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Che fine avremmo fatto se non ci fossero stati i mercanti d'arte?

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Che fine avremmo fatto se non ci fossero stati i mercanti d'arte?

  • –di Gabriele Biglia



“Che fine avremmo fatto se non ci fossero stati i mercanti d'arte?”, si domandò una volta Pablo Picasso. Yann Kerlau, manager del lusso con la passione per l'arte e il pallino della scrittura, nel libro “Cacciatori d'arte. I mercanti di ieri e di oggi” (Johan & Levi editore) traccia in maniera divulgativa e precisa allo stesso tempo, il profilo di sette galleristi e mecenati dal XIX secolo ad oggi: da Théodor Duret al leggendario Ambroise Vollard che organizzò la prima esposizione di opere di Paul Cézanne; da Paul Durand-Ruel a Daniel-Henry Kahnweiler, il mercante dei cubisti; dall'eccentrica Peggy Guggenheim, collezionista e musa dei più grandi artisti del XX secolo nella atmosfera magica di Venezia, ai mercanti più chiacchierati di oggi, Larry Gagosian e Charles Saatchi.

Kerlau parte dallo scandalo che ha travolto la galleria Knoedler dove curatori di musei di tutto il mondo e collezionisti, fino a pochi anni fa, hanno acquistato con assoluta fiducia dipinti, sculture accompagnati da pedigree ineccepibili. Nulla avrebbe fatto presagire che una delle più antiche e rinomate gallerie d'arte newyorkesi, fondata nel 1846, sarebbe finita il 30 novembre 2011 davanti alla corte dello stato di New York. Tutto ebbe inizio nel 2007 quando l'hedge fund manager Pierre Lagrange acquistò da Ann Freedman, direttrice di Knoedler, una tela di Jackson Pollock “Untitled 1950” per 17 milioni di dollari. Quando Lagrange decise di rivendere il dipinto si rivolse a Christie's e Sotheby's.

La perplessità degli esperti e il fatto che la tela non risultasse ancora pubblicata nel catalogo ragionato delle opere dell'artista (la Knoedler al momento della vendita garantì l'imminente pubblicazione del dipinto), portò Lagrange a richiedere il rimborso di quanto versato alla galleria. Il collezionista fece inoltre effettuare delle indagini chimiche sui pigmenti che risultarono messi in commercio dopo la morte dell'artista avvenuta nel 1956. A questo punto citò in tribunale la galleria la quale il 28 novembre 2011 annunciò la cessazione dell'attività. Lo scandalo era solo all'inizio. Infatti, tra il 1994 e il 2011, sotto la direzione di Ann Freedman, la galleria vendette a colpi di milioni di dollari tele false di Jackson Pollock, Mark Rothko e Robert Motherwell. Dietro a questo smercio risultò esserci Glafira Rosales, gallerista di Long Island, che già 2002 procurò alla Freedman una tela falsa di Pollock poi venduta a Jack Levy, un executive di Goldman Sachs, il quale pagò sull'unghia 2 milioni di dollari, salvo accorgersi, rivolgendosi all'International Foundation for Art Research, la cui funzione è di individuare gli oggetti rubati e i tentativi di ricettazione, che anche questo dipinto non era pubblicato nel catalogo ragionato. Levy riuscì ad ottenere il rimborso della cifra sborsata alla gallerista, la quale, ritirato il falso, come se nulla fosse accaduto, lo propose per 1 milione di dollari ad un'altra vittima.

Il secondo capitolo porta il lettore indietro nel tempo, alle origini del mercato dell'arte, nella Parigi della seconda metà del XIX secolo, delineando il ritratto di Théodore Duret (1838-1927), commerciante in cognac, primo sostenitore degli Impressionisti, immortalato “alla maniera di Velazquez” nel dipinto di Edouard Manet conservato al Musée du Petit Palais di Parigi. Duret conobbe il pittore a Madrid, dove si era ritirato per sfuggire alla persecuzione dei critici dopo l'esposizione dell'”Olympia”, dipinto che fece scandalo al Salon del 1865. Instancabile viaggiatore, Duret si appassionò all'arte dell'Estremo Oriente, in particolar modo alle stampe di Hokusai che influenzarono molto la pittura degli Impressionisti. Ma la fortuna del movimento si deve soprattutto a Paul Durand-Ruel (1831-1922) che aprì gallerie a Parigi, Londra, Bruxelles, e con grande intuito e lungimiranza organizzò nel 1886 la prima mostra degli Impressionisti a New York, dove aprì anche una filiale.

A quei tempi “la via dei quadri” era rue Lafitte, come scrisse Ambroise Vollard (1867-1939) che nel 1894 prese in questa strada una “botteguccia al numero 39”. In effetti, stando ai testimoni, si trattava di uno spazio dove regnava il disordine, con vecchi giornali gettati alla rinfusa, quadri di Monet, Pissaro, Renoir, rivolti alle pareti, una stufa e polvere ovunque. Nel 1895 Vollard, dopo aver scovato con vari sotterfugi l'indirizzo di Cézanne, riuscì ad organizzare la prima celebre esposizione di opere dell'artista di Aix-en-Provence. Nelle sue memorie, scrisse: “Il 1890, che bell'epoca per i collezionisti! Si trovavano capolavori ovunque, e quasi per niente. Per lo straordinario “Ritratto dello scultore Zacharie Astruc” di Manet venivano chiesti mille franchi...all'Hotel Drouot si faticò a vendere per 1.500 franchi la “Donna sul sofà” appartenuta a Baudelaire”. Vollard riuscì anche a esporre 60 opere di Van Gogh, compreso il “Ritratto del dottor Gachet” e “Gli Alyscamps”, ma le tele del pittore maledetto, esposte nelle due vetrine di rue Lafitte, tennero lontani i collezionisti dalla soglia della galleria. Per quanto le sue maniere fossero rozze, di fatto Vollard era un uomo molto scaltro. Nel 1906 centrò uno dei suoi colpi più fortunati aggiudicandosi per 2.000 franchi l'intera produzione del periodo blu di Picasso.

Daniel-Henry Kahnweiler (1884-1979), invece, si trasferì a Parigi nel 1902. Era tedesco, originario di Mennheim, e proveniva da una famiglia di banchieri. Si installò nel 1907 in rue Vignon promuovendo Picasso, Braque, Leger, Juan Gris, oltre ai pittori Fauves, divenendo l'indiscutibile mercante dei Cubisti. Kahnweiler fu una delle poche persone a rimanere affascinato dalla tela “Le Bordel d'Avignon”, meglio nota con il titolo “Les Demoiselles d'Avignon”, che il mercante vide nel 1907 nello studio di Picasso al Bateau-Lavoir a Montmartre, in mezzo al caos e alla sporcizia. Avrebbe voluto acquistarla, ma Picasso fece “orecchie da mercante”. Il dipinto, come si sa, rimase arrotolato per anni nei diversi ateliers del pittore, fino al 1923 quando venne acquistato dal sarto e collezionista parigino Jacques Doucet, per poi finire al Museum of Modern Art di New York nel 1939. Di Kahnweiler si conosce in modo dettagliato lo stock di opere: tra il 1921 e il 1923 ben 800 dipinti del gallerista vennero messi all'incanto all'Hotel Drouot come risarcimento di guerra, sequestratigli per via delle sue origini tedesche. Si trattava all'epoca della più importante collezione cubista mai messa sul mercato.

Il libro passa successivamente a descrivere la vita e gli amori di Peggy Guggenheim (1898 -1979), l'ereditiera americana che divenne la più celebre collezionista e mecenate del XX secolo, scoprendo gli artisti più all'avanguardia per la sua galleria newyorkese “Art of This Century, inaugurata nel 1941. Innamoratasi di Venezia, nel 1948 acquisterà Palazzo Venier dei Leoni, dove trasferì la sua straordinaria collezione di opere surrealiste, cubiste ed espressioniste.
Gli ultimi capitoli sono dedicati ai due più potenti mercanti dei giorni nostri, Larry Gagosian e Charles Saatchi. Oggi la Gagosian Gallery ha spazi espositivi in molti Paesi del mondo dove sono esposte opere Jeff Koons, John Currin, Murakami, Warhol, Lichtenstein, ma la carriera del gallerista cominciò nel Westwood Village di Los Angeles vendendo poster e stampe. Nel 1979 riuscì ad inaugurare la sua prima galleria a New York di fronte al leggendario Leo Castelli. Charles Saatchi, invece, originario di Bagdad, è cresciuto a Londra dove nel 1970 fondò insieme al fratello una delle più importanti agenzie pubblicitarie del mondo, la Saatchi & Saatchi. E' una delle figure centrali del collezionismo e del mercato dell'arte contemporanea, capace di condizionare scelte e gusti, a cui si deve il successo degli artisti della Young British Art, diventati tra i più quotati autori di brand, tra cui Damien Hirst, Tracy Emin e Marc Quinn.

In queste excursus di piacevole lettura nella storia dei protagonisti del mercato dell'arte mancano, per dare completezza al testo, alcune figure chiave del XX e XXI secolo tutt'altro che trascurabili, come Paul Rosemberg che inaugurò nel 1910 a Parigi al 21 di Rue la Boetie una delle più importanti gallerie mettendo a contratto Braque, Matisse, Leger, Picasso. Sempre in rue La Boetie, nel 1905 aprirono la propria bottega i Wildenstein, tra i più grandi marchands d'art del XX secolo. Sarebbe stato interessante anche leggere qualche pagina dedicata a Berthe Weill, la prima gallerista, troppo spesso trascurata, che in rue Taitbout 50, nel IX arrondissement, organizzò la prima personale di Amedeo Modigliani, la celebre “exposition de peintures et de dessins de Modigliani” del 3 dicembre 1917 in cui i “nudi” esposti in vetrina la sera della vernice - compreso il quadro “Nu couché” che nel novembre 2015, dopo solo 9 minuti di rilanci, è stato aggiudicato da Christie's a New York per 170 milioni di dollari al magnate cinese Liu Yiqian -, fecero chiudere la mostra prima ancora che cominciasse. Infine, il libro risulta orfano della figura di Leo Castelli, principale promotore dell'arte americana d'avanguardia degli anni Sessanta e Settanta a cui si deve il successo della Pop Art, così come non è presente Ileana Sonnabend, prima moglie del gallerista triestino, che inaugurò nel 1962 a Parigi la sua prima galleria con le bandiere americane di Jasper Johns e organizzò nel 1991 la prima mostra di Jeff Koons a New York. Storie che ci auguriamo di leggere nella prossima pubblicazione.







Titolo: Cacciatori d'arte. I mercanti di ieri e di oggi
Autore: Yann Kerlau
Casa editrice: Johan & Levi
Data di pubblicazione: novembre 2015
Pagine: 250
Lingua: italiana
Prezzo di copertina: 25,00 €














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