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Rinasce il Pecci con una strategia multidisciplinare -

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Rinasce il Pecci con una strategia multidisciplinare - Vai all’ArtGallery

  • –di Stefano Pirovano

Il 16 ottobre riapre il Centro Luigi Pecci di Prato: quando è nato nel lontano 1988 è stato il primo museo d'arte contemporanea italiano ad avere una sede costruita ex novo, ora potrebbe rappresentare per l'Italia l'anno zero dell'arte contemporanea finanziata con soldi pubblici.
Infatti, il progetto di ampliamento del Pecci, iniziato nel 2007 e affidato agli architetti dello studio NIO di Rotterdam, è stato interamente finanziato dal Comune di Prato e dalla Regione Toscana - con l'inevitabile supporto dell'Unione Europea. Il costo dell'opera potrebbe sembrare salato, 14 milioni e mezzo di euro. Ma comprende un edificio di pregio nuovo di zecca, la ristrutturazione di quello esistente (progettato da Italo Gamberini) e la riqualifica degli spazi circostanti al museo, nuova porta ideale alla città. Per farsi un'idea, nel 2014 il contributo della Regione Toscana al nuovo Pecci è stato di 900.000 euro, mentre altri 590mila ne sono stati elargiti lo scorso anno in vista dell'inaugurazione del prossimo ottobre.

Cifre importanti per un Comune di 200.000 abitanti, che come sottolinea il giovane sindaco Matteo Biffoni: “cerca di sfruttare le opportunità che il presente offre, guardando all'Europa e al proprio futuro, come è sempre stato nella sua identità”.
Appunto, quale futuro? I musei sono costosi da costruire, ma sono ancora più costosi da riempire. E senza software cioè l'arte, si sa, la macchina non marcia. A questo proposito, al fine di dare all'istituzione la stabilità finanziaria che serve, il nuovo Pecci è stato dotato della Fondazione Per le Arti Contemporanee in Toscana (attenzione al plurale), di cui i partner principali sono di nuovo il Comune e la Regione.

Nel consiglio di amministrazione siedono Irene Sanesi (presidente), Edoardo Donatini, Fabio Donato, Fabio Gori, Anna Maria Schinco, ma come spiega la dottoressa Sanesi già si pensa a una piattaforma a geometria variabile, aperta quindi a chi porterà nuove risorse. Questa perciò sarà la cabina di regia che dovrà garantire ossigeno ai quasi 3.000 metri quadri espositivi della struttura e alle giuste aspettative dei contribuenti toscani. Ovvero, più di due milioni di euro all'anno, che per il 2016 sono stati quasi interamente assicurati da Comune (1.160.000) e dalla Regione (1.000.000).
Le linea artistica dettata dal direttore Fabio Cavallucci è impostata alla massima apertura verso tutte le discipline, inclusi cinema, musica e performance. Il Centro sarà aperto di sera, avrà una biblioteca attiva (già ricca di 50.000 volumi) e un ristorante.

La collezione permanente già esiste, ed è apprezzabile. Si faranno didattica e conferenze. Insomma, si cercherà di essere per Prato quello che la Tate è per Londra o, meglio, quello che il Guggenheim è per Bilbao. Ma con una differenza sostanziale. Cioè che il Pecci, nato dall'iniziata di un privato, l'imprenditore Enrico Pecci che fondò il museo in onore del figlio Luigi scomparso prematuramente, oggi riparte con soldi pubblici in un'area geografica dove l'arte contemporanea deve costantemente negoziare il suo ruolo con i grandi del passato e, soprattutto, con uno scenario economico decisamente ridimensionato rispetto all'epoca in cui i Pecci, ma non solo, facevano fortuna. Il rischio che l'istituzione finisca ostaggio della politica - o, peggio, dei poteri forti dell'arte internazionale -, è purtroppo all'orizzonte. Come dire, il meno è fatto. Ora comincia la difficilissima sfida di costruire quell'autorevolezza internazionale senza la quale i soldi spesi saranno stati spesi invano. E se questa sarà davvero “La fine del mondo”, come dice l'infelice titolo scelto per la mega mostra collettiva inaugurale (con opere della collezione permanente), oppure segnerà l'inizio di un nuovo mondo, come l'intera comunità artistica si augura, lo scopriremo domani.
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