Le positive performance del mercato dell'arte nel 2017 (+12% a 63,7 miliardi di dollari), certificate dall'ArtBasel report pubblicato da poco sono certamente frutto di uno scenario di crescita ma, quantomeno negli States, mercato di scambi che ha incrementato la sua quota dal 40% al 42%, potrebbero nascondere un fattore di accelerazione non più ripetibile.
L'annuncio della riforma fiscale voluta da Trump entrata poi effettivamente in vigore dal 1° gennaio ha avuto l'effetto degli sconti fine serie o degli ultimi giorni di liquidazione. Tutto questo perché il 31 dicembre 2017 si è chiusa la stagione degli scambi like-kind di opere d'arte.
Dal 1921 la section 1031 dell'Internal Revenue Code, il codice delle imposte sui redditi americano, permette di differire la tassazione dei proventi derivante dalla vendita di immobilizzazioni reinvestite in attività simili, like-kind appunto. Un escamotage utilizzato principalmente in campo immobiliare, ma che a partire dagli anni '80, con l'aumento della popolarità del mercato dell’arte e, soprattutto, con l'aumento dei prezzi delle opere, è stato ampiamente utilizzato dai collezionisti americani creando un volano straordinario per il settore.
Ora tutto questo è finito. O meglio: è rimasto in essere solo nel real estate, per gli immobili indicando in maniera precisa l'indirizzo della nuova amministrazione Usa e i propri settori di attività preferiti e quelli ritenuti marginali e sacrificabili (i drastici tagli alla cultura sono un altro indicatore piuttosto significativo).
Gli effetti di tutti ciò sono due, principalmente.
Innanzitutto, come detto, la fine del 2017 ha visto la corsa al realizzo da parte di chi ha voluto approfittare degli ultimi sprazzi di pacchia gonfiando così i volumi di un mercato che dovrà fare i conti, da quest'anno, con un problema in più.
D'altro canto, in questo nostro mondo globale e cinico, le difficoltà di qualcuno sono le opportunità per qualcun altro. È fuori di dubbio che in Italia (che ha una quota dell’1% degli scambi mondiali d’arte) sia necessaria una nuova regolamentazione degli scambi di opere d'arte, un complesso di norme da molti invocato per dare slancio a un settore che ha margini di crescita enormi e che se adeguatamente supportato da norme chiare e votate allo sviluppo potrebbe essere una delle eccellenze del nostro paese e, oltretutto, garantire all'erario un gettito finora sconosciuto. In questa logica immaginare di introdurre nel nostro ordinamento, oltretutto senza necessità di un grande sforzo di fantasia, una norma che permetta il rinvio della tassazione dei proventi sulle cessioni di opere reinvestiti in altre opere garantirebbe lo sviluppo e la crescita del mercato, così come è stato negli Usa, con tutte le conseguenze e le ricadute positive del caso. A maggior ragione se da altre parti del mondo certe porte si chiudono e i collezionisti dovranno ripensare le proprie strategie di gestione guardando al di fuori dei loro abituali confini.
*Dottore commercialista, esperto in economia della cultura, arts management e gestione e organizzazione aziendale. È coordinatore del gruppo di lavoro Economia e cultura presso il CNDCEC.
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