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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità finanziaria. Genealogia ed eterogenesi dei fini nell'arte contemporanea

  • –Maria Adelaide Marchesoni

L'analisi delle dinamiche in gioco nel moderno mondo dell'arte, con un'attenzione particolare ad alcune costanti teoriche e funzionali tipiche dell'attualità artistica, sono al centro del libro di Pierluigi Panza, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità finanziaria. Genealogia ed eterogenesi dei fini nell'arte contemporanea.
L'analisi parte dalla considerazione che l'arte è un conferimento di valore, che avviene nel corso del tempo e con diverse modalità, su un oggetto creato con intenzionalità artistica.
Questo conferimento non è determinato dal giudizio critico-valutativo o da un soddisfacimento popolare, se non indotto, bensì sulla base di una costruzione di consenso tesa a creare un capitale di visibilità sull'artista o sull'opera.
L'autore vuole far emergere come il successo di alcune attuali proposte post-estetiche sia il frutto di una sudditanza finanziaria e di una grande ipocrisia, colpevole di presentare ancora l'arte come “liberissima servitù” (Lutero) dove invece è rimasta solo servitù, per l'industria e per il capitale. Si parla di Capitalismo estetico, di arte che non ha più valore estetico, testimoniale, sociale, identitario o altri acquisiti nella sua storia. Oggi, per l'autore l'opera d'arte è come una cedola simbolica sulla quale si è investito.
Guerini Scientifica, Collana BC, 2015, pp. 169
ISBN 978888107388, euro 16,50

Intervista all'autore Pierluigi Panza
Di Maria Adelaide Marchesoni
Come si forma oggi il valore di un'opera d'arte, quali sono le variabili che subentrano in questo processo di attribuzione di valore?
Il valore di un'opera d'arte contemporanea si forma attraverso la capacità di attrarre su di essa, o sul suo autore, visibilità. Ciò avviene attraverso le forme della costruzione del consenso, ovvero attraverso l'azione che gli uffici promozionali riescono ad esercitare sui media, attraverso la creazione di eventi, l'accostamento con celebrity, la costruzione della viralità sui social network. Per fare tutto ciò è necessario disponibilità economica o, meglio, essere posti all'interno di un circuito promozionale sostenuto da forti poteri, di persone (collezionisti), aziende o lobby, in grado di costruire e condizionare. Prima si viene scelti in base a valori non necessariamente artistici, poi si costruisce il consenso.
Quanto valore “finanziario” c'è in un'opera d'arte?
L'arte ha perso un valore monetario relazionato alla quantità di lavoro espressa, ai particolari significati concettuali in essa contenuti o alla sua preziosità o diffusione sociale e ne ha acquisito uno che dipende dalla capacità di poter scommettere sull'opera così come si scommette su azioni di società che producono beni immateriali o il cui profitto è determinato dal consenso (come la moda). Il valore finanziario in un'opera è la quantità di denaro che coloro che la collezionano sono in grado di investire per sostenere il loro investimento in arte e farlo crescere. L'opera è un future, una scommessa di ricchezza che dipende da quanto noi, e gli altri sconosciuti collezionisti-azionisti compagni di cordata, siamo in grado di investire per farne parlare, esporla, sostenerla, creare storytelling intorno ad essa.
Ci spiega il significato di Capitalismo estetico? Quali sono gli elementi economici che lo determinano?
Il Capitalismo estetico è quello in cui il valore delle merci è conferito dalla loro capacità di essere estetizzate, narrate e pervasivamente condizionare gli orientamenti degli individui consumatori. E' il compimento di quello che il filosofo francese Debord chiamava La società dello spettacolo, ovvero quella in cui ogni merce, anche l'arte o il pensiero, per essere vendute, devono essere spettacolarizzate. Ovvero creare choc, piacere, sensazioni, stati d'animo particolari... Sulla base delle nostre richieste in rete, ad esempio, gli algoritmi dei motori di ricerca individuano i nostri gusti e pervasivamente ci pilotano nell'acquisto di prodotti sottoponendoli alla nostra attenzione. Questo è un modo di funzionamento del Capitalismo estetico nell'età digitale.
L'arte come hedge fund: il significato di questa affermazione?
L'arte non ha più valore estetico, testimoniale, sociale, identitario o altri acquisiti nella sua storia. Oggi, l'opera d'arte è come una cedola simbolica sulla quale si è investito. Gli investimenti in arte, nel ‘900, hanno quasi sempre generato profitto creando addirittura una bolla speculativa che, nel 2008, si è sgonfiata al pari dei fondi subprime e altri investimenti finanziari. Si è sgonfiata con la crisi innescata da Madoff perché è un prodotto finanziario in mano alle élite come gli altri che sono andati in crisi. Prima del 2008 c'era la corsa all'acquisto di opere da parte di piccoli collezionisti, così come a inizio Duemila si correva ad acquistare azioni delle società digitali; poi si è corsi a vendere in preda al panico. E' chiaro che se io avessi in mano un Caravaggio anziché un bond artistico, ovvero un valore certo, non avrei nulla da temere. A rimetterci sono i piccoli collezionisti così come ci rimettono i piccoli azionisti in Borsa.
Si può parlare di finanziarizzazione del sistema/mercato dell'arte?
Da un lato, banche e finanziarie investono sempre di più nell'arte e, i principali collezionisti, sono oggi i proprietari di maison di moda, oligarchi russi ed emiri. La presidente del Qatar Museums Authority, la sceicca Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani - sorella dell'emiro Al-Thani proprietario della squadra di calcio Paris Saint Germain - che è entrata in classifica nel 2011 in 90esima posizione, in due anni si è portata in vetta alla lista degli investitori. Ogni anno spende un miliardo di dollari: non a caso è in Qatar che si trova il Giocatori di carte di Cézanne, acquistato dalla famiglia reale per 250 milioni di dollari, prezzo che lo rende il quadro più pagato. Dall'altro, per alcuni artisti l'opera d'arte diventa la chiave per aprire poi una azienda di mass-market attraverso la quale vendere oggetti con il proprio marchio: si pensi alla Kaikai Kiki Co. di Murakami per la produzione di gadget e oggetti come video, t-shirt, portachiavi, tappetini per mouse, caramelle e borse Louis Vuitton.
Ci può fare qualche esempio?
Qualche anno fa Damien Hirst, pioniere dei Young British Artits, ha deciso di vendere direttamente in asta le opere saltando il cosiddetto sistema. All'asta da Sotheby's, dal titolo Beautiful Inside My Head Forever, vendette 223 opere degli ultimi due anni per 198 milioni di dollari. Un'opera ogni tre giorni, praticamente, realizzata dalla sua factory.
Julian Schnabel è così inserito nelle lobby del consenso che l'attore Richard Gere ha comperato una sua opera nel 2007 per 12 milioni di dollari: qui è la celebrity che trasforma un altro in celebrity. Larry Gagosian ha comprato un'opera di Jeff Koons, dal titolo Hanging Heart, a un'asta da Sotheby's per 23,6 milioni di dollari: che senso ha? Il senso è questo: un rappresentante dell'élite mondiale dimostra all'altro di poter effettuare una scommessa superiore su un valore simbolico. Poi qualcuno vince, altri perdono scommesse. Ma non importa; gli stessi sono anche proprietari di cavalli, squadre di calcio e altro: se perdono in un settore si rifanno in un altro.

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