quel decennio si scateni qualcosa nell'artista, che gli permette di intercettare i temi che la contemporaneità evoca, per poi interpretarli al meglio con l'esperienza già maturata”. Ci sono eccezioni, certo, e spesso sono italiani: ad esempio, i giovanissimi Serena Vestrucci (1986), di cui ha acquisito un quadro dipinto con cosmetici femminili in mostra alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo l'anno scorso, e Andrea Kvas (1986), di cui possiede un grande monocromo frutto di una performance del 2011 che ha scovato nello spazio no profit milanese Peep Hole. “Comprare arte del mio paese non è discriminante, però alcune opere pensate da connazionali hanno una capacità evocativa che tocca corde profonde e fa scattare un meccanismo empatico” spiega. Il riferimento è a un disegno di Giovanni Kronenberg (1974) che raffigura Pasolini sulla tomba di Gramsci: un'opera che Lizza ha comprato nei giorni in cui leggeva “Petrolio”.

Ma anche a un piccolo collage ispirato dalla cultura folkloristica della Liguria, opera di Luca Vitone (1964), artista genovese che Lizza ha conosciuto di persona frequentando la galleria Pinksummer, “la più votata al contemporaneo in città”. In collezione, poi, ci sono anche le istantanee realizzate trasformando il baule della macchina in una camera oscura di Giorgio Andreotta Calò (1979), un collage ispirato alla filosofia cinese dello ying e yang di Luca Trevisani (1979), le poetiche fotografie della serie “20.12.53 - 10.08.04” che Moira Ricci (1977) ha dedicato alla madre. “Spesso mi capita, sia in fiera che in galleria, di acquistare le opere sulla base di una conoscenza superficiale dell'intera ricerca dell'artista, e di meritarmi il goal dopo averlo segnato” racconta Lizza divertito. Ma collezionare non è solo una questione di incontri estetici: “per collezionare bisogna farsi i conti in tasca, e all'inizio mi ha aiutato mio padre” ricorda, e comunque “mi ero posto un tetto di 3-4.000 euro a opera per 4/5 acquisti all'anno”. Con il tempo il tetto è salito a 7.500 euro, è cresciuto con il reddito, ma un elemento è rimasto costante. “Quando acquisti l'opera di un italiano l'aliquota Iva è massima, al 22%, e fa la differenza: se lo Stato si decidesse a livellarla alla media europea, la perdita per l'erario sarebbe inferiore ai benefici e alla fiducia che inietterebbe nel sistema dell'arte italiano” conclude Lizza.

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