Miart, in scena a Milano dal 13 al 15 aprile, riafferma ogni anno di più il suo ruolo di aggregatore e stimolo per le istituzioni della città, che proprio in questa ormai denominata “art week milanese” concentrano l'inaugurazione delle loro proposte più solide e convincenti. In questo orizzonte di qualità si inserisce “The Feeling of Things”, la mostra retrospettiva dell'artista americano Matt Mullican, curata da Roberta Tenconi per Hangar Bicocca e visitabile fino al 16 settembre. Un progetto imponente di ricostruzione dello spazio istituzionale del museo, ad accogliere i cinque mondi in cui l'artista ha declinato la sua cosmologia dagli anni '70 oggi, facendosi pioniere di tecniche artistiche come l'ipnosi, l'uso di banner e, soprattutto, il computer - già alla fine degli anni ’80 – per generare disegni e video di paesaggi virtuali, un “second life” ante litteram.
La mostra si dispiega in 5.000 mq e include immagini che riportano le iconografie di instagram alla metà degli anni ’90, sculture in vetro, video, disegni calligrafici che interpolano segni e parole, rubbings, simboli e installazioni. Insieme sono 6mila opere e offrono la più estesa ricognizione mai compiuta del progetto visionario di Mullican, che mira a indagare in senso artistico l'esperienze del “sentire”, dalla rappresentazione dell'inconscio a quella della più prosaica quotidianità.
Dal museo alla fiera. Ma la presenza di Mullican a Milano non si esaurisce ad Hangar Bicocca e, anzi, continua in fiera nello stand di Mai 36 Galerie di Zurigo, interamente dedicato alla ricchezza cromatica e tecnica atipica della sua pratica concettuale. “Ho conosciuto il suo lavoro per la prima volta nel 1986, in occasione di una mostra dedicata all'arte americana in cui partecipava con un banner calato dal soffitto e mi ha subito incuriosito per la sua capacità di coniugare arte e linguaggio, un filone di ricerca distintivo di quegli anni” racconta il gallerista Victor Gisler.
Figlio d'arte, Matt Mullican è nato in California nel 1951, è stato un allievo di John Baldessari nel prestigioso ateneo californiano CalArts, e ai tempi dell'incontro con Gisler aveva lo studio sopra Nam June Paik. Associato spesso agli esponenti della Picture Generation – con altri artisti cult come Louise Lawler, Richard Prince e Cindy Sherman che esploravano la triangolazione tra media, società e percezione del sé, Mullican è sempre rimasto comunque un outsider.
“La mia collaborazione con lui iniziò nel 1988, con una presentazione del suo lavoro nella mia galleria di Lucerna, uno spazio industriale simile ad Hangar Bicocca in cui abbiamo appeso quasi solo banner, arrotolati e inviati in un tubo da New York, dove viveva dagli anni ’70” ricorda il gallerista. L'anno dopo Mai 36 è tra le prime gallerie ad esporre alla fiera Arco di Madrid e, per l'occasione, porta anche un banner giallo, a un prezzo equivalente a 8mila euro. “L'opera rimase chiaramente invenduta: tutto ciò che non era spiccatamente artistico o non assomigliava a un'opera d'arte tradizionale era etichettato come difficile” spiega Victor Gisler e aggiunge “ho ancora quello stendardo, l'ho tenuto, e oggi opere di quegli anni di Matt Mullican valgono circa 40-50mila euro”.
Il pubblico, insomma, ha capito e metabolizzato il suo lavoro, ma gli equivoci e le incomprensioni non sono mancati, neanche sul fronte istituzionale. “Matt Mullican fa parte della prima generazione di artisti cresciuti e influenzati dalla televisione, ma l'estetica geometrica e pop delle sue opere ha fatto sì che fossero spesso fraintese, talvolta associate al movimento americano Neo-geo” interviene Gisler. E non solo: l'interesse per la spiritualità e la volontà di costruire una propria cosmologia di rappresentazione dell'universo ha incoraggiato l'idea che fosse un artista religioso.
Questi fraintendimenti sono superati, complici mostre di alto profilo organizzate da istituzioni del calibro del Museo di Serralves (2000), del Museo Ludwig di Colonia (2005), della Tate Modern a Londra (2007), dell’Haus der Kunst di Monaco di Baviera (2011) e più di recente del Camden Arts Centre di Londra (2016) e del Kunstmuseum di Winterthur (2016). “Guardando la sua biografia si nota come Matt Mullican sia ancora sottostimato in America, questo perché è una piazza più commerciale, dove a guidare vendite e gusto dei collezionisti sono ancora pittori astratti e artisti pop, con clichè e metodi artistici ereditati da Andy Warhol” conclude il gallerista.
A Miart, invece, laFondazione Fiera, dotata come ogni anno di un fondo acquisizioni di 100mila euro, non ci ha pensato due volte a comprare un'opera dell'artista, mostrando di continuare ad apprezzare il lavoro di ricerca messo in campo dalle istituzioni e dai musei milanesi. Ed è forse questo il significato più interessante di una frase spesso abusata dalla politica, “fare sistema”, che a Milano si inscrive precisamente nelle dinamiche virtuose delle realtà cittadine del mondo dell'arte.
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