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Pietro Accorsi il mercante delle meraviglie

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In Primo Piano

Pietro Accorsi il mercante delle meraviglie

  • –di Gabriele Biglia

Leggendo la biografia del mercante d'arte torinese Pietro Accorsi (1891 - 1982) scritta dal giornalista Renato Rizzo (”Pietro Accorsi il mercante delle meraviglie”, Silvana Editoriale ) viene in mente il barone Kaspar Utz, misterioso e maniacale collezionista praghese di porcellane di Meissen, affetto dalla “malattia della porcellana”, protagonista del celebre romanzo di Bruce Chatwin. Utz sosteneva bizzarramente che i musei dovessero essere saccheggiati ogni cinquant'anni e le loro collezioni tornare in circolazione perché solo nelle mani di un collezionista l'oggetto d'arte è vivo, mentre chiuso nella teca di un museo, soffocato dagli sguardi del pubblico, muore.
Prima ancora di essere un grande antiquario, Accorsi fu un fine collezionista: “Se potessimo rimettere insieme tutto ciò che mi è passato per le mani, non basterebbe Piazza Vittorio a contenerlo”, amava ripetere. Probabilmente non esagerava. Al termine della sua vita, per volontà testamentaria, venne costituita la Fondazione Pietro Accorsi e nel 1999 inaugurato l'omonimo museo con la collezione personale di mobili e arredi del Settecento realizzati da formidabili ebanisti come Pietro Piffetti, dipinti di Vittorio Amedeo Cignaroli, porcellane di Meissen, visibili nel cuore di Torino nel palazzo di via Po 55, dove, a partire dal 1901, il gallerista visse la propria infanzia insieme ai genitori nella portineria dello stabile. Nel 1956 Accorsi fu abbastanza ricco da acquistare l'intero palazzo e adibire il piano nobile ad abitazione e galleria d'arte.
All'inizio del secolo Torino contava 300mila abitanti. Le prime tranvie elettriche, come in un dipinto di Mario Sironi, facevano la comparsa accanto ai tram a cavalli e per le strade si potevano veder passeggiare signori in cilindro e dame con cappelli piumati. Pietro Accorsi muove i primi passi aggirandosi per le vie dell'ex ghetto ebraico tra i negozi di robivecchi in cerca di qualche oggetto da poter rivendere tra mobili, cornici, monete, maioliche disposte alla rinfusa. Ai tempi non esisteva ancora un vero e proprio mercato dell'antiquariato. Persino a Parigi, per poter esercitare, tutti i mercanti d'arte dovevano avere una licenza da rigattiere. Accorsi, autodidatta, divenne il primo marchand d'art della città sabauda. A vent'anni è già ricco, grazie anche all'amicizia instaurata con Umberto di Savoia, le prince charmant, che lo introdusse nelle dimore più esclusive d'Italia, divenendone socio occulto negli affari. Sarà Umberto a vendere all'amico negli anni '30 il superbo scrittoio in bronzo dorato impreziosito da placche di porcellana di Sèvres, realizzato nel 1772 dall'ebanista Martin Carlin, pensato originariamente per gli appartamenti di Madame du Barry, oggi conservato alla Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona.
Nel 1934, attraverso le raccomandazioni dell'erede al trono e grazie ai legami con importanti famiglie milanesi, il gallerista viene a conoscenza delle intenzioni del principe Luigi Alberico Trivulzio Belgioioso di disfarsi di una parte cospicua della incredibile raccolta di marmi, arazzi, dipinti. Una vera grotta di Alì Babà celata dietro il portone di Palazzo Trivulzio: solo pochi anni prima il principe incrementò la propria collezione con l' acquisto del “Ritratto dell'ambasciatore Gabriele de Luetz d'Aramont” di Tiziano, oggi nella Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano. Accorsi, divenuto intermediario per le acquisizioni per conto di Vittorio Viale, direttore del nuovo Museo Civico di Palazzo Madama a Torino, al termine di una trattativa estenuante, riesce a garantirsi un opzione sull'acquisto per 9 milioni di lire (l'equivalente di circa 10 milioni di euro) sui dipinti di Mantegna, Pontormo, Tiziano, Antonello da Messina, e sui 35mila volumi che comprendevano oltre a opere autografe di Leonardo, il prezioso e unico manoscritto miniato da Jan Van Eyck con le “Très belles Heures de Jean de Berry” (pare valesse da solo la cifra pattuita). Ma la notizia dell'accordo finisce sui principali quotidiani generando inizialmente uno scontro tra le città di Torino e Milano per poi diventare in seguito un affare di Stato. Il Duce, sapendo che dietro all'accordo vi era il futuro erede al trono Umberto di Savoia, con un segno della sua stilografica mandò in fumo l'affaire.
L'antiquario riuscirà ad ottenere per la città di Torino, come risarcimento della rescissione contrattuale, solamente, si fa per dire, due capolavori: il “Ritratto d'uomo” di Antonello da Messina, vertice assoluto della ritrattistica rinascimentale che guarda con fermezza i visitatori di Palazzo Madama, e il libro con le 25 pagine miniate da Jan van Eyck e dai suoi collaboratori.
La fama di Accorsi è ormai all'apice quando nel 1948 l'amico Luigi Einaudi, eletto primo presidente della Repubblica, lo chiamerà a Roma per riordinare la Grande Sala della Manica Lunga del Quirinale. L'antiquario recupererà nei depositi il famoso bureau plat del Settecento firmato dall'ebanista francese Jacques-Phlippe Carel che passerà alla storia come “lo scrittoio del Presidente”. Seduto di fronte a questo mobile ogni capo dello Stato ha formulato i tradizionali auguri di fine anno al Paese.
Scorrendo le pagine del libro, ricco di storie piene di fascino, talvolta divertenti (nel '46 Accorsi si rifiutò di acquistare la Pietà Rondanini di Michelangelo perché la riteneva brutta), troviamo una immagine d'epoca a colori di uno dei pezzi più straordinari trattati dal mercante, l'imponente trumeau rivestito in maiolica di Pesaro, ammirabile nelle sale di Via Po 55, che incantò sul finire degli anni sessanta Henry Ford II, il magnate di Detroit, tanto da lasciare nelle mani dell'antiquario un assegno in bianco pur di persuaderlo alla vendita. Ma a togliere il fiato al gallerista fu il doppio corpo dalle forme perfette e armoniose eseguito dall'ebanista della Casa Reale Pietro Piffetti, “il mobile più bello del mondo”, alto 3,2 metri, datato 1738, impreziosito da intarsi in tartaruga e madreperla, individuato nel 1966 nella dimora genovese della famiglia Balduino. Lo acquisterà per ben 56 milioni di lire (circa 600mila euro) ed è oggi uno degli arredi-simbolo del Museo Pietro Accorsi.







Titolo: Pietro Accorsi il mercante di meraviglie
Autore: Renato Rizzo
Casa editrice: Silavana Editoriale
Anno di pubblicazione: maggio 2016
Pagine: 295
Lingua: italiana
Prezzo di copertina: 25,00 €














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