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La sfida del Met Breuer

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Musei e Biennali

La sfida del Met Breuer

  • –di Sara Dolfi Agostini

Ha aperto il 18 marzo con una tre giorni di eventi e performance il nuovo avamposto del Metropolitan Museum of Art di New York dedicato all'arte moderna e contemporanea e collocato negli spazi brutalisti disegnati dell'architetto Marcel Breuer, a pochi isolati di distanza dalla casa madre su Fifth Avenue. Dal 1966 al 2015 l'edificio è stato l'iconica sede del Whitney Museum , che l'anno scorso si è trasferito in un edificio più ampio e luminoso di Renzo Piano nel Meatpacking District, a pochi passi dalla High Line e da un nugolo di gallerie d'arte. L'operazione del Met Breuer, sponsorizzata da Sotheby's per la durata di otto anni, rappresenta i primi timidi passi del museo verso uno svecchiamento della sua immagine e della programmazione nell'idea di attirare più visitatori (6,2 milioni nel 2015), e probabilmente anche più lasciti e attenzione da parte del collezionismo newyorkese.

Tutto inizia nel 2012, quando il Met nomina il suo primo curatore dedicato al contemporaneo, Sheena Wagstaff, già capo curatore alla Tate Modern di Londra per dieci anni. Nel 2013 parte la serie di commissioni site-specific sulla terrazza, con artisti di fama internazionale come Imran Qureshi, Dan Graham, Pierre Huyghe e Cornelia Parker a maggio prossimo. L'anno scorso, invece, è arrivata la notizia del temporaneo subentro nell'ex Whitney Museum, nell'attesa che l'archistar David Chipperfield completi l'ampliamento da 600 milioni di dollari dell'ala sudovest del museo, che sarà dedicata principalmente all'arte moderna e contemporanea. Infine, il mese scorso, c'è stato il lancio del nuovo logo The Met, che sostituisce quello del 1971 ispirato all'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci con un'estetica più pop e social.

I costi per far funzionare a regime il Met Breuer saranno di 17 milioni di euro annui, e secondo quanto riportato dal New York Times pare che il Metropolitan abbia investito almeno 15 milioni di euro per ripristinare gli spazi, aprire il ristorante marchiato Estela (in estate) e formare il proprio personale nel settore dell'arte contemporanea. Viene da chiedersi che tipo di relazione instaurerà il nuovo Met Breuer con le istituzioni newyorkesi dedicate al contemporaneo: dal già citato Whitney Museum of American Art al vicino Guggenheim, e dal MoMA PS1 al New Museum.

L'offerta inaugurale, che sfrutta tutti i 2700 metri quadri di spazi espositivi, presenta due mostre. La prima è una monografica dedicata all'artista indiana Nasreen Mohamedi, che rispecchia l'impegno dell'istituzione nella rilettura dell'influenza modernista in artisti estranei al circuito artistico occidentale. L'altra mostra, che si estende su due piani, si intitola Unfinished: Thoughts Left Visible e si propone di investigare l'idea di non finito da Tiziano fino a Gerhard Richter e Louis Bourgeois. La mostra si dipana cronologicamente, una scelta che è stata al centro di numerose polemiche nei giorni di preview durante l'Armory Show, perché rinuncia così al dialogo antico – contemporaneo per spiegare in modo forse più didattico un concetto che nel Novecento cessa di essere una casualità (trasferimento, morte prematura dell'artista o del committente) per diventare uno strumento metodologico del processo di creazione.

La polemica, però, attecchisce eccome: a New York si respira uno scetticismo diffuso per questa espansione del Met nel contemporaneo, alimentata dai molti punti di domanda lasciati senza risposta dalla governance del museo. Quali sono gli obiettivi nel medio periodo in termini di visitatori? Quali le aspettative in termini economici, visto che il biglietto ammette il visitatore a tutte e tre le sedi del Met nella stessa giornata (incluso The Met Cloisters dedicato all'arte medievale a nord di Manhattan)? E i risultati attesi in termini scientifici? Il Met investirà più nel contemporaneo d'ora in poi? Quali sono gli accordi di sponsorizzazione con Sotheby's? Interrogati anche da Il Sole 24 ORE, gli addetti alla stampa hanno rimandato comunicazioni certe a data da destinarsi.

La sensazione è che il museo navighi a vista, anche per evitare gaffe che già non sono mancate. Come la decisione di specificare sul sito come si pronuncia “Breuer”, forse per evitare l'erronea assonanza con “brewer” (produttore di birra); o l'intervista rilasciata in anteprima dalla Wagstaff al New York Times lo scorso novembre, dove annunciando alcuni nomi degli artisti della mostra Unfinished, ha infaustamente citato anche Urs Fischer, rappresentato dalla Gagosian Gallery in cui lavora come direttore il marito Mark Francis.

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